La guerra vista da una casalinga: gli orrori nell'ex Jugoslavia raccontati da una bravissima Ksenija Martinovic
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- Pubblicato Lunedì, 23 Novembre 2015 09:32
- Scritto da Timothy Dissegna
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Udine - Il treno dei ricordi parte da quelli più felici: quelli legati all'infanzia, fine anni '60. Perché basta un fazzoletto rosso attorno al collo per far sentire orgogliosa e spensierata la piccola protagonista di "Diario di una casalinga serba", interpretata da un'eccezionale Ksenija Martinovic e andato in scena dal 16 al 22 novembre al Teatro San Giorgio.
Tratto dal libro omonimo della scrittrice serba Mirjana Bobic Mojsilovic, prodotto dal CSS Teatro Stabile d'Innovazione del FVG e diretto da Fiona Sansone, lo spettacolo è il viaggio drammatico di una donna attraverso la storia della sua Serbia: dagli anni gloriosi di Tito sotto la Jugoslavia alla sua disgregazione, dopo la morte del dittatore e la guerra che la dilaniò negli anni '90.
Nel mezzo c'è la vita di una persona come tante, che si appassiona più per "moda" che per un motivo sincero: dall'euforia socialista al nazionalismo serbo, passando per la religione e i vestiti che arrivano dall'Italia. La protagonista appare all'inizio come folle, imprigionata nella claustrofobia della sua immaginazione; poi l'orrore prende forma e con esso il suo pensiero.
Nella recitazione da pelle d'oca della Martinovic, che ha portato in scena la pièce grazie al progetto dello stesso CSS "StartArt" per giovani promesse, ha influito senz'altro il dove questa ha preso forma: non sul palco principale, bensì in una stanza del teatro, davanti a una quarantina di persone, come ha fatto per tutte le serate. Una scelta fatta ad hoc, che demolisce fisicamente la quarta parete tra pubblico e attore.
E lei lo fa subito, con un bacio che risuona d'innocenza: la stessa che il mostro Milosevic farà a pezzi per milioni di bambini, "colpevoli" di non essere serbi. Ma questa è la Storia, che azzanna la vita di una casalinga come tante, sempre con la testa altrove. E quando il buio della guerra le arriverà così vicino da graffiarla con il suo respiro, allora rimarrà solo il suo sguardo a guardare lontano.
La scelta di inaugurare "StartArt" per il CSS non poteva essere migliore con questa 25enne serba, diplomata alla Nico Pepe di Udine. Il suo sarà sicuramente un nome che sentiremo ancora: nel frattempo non si può che perdersi nell'umorismo di una tragedia che è esplosa sulla nostra porta di casa. E che noi abbiamo più o meno ignorato, scegliendo le bombe ancora una volta.
Pordenone unita nel dire “NO” alla violenza sulle donne. Intervista video al direttore del teatro Verdi
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- Pubblicato Venerdì, 20 Novembre 2015 16:38
- Scritto da Maurizio Pertegato
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Pordenone - Il Teatro Verdi di Pordenone si fa promotore di un progetto che raccoglie le sensibilità del territorio, per dire “NO” alla violenza sulle donne. Diverse le iniziative: uno spettacolo teatrale ("Polvere" di e con Saverio La Ruina 24 e 25 novembre), un flash mob, un video set, incontri e un video appositamente realizzato dal regista Alberto Fasulo.
Un impegno e un contributo di coloro che collaborano all'evento per attivare una nuova cultura, affinchè la parità e il rispetto tra generi si radichi profondamente nei comportamenti quotidiani, in una città segnata quest’anno da troppi episodi di violenza che hanno visto come vittime le donne.
Per incidere non solo sulla consapevolezza delle donne, ma anche e sopratutto su quella degli uomini.
Hanno già aderito convinte il Pordenone Calcio e il Pordenone Rugby: oltre a partecipare agli eventi, i calciatori della prima squadra nei prossimi match indosseranno la maglia che dice no alla violenza.
Analogo impegno per il Pordenone Rugby in occasione dei prossimi impegni sportivi programmati in queste settimane.
Qui la videointervista al direttore del Teatro Verdi Giovanni Lessio:
Qui il videoclip del regista Alberto Fasulo:
Ferite nell'anima, uccise nel cuore: il buio del femminicidio raccontato da tre grandi attrici
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- Pubblicato Giovedì, 19 Novembre 2015 10:59
- Scritto da Timothy Dissegna
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Monfalcone (Go) – Bastano un abito nero e delle scarpe rosse per portare in scena il dramma di migliaia di donne: nero come i lividi provocati dalle sberle, calci, pugni fisici e morali; rosse come il sangue che scorre quando tutti gridano al mostro, ma ormai è troppo tardi. In una parola: femminicidio.
“Ferite a morte” è lo spettacolo che da tre anni racconta quest'universo macabro, scritto da Serena Dandini (la quale è anche la regista) e Maura Misti. Sul palco, ieri sera al Teatro Comunale, sono salite le bravissime Lella Costa, Orsetta de' Rossi e Rita Pelusio, per dar vita con le proprie parole a una vera antologia di delitti.
Il modello è quello dello Spoon River di Edgar Lee Master, poesie sulle persone sepolte in un cimitero, che nella pièce, coprodotta da Mismaonda e Centro d'Arte Contemporanea Teatro Carcano, diventano racconti che mischiano ironia e atrocità: sono storie che si fa facile pensare siano reali, ricavate da ricerche del CNR e inchieste giornalistiche, ma che restano comunque assurde nella loro follia.
Una dopo l'altra, figure femminili si alternano sulla scena, per raccontare con disaramente chiarezza la loro fine: tutte, infatti, sono anime di donne ammazzate per mano di mariti, fidanzati, padri, fratelli che non sopportavano la loro indipendenza. O semplicemente il fatto che volessero vivere, o per pura follia che domina anche chi mostro non lo sembra, ma basta una tanica di benzina per mostrare a tutti di cos'è capace.
I volti e le mani di chi compie femminicio non hanno età, nazionalità o religione: assassina il “bravo padre di famiglia” come il ricco porco; l'iraniano come l'italiano e così via. I racconti diventano aghi contro cui è impossibile non urtare, che ti perforano e costringono a guardarti dentro, ancora di più se sei maschio e un po' ti vergogni di far parte di questo vero e proprio “regno animale”, infame e bastardo.
Ma non sono tutti uguali, i maschi: c'è il ragazzo che ama veramente la propria fidanzata, ma sono i genitori che non vogliono che lei lo frequenti, perché è già stata promessa ad un altro: una spiegazione sufficiente a far amazzare la propria figlia e sorella. I fiumi di sangue scorrono nella narrazione che ghiaccia le vene, tutte con lo stesso finale ma con sfumature diverse nel proprio orrore.
Dandini non ha creato uno spettacolo pesante, anzi: l'ironia emerge continuamente, dalle voci delle stesse donne uccise che scherzano sulla loro fine. Ma le risate muoiono strozzate in gola, marciscono prima ancora di liberarsi nell'aria, quando i dettagli di quelle morti affiorano nei monologhi di spento amore.
Il trio sul palco ha dato prova, ancora una volta dopo le incredibili tourneè in giro per il mondo, di una recitazione potente come poche: parlano non solo alle donne ma anche agli uomini, il vero pubblico di questo spettacolo. Perché parte da loro, noi, il cambio di una mentalità che non veda più nel genere femminile un oggetto: altrimenti i discorsi sul femminicio non serviranno a niente, perché come recita una delle vittime “gli oggetti non possono morire”.
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