Ferite nell'anima, uccise nel cuore: il buio del femminicidio raccontato da tre grandi attrici
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Giovedì, 19 Novembre 2015 10:59
- Scritto da Timothy Dissegna
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Monfalcone (Go) – Bastano un abito nero e delle scarpe rosse per portare in scena il dramma di migliaia di donne: nero come i lividi provocati dalle sberle, calci, pugni fisici e morali; rosse come il sangue che scorre quando tutti gridano al mostro, ma ormai è troppo tardi. In una parola: femminicidio.
“Ferite a morte” è lo spettacolo che da tre anni racconta quest'universo macabro, scritto da Serena Dandini (la quale è anche la regista) e Maura Misti. Sul palco, ieri sera al Teatro Comunale, sono salite le bravissime Lella Costa, Orsetta de' Rossi e Rita Pelusio, per dar vita con le proprie parole a una vera antologia di delitti.
Il modello è quello dello Spoon River di Edgar Lee Master, poesie sulle persone sepolte in un cimitero, che nella pièce, coprodotta da Mismaonda e Centro d'Arte Contemporanea Teatro Carcano, diventano racconti che mischiano ironia e atrocità: sono storie che si fa facile pensare siano reali, ricavate da ricerche del CNR e inchieste giornalistiche, ma che restano comunque assurde nella loro follia.
Una dopo l'altra, figure femminili si alternano sulla scena, per raccontare con disaramente chiarezza la loro fine: tutte, infatti, sono anime di donne ammazzate per mano di mariti, fidanzati, padri, fratelli che non sopportavano la loro indipendenza. O semplicemente il fatto che volessero vivere, o per pura follia che domina anche chi mostro non lo sembra, ma basta una tanica di benzina per mostrare a tutti di cos'è capace.
I volti e le mani di chi compie femminicio non hanno età, nazionalità o religione: assassina il “bravo padre di famiglia” come il ricco porco; l'iraniano come l'italiano e così via. I racconti diventano aghi contro cui è impossibile non urtare, che ti perforano e costringono a guardarti dentro, ancora di più se sei maschio e un po' ti vergogni di far parte di questo vero e proprio “regno animale”, infame e bastardo.
Ma non sono tutti uguali, i maschi: c'è il ragazzo che ama veramente la propria fidanzata, ma sono i genitori che non vogliono che lei lo frequenti, perché è già stata promessa ad un altro: una spiegazione sufficiente a far amazzare la propria figlia e sorella. I fiumi di sangue scorrono nella narrazione che ghiaccia le vene, tutte con lo stesso finale ma con sfumature diverse nel proprio orrore.
Dandini non ha creato uno spettacolo pesante, anzi: l'ironia emerge continuamente, dalle voci delle stesse donne uccise che scherzano sulla loro fine. Ma le risate muoiono strozzate in gola, marciscono prima ancora di liberarsi nell'aria, quando i dettagli di quelle morti affiorano nei monologhi di spento amore.
Il trio sul palco ha dato prova, ancora una volta dopo le incredibili tourneè in giro per il mondo, di una recitazione potente come poche: parlano non solo alle donne ma anche agli uomini, il vero pubblico di questo spettacolo. Perché parte da loro, noi, il cambio di una mentalità che non veda più nel genere femminile un oggetto: altrimenti i discorsi sul femminicio non serviranno a niente, perché come recita una delle vittime “gli oggetti non possono morire”.