Cultura
Chocofest 2012: a Gradisca è protagonista il cioccolato
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Novembre 2012 14:28
- Scritto da Fabiana Dallavalle
Gradisca è dal 2011 gemellata con Modica, la capitale dell'eccellenza del cioccolato e non è un caso. La cittadina del goriziano, nel prossimo lungo week end dal 23 al 25 novembre, diventerà la capitale del cioccolato con una festa "Chocofest"che richiama ogni anno migliaia di visitatori che affolleranno il suo centro, dove su una vasta area sono al lavoro gli espositori e operatori a caccia di dolcezze, bianche, al latte e fondenti. Ad ogni edizione vengono infatti vendute migliaia di chili di cioccolato, tazze di cioccolata calda e cioccolatini.
Ma come lavorare, degustare e acquistare il cioccolato? Dietro uno dei prodotti più golosi c'è un mondo da scoprire. Per questo durante la quindicesima edizione di Chocofest, organizzata dall'associazione Fusi & Infusi, sarà possibile partecipare ad una serie di corsi di degustazione e dimostrazioni. L'inaugurazione è in programma venerdì 23 novembre alle 18.30 al Castello di Gradisca, mentre sabato e domenica inizieranno i laboratori a cura dell'esperta Mariangela Scarbolo, che spiegherà come valutare il cioccolato attraverso i cinque sensi (sabato 24 novembre alle 17); come acquistarlo, anche in base alla legge e all'etichettatura (sabato 24 novembre alle 18); come lavorarlo (domenica 25 novembre alle 15.30) e come degustarlo (domenica 25 novembre alle 16.30). La pasticceria Simeoni di Udine, inoltre, terrà una dimostrazione, per un massimo di 40 persone (Info e prenotazioni: 333 8881082). Anche le torte possono essere di design, per questo per la prima volta c’è un laboratorio specifico di Cake Design, per realizzare torte come opere d’arte (domenica 25 novembre alle 15). Sarà possiible anche imparare a degustare l’acqua, grazie al corso di Idrosommelier, proposto dall’esperto Roberto Bertotti.
Quest'anno si potrà degustare anche un nuovo cioccolatino, inventato proprio per l'occasiojen da Antonella Varotto, che ha pensato ad una specialità dedicata a Gradisca. Da qui il nome “Porta d’Oriente”, ispirato alla storia di una città, che è stata fortezza e baluardo. Una pralina dalla forma di pietra preziosa, con decorazioni di oro zecchino, il ripieno di zenzero e thè verde, rivestito da cioccolato fondente. Il cioccolatino sarà presentato il giorno dell’inaugurazione.
Nella galleria “La fortezza”, è in programma la mostra “Il cioccolato firmato”, per conoscere le locandine più belle, da inizio secolo in poi. Tra le opere esposte, si potranno vedere i lavori di Marcello Dudovich (Zeda), Luciano Achille Mauzan (Loreti) Severo Pozzati, (Talmone), Bison (La Torinese), Federico Seneca (Perugina). La mostra è già aperta al pubblico e sarà visitabile fino al 25 novembre. Dopo decenni di chiusura, per l’occasione sarà possibile scoprire il Castello di Gradisca, grazie all’impegno dell’associazione Fusi & Infusi che ha voluto regalare questa opportunità ai partecipanti del Chocofest. Ancora spazio alla cultura. Sabato 24 novembre Italia Nostra propone l’incontro “Gusto per l’arte...gusto per la cioccolata”, a cura della presidente della sezione goriziana Maddalena Malni Pascoleti.
