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Mar11262024

Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Cultura

"Breve vita di Pasolini", un ricordo poetico del suo universo di Nico Naldini

Udine - Il mito dello scrittore maledetto affascina da secoli il pubblico, attratto dalla sua vita senza regole che non può seguire nella quotidianità. Personaggi come Baudelaire e Oscar Wilde sono ancora oggi visti come icone poiché, grazie ai loro scritti, ma soprattutto con il rumore che si creò attorno a loro, sono riusciti a lasciare un segno nella letteratura europea. E in questo "club" c'è anche un nome italiano: Pier Paolo Pasolini.

Il poeta corsaro visse in un'epoca molto diversa dai due rappresentanti del Simbolismo ed Esteticismo, ma l'alone di mistero che seguì il suo assassinio e la vita che fino ad allora aveva fatto contribuirono a rendere indelebile il suo nome. Tante biografie si sono susseguite in questi anni e una delle più riuscite e interessanti è sicuramente "Breve vita di Pasolini" di Domenico "Nico" Naldini (Guanda, 2009), che del famoso artista fu cugino, oltre ad essere poeta e scrittore.

Già uscito nel 2000 con il titolo "Mio cugino Pasolini", edito da Bietti e in versione ridotta, la biografia ripercorre la vita del parente dall'infanzia in Friuli fino all'epilogo nella Capitale. Ma è con la regione del Nordest, e più precisamente nella Casarsa natia dello stesso Naldini, che il futuro regista di "Uccellini e uccellacci" creò un legame profondo, attraverso le lunghe pedalate in bici e le amicizie con i ragazzi del luogo. Quì nacquero le prime poesie di Pasolini in friulano, tappa fondamentale del suo percorso stilistico.

Ma insieme a quelle emerse sempre più anche la sessualità, che ben presto troverà manifestazione in quell'omosessualità che creerà tanto scalpore e accuse verso il poeta. Dopo lo scoppio dello scandalo in Friuli, che gli comporterà l'espulsione dal PCI di Udine, fuggirà infatti con la madre Susanna a Roma, iniziando così un nuovo percorso che porterà alla nascita di libri come "Ragazzi di vita", "Una vita violenta" e la pellicola "Accattone". Da lì alla notorietà nazionale ed europea sarà una scalata sempre più veloce, legandosi a nomi come Moravia, Elsa Morante e Dacia Maraini.

La scrittura di Naldini scorre fluida, scivolando tra i ricordi del cugino e le tappe, umane e professionali, che segnarono la sua carriera. Come l'incontro delle popolazioni del Terzo Mondo, il legame sacro-religioso che troverà espressione nel film "Il Vangelo secondo Marco", le denunce per pornografia ad alcune sue opere e lo smarrimento politico in cui si trovava, aderente al Partito Comunista nonostante i suoi membri condannassero le sue opere.

Naldini non da interpretazioni complottistiche alla morte di Pasolini, ma la collega soltanto all'irruenza di un giovane amante, in uno spiazzo di Ostia dove il regista e il ragazzo coinvolto erano parcheggiati. Poi arrivarono le macchinazioni della stampa, della televisione, le indagini per cercare sicari mai trovati. Ancora oggi, Pasolini rimane un universo a sé, fonte d'ispirazione in mille ambiti diversi, e questa biografia non può che aiutare a capire meglio il personaggio. Leggendo tra le righe, lo si può ancora vedere intento ad ammirare il mondo che lo circonda...

Preti pedofili in Italia. L'inchiesta e le responsabilità di vescovi e pontefici

Preti pedofili. L'inchiesta e le resposabilità di vescovi e pontefici

TRIESTE – Che la pedofilia sia una piaga mondiale è una cosa nota. Come, perché e da quando rappresenti un motivo di grave imbarazzo per la chiesa cattolica italiana è l’oggetto del libro di Federico Tulli, (Chiesa e pedofilia – Il caso italiano, L’asino d’oro edizioni) presentato ieri 20 febbraio alla Libreria Lovat  di Trieste.

Oltre al caso di Don Maks Suard a Trieste, suicidatosi per un abuso compiuto 17 anni prima, i 150 sacerdoti processati nel decennio 2001-2010 per reati di questo genere indicano quanto sia urgente porre attenzione al fenomeno. Nonostante – sottolinea Tulli con viva sorpresa -  il direttore della sala stampa vaticana - mons. Federico Lombardi - gli  abbia detto che non esiste un “caso Italia” e che secondo la Santa Sede si tratta di episodi sporadici nonostante lo scandalo sia esploso in tutto il mondo cattolico.

Il centro della discussione – introdotta  da Simona Maggiorelli giornalista di “Left” e sostenuta dal filosofo della politica Tommaso Dell’Era – ha voluto dimostrare come il problema esista e che il nodo consiste nel fatto che per la chiesa italiana l’abuso sessuale è un peccato e non un reato.

Da questa “derubricazione” deriva che un sacerdote che si macchi di questo delitto viene sì punito dal diritto canonico, ma la pena, in genere, consiste in una vita di “penitenza e umile riservatezza”, quando non in un semplice trasferimento che mette a rischio gli adolescenti di un’altra parrocchia. Pena ridicola e inadeguata se si considera il fatto dal punto divista della vittima.