Sabato 24 novembre alle 11 il presidente della regione Renzo Tondo sfiderà gli studenti dello Stringher alla dama di cioccolata. In serata l’appuntamento è con la seconda notte bianca “Choco-late”, per tirar tardi con il cioccolato, tra shopping e assaggi. Tra i tanti eventi, sono in programma anche la sesta edizione del Choco Award, per i maestri cioccolatieri; il secondo concorso di “Choco-pittura” in collaborazione con la Galleria Spazzapan; la realizzazione della “Choco-scultura”; le dimostrazioni di “Choco-welness”, la cura del corpo con il cioccolato; il racconto della storia della cioccolata, a cura della fabbrica artigianale Belcolade; la dimostrazione di “Agility dog”, dell’Associazione cinofila Sportdog. Spazio inoltre alla moda: venerdì 23 novembre alle 21.30 è in programma la sfilata e quindi l’elezione di Miss Chocofest, a cura di Mac for you. Sarà possibile anche frequentare un corso di Wedding planner, grazie all’agenzia Silovoglio, che per domenica 25 novembre ha organizzato il matrimonio di Cioccolato e Cioccolata. In piazza, infine, sarà allestita una grande fontana, naturalmente di cioccolato.
Naturalmente ampio spazio è dedicato alle attività dedicate ai più piccoli. Sono previsti una serie di laboratori e di ricette da preparare insieme ai genitori e alla mascotte Cioccolino, un pupazzo pensato per intrattenere i bambini.
Roberto Curci presenta “L’enigma di Boltzmann” e parla di Trieste, scienza, musica, giornalismo. Oggi come un secolo fa?
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Novembre 2012 08:59
- Scritto da Roberto Calogiuri
Trieste – “L’enigma di Boltzmann”, ultima produzione letteraria di Roberto Curci, sarà presentato alla libreria Lovat il 21 novembre alle 18.00. L’autore - giornalista culturale, scrittore e saggista - con lo sguardo rivolto alla dimensione storica e umana, esamina la società vagliandola attraverso uno schietto senso critico non privo di umorismo.
Abbiamo conversato con Curci, che ha risposto gentilmente a qualche domanda non solo “letteraria”.
Perché Ludwig Boltzmann? Dico la verità? Perché mi faceva comodo. Un personaggio così geniale, così importante per il progresso della fisica, della cosmologia, e di altre branche del sapere scientifico, che viene a Duino in vacanza con la famiglia e qui si uccide, era un boccone troppo appetitoso per non inserirlo in un contesto che possiamo definire “giallo” o “nero”, ma soprattutto in questo incrocio di figure eccellenti che a Trieste, proprio in quegli anni remoti, si trovarono a transitare. E anche nel quadro complessivo, politico e sociale, di una città che cresceva e cresceva, ma era in piena fibrillazione e... già ricchissima di contraddizioni.
Infatti nel romanzo Mahler dice che a Trieste “sta bene pur stando male”. È ancora valido? Penso di sì. Basti pensare alla maggioranza dei triestini di oggi: lamentosi e ignavi, ampiamente depressi, ma che nella loro città stanno come in un comodo guscio. Città vecchia, di vecchi brontoloni, che tuttavia non saprebbero (né avrebbero saputo) vivere altrove. Alla mattina al mare, alla sera in osmiza. Tendenzialmente pomigadori (amanti del dolce far niente, ndr) salvo poi – appunto – lamentarsi di tutto ciò che non va, ma incapaci di muovere un mignolo per migliorare “ciò che non va”. Da qui, tra l'altro, l'inguaribile ostilità caratteriale delle formiche friulane per le cicale triestine...
Ma una volta anche Trieste era piena di “formiche”: musicisti, pittori, letterati, scienziati… Trieste, lo sappiamo, era il grande porto dell'Impero asburgico. Aveva un'enorme forza centripeta, di commistione, che, nel giro di un secolo, si è tramutata in un perverso meccanismo centrifugo. Allora come oggi, era una città litigiosa, contraddittoria, sempre con “la bora in testa”. Ma era una città viva. Oggi, come scrive e dice qualcuno, è suppergiù Necropolis...
Una metafora molto cruda... L'ho già detto: è una città intrisa di contraddizioni, oggi più di ieri. Chi potrebbe fare qualcosa, aiutarla a crescere o almeno a trovare una propria via non perdente, si ritrae, preferisce coltivare i propri piccoli “particolari”, che – beninteso - possono essere anche importanti, meritevoli sotto il profilo culturale. Città di piccoli ma accaniti collezionisti, ad esempio. Città di esperti-espertissimi in molti campi. Ma ignoti gli uni agli altri, tutti chiusi nelle proprie nicchie. Se poi qualcuno decide di darsi da fare per un presunto bene comune, zac, arriva subito il bastone tra le ruote, l'eterno gioco dei veti incrociati, il mi no son bon de far, ma no lasserò che el fazi lu, anche se el podessi..”.
È anche una “Strana città” per Mahler e sua moglie Alma, “buffa” per Joyce, “bizzarra” per Leo Perutz. A Schiele invece piace. “Il mare, il sole, la libertà.” Ancora contraddizioni. È così. Ieri come oggi. Strana, buffa, bizzarra: sono aggettivi ancora validi. Aggiungo: una città che, da un certo punto in avanti, non ha mai cercato di crescere, o almeno di capire cosa avrebbe voluto fare da grande (ammesso che tornare grande, com'era stata, le fosse possibile: ma pare proprio di no). Nessuna vera vocazione, nessuna progettualità, nessuna concordia di intenti. Resta il fatto che il viaggiatore occasionale, come Schiele nel 1907, ne potesse e ne possa apprezzare, appunto, “il mare, il sole” e l'ipotetica “libertà”. Per lui, almeno nel mio libro, almeno su quest'ultimo punto avrà un'amara delusione.
Nel romanzo Mahler dice che il pubblico del Teatro Verdi è composto “di intenditori ma anche di conservatori”. Le due cose coincidono? Mi pare di sì. Ma parliamo di generazioni che sono al capolinea. I veri intenditori, fra i giovani, mi sembrano pochini. E di sicuro non c'è, come c'era un tempo (almeno per certi autori, allora in auge), alcuna curiosità o interesse per tutto ciò che è, non dico contemporaneo, ma appena “moderno”. Basti un'occhiata ai cartelloni degli ultimi decenni, e non parlo solo del Teatro Verdi. Le ultime opere novecentesche che ricordo con grande vivezza risalgono a non so quanti (ma tanti!) anni fa: “Il giro di vite” di Britten, “I diavoli di Loudun” di Penderecki.
Filippo Leis appare spesso nella sua produzione. Qui ha 17 anni, già stanco, pessimista integrale, né arte né parte, due occhi curiosi di tutto, affamato di eventi culturali, sognava una cosa sola: diventare giornalista. Ma giornalisti si nasce o si diventa? Leis è un antieroe. Uno sfigato, continuamente umiliato dalla vita. Quanto alla domanda, rispondo così: per il giornalismo si può avere una certa vocazione, una certa attitudine (vera o presunta), pur non sapendo affatto – succede ai più – che cosa sia davvero la professione. Tuttavia è indubbio che giornalisti si diventa. Mi tocca dire: ai miei tempi... Beh, in effetti, ai miei tempi i giovani “apprendisti” crescevano, in genere, sotto l'ala protettiva di qualche collega anziano, che faceva da nave-scuola. Lo faceva per passare il testimone a un possibile successore, senza temere che gli “facesse le scarpe”, prima o poi. Ma il fatto vero è che, allora, la nave-scuola aveva tempo da perdere... Oggi non ce l'ha più, e quindi ogni giovane di belle speranze si arrangia da sé, senza reti di sicurezza, senza nessuno che lo indirizzi e lo corregga, sia nel taglio degli articoli, sia nella forma, sia nella grammatica e la sintassi. Da cui il diluvio di errori, refusi, granchi colossali... Inimmaginabili solo cinquanta anni fa.
Consiglierebbe a un giovane di fare il giornalista? Assolutamente no. È un mestiere in via di estinzione, almeno nell'accezione invalsa... ai miei tempi. Oggi il cosiddetto giornalista non ha più né tempo né modo di confrontarsi con la realtà, con la vita vissuta. E' inchiodato al desk, fa tutto da sé: telefona (soprattutto), scribacchia, titola, impagina... Ci manca poco che poi spazzi da sé il cubicolo dell'atroce open-space in cui lavora. Ma ci si arriverà....