Per di più l’indagine psichiatrica e legale condotta da Tulli evidenzia come il profilo del’abusatore sia il medesimo del serial-killer: colpisce bimbi particolarmente vivaci, tende a ripetere l’esperienza, ha l’impulso del cacciatore e può aver circa duecento vittime nella sua carriera.

A ciò si aggiunga che un sacerdote gode, rispetto alla popolazione media, del pregiudizio positivo di appartenere alla sfera spirituale, di essere un mediatore con il sacro, di avere la fiducia di chi gli sta accanto, di non dover rispondere a una famiglia dei suoi atteggiamenti.

La tesi sostenuta da Tulli, basata per il 90% su fonti vaticane, è che la cultura clericalizzata non punisce chi compie reati di abuso e violenza, sia fisici che psicologici. Che le “scuse” dei vari pontefici non siano sufficienti né alle vittime né a sanare il fenomeno. Di più: sostiene la responsabilità dei Papi Bergoglio, Ratzinger e Wojtyla nel non aver voluto  o potuto debellare un crimine dalle conseguenze psicologiche devastanti.

Di fronte a tutto ciò, l’autore sottolinea come nessun papa abbia modificato nella sostanza l’atteggiamento della chiesa nei confronti di un valore civile fondamentale come il rispetto dei diritti umani. Al proposito, ricorda che il Vaticano ha mai adeguato il diritto canonico alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (di cui il libro contiene l’unica traduzione integrale).

E perdipiù la Santa Sede rifiuta di fornire all'Onu i nomi dei sacerdoti dimessi dallo stato clericale dopo essere stati giudicati colpevoli di abusi su minori dalla Congregazione per la dottrina della fede. Su quanti siano, cosa facciano e dove si trovino in questo momento vige il più assoluto riserbo.

Di fronte a un atteggiamento omertoso o quantomeno di “difesa dell’istituzione”, gli interrogativi posti dal libro vogliono essere stringenti e drammatici: cosa significano e quanto peso hanno le ambiguità di decine di vescovi che non collaborano con le autorità civili? Perché la Conferenza episcopale non obbliga i vescovi a denunciare i presunti responsabili di abusi alla magistratura italiana?

E poi: quanto incide la responsabilità di certa stampa accondiscendente verso i gerarchi della Chiesa che contribuiscono a sopire o  a negare le reali dimensioni di questo fenomeno criminale? E cosa comporta l'assenza di spirito critico dei giornalisti italiani nei confronti di qualsiasi dichiarazione sul tema rilasciata da Papa Bergoglio? Siamo sicuri che la “tolleranza zero” invocata dal Pontefice corrisponda a fatti concreti?

Nella prefazione al volume, la neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti afferma  he “I preti pedofili vivono su questa terra e devono rispettare le leggi della società in cui vivono, anche se sono convinti che le credenziali vantate rispetto alla sfera del trascendente consentano loro comportamenti caratteristici dei criminali e dei malati mentali”.

Federico Tulli è un giornalista e scrittore.Collaboratore di numerosi periodici, tra cui “Left”, si occupa in prevalenza di divulgazione scientifica, bioetica, laicità e diritti civili. Sul web ha ideato e dirige il magazine “Babylon Post”, è condirettore del quotidiano “Cronache Laiche”, inoltre scrive su "MicroMega" e su “Globalist”, la prima syndication italiana di giornalisti professionisti.
Con L’Asino d’oro edizioni ha pubblicato nel 2010 “Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro”.

[Roberto Calogiuri]

 

 

 

 

Si presenta a Trieste il volume di Boris Pahor "La città nel golfo" per la prima volta in italiano

Si presenta a Trieste il volume di Boris Pahor

Trieste - Giovedì 19 febbraio, alle 18, presso la Libreria Lovat di Viale XX settembre 20 a Trieste, alla presenza dell'autore, si terrà la presentazione del volume di Boris Pahor "La città nel golfo", edito da Bompiani, per la prima volta in versione italiana grazie alla traduzione di Marija Kacin.

Il romanzo, in buona misura autobiografico, è ambientato tra Trieste e il Carso nei giorni seguenti il drammatico 8 settembre 1943, quando il protagonista tenta di tornare a Trieste dopo aver abbandonato in Lombardia la divisa di militare italiano per unirsi alle forze della Resistenza jugoslava.

Riparato a Prosecco per sfuggire a un rastrellamento dei tedeschi, il giovane protagonista vive una serie di incontri con gli abitanti del piccolo borgo carsico, che sono il pretesto per una variegata riflessione sulla condizione della comunità slovena alla vigilia, ancora di là da venire, della Liberazione dal nazifascismo.

Nell’incontro pubblico alla Lovat colloquieranno con l’autore la traduttrice Marija Kacin, Tatjana Rojc, studiosa di lettere slovene e letterature comparate e il giornalista Walter Chiereghin, direttore del mensile Trieste Artecultura.

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