Che differenza passa tra il giornalismo di un secolo fa e quello di oggi? Alla fin fine, in realtà, abbastanza poca. Era e rimane una professione gregaria, inappagante, legata fortemente ai poteri, forti o deboli che siano, e comunque a una routine micidiale, con sovraccarichi di lavoro insostenibili. Oggi rimane il tempo di fare, non più quello di pensare. A sventolare la bandierina del giornalismo vero rimane una fettina di professionisti (parlo della carta stampata, soprattutto, non di altri media) che crede ancora nel giornalismo d'inchiesta e si spende e si espone in tal senso, anche a costo di gravi rischi. Ma il pericolo vero, anzi il vero ludibrio, è quello che viene dai quotidiani e dai settimanali “schierati”, che parteggiano a prescindere, non solo distorcendo ma inventando di sana pianta. Quello, ovviamente, non è giornalismo, è immondizia: che però viene facilmente digerita, Dio sa come, e magari poi megafonata... Messaggi odiosi che comunque passano.
Fvgnotizie ha già parlato di Roberto Curci: Joyce, Mahler e la termodinamica, un mathematical thriller di Roberto Curci
L’enigma di Boltzmann” - Mgs Press, pagg. 175, € 17,50
Saverio Fattori con il suo “12:47 Strage in Fabbrica” a Trieste. Intervista a uno scrittore operaio sulla vocazione, la fabbrica, la vita.
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- Pubblicato Martedì, 20 Novembre 2012 14:58
- Scritto da Roberto Calogiuri
Trieste – L'evento è stato rimandato a data da destinarsi per motivi indipendenti dalla volontà dell'autore
Saverio Fattori presenterà il suo ultimo romanzo “12:47 Strage in fabbrica”, venerdì 23 novembre alle ore 18 presso la libreria La Fenice. Introduce Francesco Magris. Letture di Giulia Toniutti e Anselmo Luisi.
Fattori ha risposto a qualche domanda sulla scrittura, il lavoro, la vita.
Operaio e scrittore. Più l'uno o l'altro? In che rapporto stanno? Ale, il mio personaggio, non vuole bene a nessuno. È solo, è un puro, pur nella sua follia. A volte sembra ipersensibile, ma vorrebbe essere inumano, feroce. Quanto a me… scrittore e operaio devono necessariamente convivere. L’operaio deve portare a casa i milletrecento euro. Lo scrittore, ha un sacco di tarli nel cervello, ma deve mangiare e deve abbassare il capo. C'è attrito tra le due identità, ed è proprio da questo conflitto che esce la scrittura. Senza conflitto non c'è narrativa urgente. C'è solo mestiere.
E invece Saverio Fattori che vita fa? A lavorare sono spesso silenzioso e di cattivo umore, non mi piace la gente che recita sempre le solite formule, le stesse frasi, buon appetito, dai che oggi è venerdì, si stava meglio a letto stamattina, quindi ascolto nelle cuffiette Radio Tre, la rete più rigorosamente intellettuale. Ma posso bestemmiare e commentare una femmina come l'ultimo dei portuali di Marsiglia. Gioco con la scrittura. E anche con la vita vera. A volte invece sono più umano e mi rendo conto che ogni persona presa singolarmente cela un universo e avrebbe tanto da dire.
Chi ha imparato di più dall'altro? Non è questione di imparare. L'operaio si prende gioco di tutte le paranoie dello scrittore. Lo scrittore osserva l'operaio, l'ambiente in cui si muove e ci lavora sopra. Ma con 12:47 sono andato oltre. In fabbrica ho messo in scena il personaggio che la sera costruivo mentre scrivevo. Mangiavo davvero da solo in mensa. Stavo davvero otto ore con le cuffiette nelle orecchie. Altre cose sono falsissime. Non mi faccio di eroina. E non è vero che ho smesso di lavarmi.
Come viene visto uno scrittore alla catena di montaggio? Non so. Alcuni mi guardano storto, ma nessuno si incavolerà mai apertamente. Magari sono solo paranoie mie. Non frega nulla a nessuno. La mia scrittura stessa si nutre di paranoia e dietrologia. A volte mi sento un bambino che ha fatto una birichinata sfuggita di mano. A volte mi guardano forse davvero come un essere indecifrabile. Mi piace essere un essere indecifrabile, difficile da comprendere. Forse mi temono.
È cambiata la sua vita in fabbrica dopo l’uscita del libro? È tutto nella paranoia, per lo più nulla di concreto. A volte sono un po' imbarazzato. Anche andare a mangiare ogni giorno in una mensa dove hai pensato l'eccidio di 11 persone...è strano. All'uscita del libro mi svegliavo la mattina presto col panico. Non mi piaceva quello che avevo fatto. Mi sentivo un “infame”, un “infiltrato”…
E i capi? Non so. L'idea del libro nasce da un fatto vero: nel 2006 venni degradato da tecnico del Controllo Qualità a operaio di catena di montaggio, per ragioni a tutt'oggi ignote. Non ebbi spiegazioni. Però mi piace che un testo possa germinare da un piccolo fatto di vita vissuta, ma che poi diventa tutt'altro. E Ale vive questo come un dramma, in seguito a questo episodio esce di senno. A Saverio Fattori proprio non può fregar di meno di essere stato degradato.
C'è un nesso tra i suoi romanzi? Cos'hanno in comune? La voce. Credo di avere una voce interiore mia, riconoscibile, qualcuno se n’è accorto, ed è il complimento più bello che mi hanno fatto. Che io parli di vita di provincia nel primo romanzo di formazione (Alienazioni padane), della carriera atletica di un atleta dopato (Acido lattico), o di un operaio che fa una strage in sala mensa, come in quest'ultimo. Una miscela appunto tra emotività estrema e disumanità. Ma non ho scritto una saga, e il mio personaggio non ha una vera e propria evoluzione. È sempre lui posto in situazioni diverse che racconta la sua verità malata al lettore.
C'è un evoluzione di Saverio Fattori? La scrittura lo ha fatto cambiare? È cambiata la sua percezione della realtà? Sì! Da quando scrivo credo di essere cambiato. Se scrivi stai più attento a tutto, diventi un predone di personaggi e fatti, ti interroghi su tutto, non ti arrendi al caso, vuoi spiegazioni, credi che ci siano sempre. Da quando scrivo penso troppo e sto in mutande come diceva Lucio Dalla. In qualche modo sei paralizzato nella vita vera, meno incisivo. Per fortuna faccio sport e credo in questo modo di salvarmi dai tarli umanistici.
Perché la metafora della “Cattedrale” per la fabbrica? È vero che il romanzo doveva intitolarsi cosi? Una prima stesura del testo uscì a puntate sulla webzine Carmillaonline con il titolo Cattedrale. Mi piaceva l'idea di qualcosa di mastodontico, sacro ed opprimente. Di inattaccabile. In qualche modo la religione schiaccia, dà regole. Ma protegge e dà una identità. Come la fabbrica. La libertà credo sia una cosa difficile da gestire. Almeno per me lo sarebbe. Questo fatto che molti uomini si ammalano appena arrivati alla pensione è inquietante. Ma capita davvero. Senza le normali mansioni che hanno scandito quasi l'intera vita, il corpo si spegne.
A cosa serve la letteratura? Quando ha cominciato a scrivere? Non lo so a cosa serve. Mi sembrano più attuali mezzi quali il cinema e la musica. È una questione di velocità. Ma sono troppo complicati nei mezzi, sono un inetto quindi scrivo e basta. Scrivo da quando ho letto il libro di una allora giovane scrittrice modaiola. Mi dissi: se scrive lei posso scrivere anch'io.
È la terza volta che viene a Trieste. Che idea si è fatta della città? Trieste è splendida... una piazza mitteleuropea su un mare bello. Tre gite con colazione al sacco, non ci ho capito nulla. Ma mi fido. Mi fido di voi.
Fvg ha già parlato di Fattori in https://archivio.ilfriuliveneziagiulia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=985:prossimamente-a-trieste-saverio-fattori-con-il-suo-ultimo-libro-12-47-strage-in-fabbrica&catid=25&Itemid=132
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