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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Le Giornate del Cinema Muto celebrano la dinastia dei Barrymore e la nascita del technicolor

Le Giornate del Cinema Muto celebrano la dinastia dei Barrymore e la nascita del technicolor

Pordenone - È la spettacolarità l'elemento che caratterizza la 33a edizione delle Giornate del Cinema Muto, presentata la nuova rassegna, che avrà luogo al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone dal 4 all'11 ottobre prossimo, con replica dell'evento con l'orchestra domenica 12 ottobre.


Difficilmente il pubblico potrà resistere al desiderio di vedere sul grande schermo attori leggendari comeJohn Barrymore, Chaplin oDouglas Fairbanks. O film mitici comeBen Hur,I Nibelunghi oIl pirata nero, kolossal che ancora oggi sorprendono per la ricchezza dei  mezzi utilizzati per la loro realizzazione. Una ricchezza non disgiunta dalla ricerca tecnica e dal rigore stilistico, come nel caso deiNibelunghi di Fritz Lang, che a Pordenone viene presentato - nell'ambito della sezione dedicata al "Canone rivisitato" - nella versione integrale restaurata.

Cinque ore di grande cinema, divise in due parti,Sigfrido eLa vendetta di Crimilde, ispirate alla più famosa saga della letteratura tedesca e che si discostano parecchio dalla visione teatrale e musicale di Wagner.

Si è più volte notato lo sviluppo tecnico prodigioso che la settima arte era riuscita a compiere in meno di trent'anni, dalla sua nascita alla fine dell'Ottocento, ai capolavori degli anni '20 come appuntoBen Hur eI Nibelunghi.

Ed è senz'altro prerogativa di un'istituzione ormai consolidata e celebrata anche oltreoceano come le Giornate, quest'anno pure sottoil patrocinio della Presidenza Italiana del Consiglio dell'Unione Europea, la possibilità di presentare in un unico palinsesto la produzione di quei tre decenni. In questo contesto è significativo l'inserimento nel programma delle prime serate dell'omaggio di all'AIRSC, l'Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema, nel cinquantenario della sua fondazione. Vengono presentate 11 pellicole di datazione compresa tra il 1905 e il 1915, conservate per l'AIRSC alla Cineteca Nazionale di Roma e provenienti dal Fondo Josef Joye, una raccolta molto ampia di film delle origini. È anche un modo di rendere omaggio a colui che di questa collezione si era occupato per primo, favorendone la preservazione: il grande amico, nume tutelare e primo direttore delle Giornate del Cinema MutoDavide Turconi.

Informazioni e programma completo al link: www.giornatedelcinemamuto.it; email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; tel 0434 26810
 

Abel Ferrara presenta Pasolini al pubblico del Visionario

Abel Ferrara presenta Pasolini al pubblico del Visionario

Ci sono parole tristemente ingrigite dall’abuso quotidiano. E ci sono uomini per cui quelle stesse parole riacquistano automaticamente la potenza originaria.

Uomini come Abel Ferrara o Pier Paolo Pasolini, insomma, capaci di restituire il giusto valore e il giusto colore a parole come eccesso o scandalo… Se l’incontro cinematografico tra i due giganti era, forse, prevedibile, è invece felicemente inattesa la notizia appena confermata dal management del grande regista newyorkese: sabato 28 settembre, infatti, Abel Ferrara presenterà il suo applaudito e controverso Pasolini al pubblico del Visionario di Udine (alle 20.15) e di Cinemazero di Pordenone (alle 21.30)!

Un appuntamento importante che chiude il cerchio della lavorazione del film, durante la quale la produzione consultò il patrimonio pasoliniano conservato dall’Archivio Fotografico Cinemazero Images, da moltissimi anni custode e promotore di iniziative legate all’attività e alle memoria del poeta friulano. Abel Ferrara, memorabile autore del Cattivo tenente, ricostruisce l’ultimo giorno di vita di Pasolini e lo fa insieme al suo attore feticcio Willem Dafoe, straordinario interprete di un film eccessivo e scandaloso (tornando agli aggettivi di qualche riga fa), ardente e tragico, fortemente sospeso tra realtà e immaginazione. È la notte fra il 1° e il 2 novembre 1975 quando PPP viene assassinato.

Simbolo di un’arte che si è scagliata contro il potere, i suoi scritti provocano terremoti e i suoi film vengono perseguitati dalla censura. Molti sono quelli che lo amano, non pochi quelli che lo odiano. Il giorno della sua morte, Pasolini trascorre le ultime ore in compagnia dell’amatissima madre e degli amici più cari, poi esce a bordo della sua Alfa Romeo in cerca di avventure… All’alba del 2 novembre il cadavere di Pasolini viene ritrovato all’idroscalo di Ostia. E il resto, purtroppo, è storia. Alla maniera di Petrolio, il romanzo incompiuto di Pasolini, il film di Ferrara è un’opera che non si può raccontare, perché «al suo interno accade in continuazione qualcosa».

Lo stesso Ferrara, del resto, non ha consegnato alla stampa le tradizionali note di regia, bensì una breve riflessione-confessione in versi: «In cerca della morte di un poeta / solo per scovare l’assassino dentro di me / mentre affila le sue lame di ignoranza / sulle memorie delle mai dimenticate gesta». Attorno a Willem Dafoe, ricordiamo, gravita un cast all stars: il pasoliniano Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Adriana Asti e Maria de Medeiros nel ruolo di Laura Betti. La voce italiana di Dafoe è quella di Fabrizio Gifuni.

Anime nere per spettatori in cerca di risposte

Anime nere per spettatori in cerca di risposte

Trieste – Girato negli stessi luoghi che racconta, e recitato nel dialetto di quei luoghi, “Anime nere” è un film che non concede sconti al sentimento né risparmia la durezza aspra e primitiva della Calabria, delle sue radici arcaiche e della sua criminalità organizzata.

Sebbene non si contino i grandi film sulla mafia, “Anime nere” – ispirato al romanzo di Gioacchino Criaco -  ha uno spessore sottile eppure tagliente e tanto penetrante da renderlo una narrazione di grande energia: scarna ed elementare come le emozioni che racconta. Lenta e ritmata come il tempo dei pastori in Aspromonte. Sanguinaria, estrema e senza ritorno come dev’essere ogni grande tragedia.

Assieme alla regìa (Francesco Munzi) che illumina (tra i tanti meriti) un eccellente e profondo spaccato antropologico e sociale, domina una fotografia (Vladan Radovic, lo stesso di “Smetto quando voglio”) che completa e corona l’atmosfera di aridità pietrosa e desolata che avvolge quasi ogni scena.

Un plauso anche al casting (Icaro Lorenzoni e Stefania De Santis) se non altro perché, fin dall’inizio, già soltanto i volti duri e scolpiti degli attori si muovono sulla scena come maschere tragiche e annunciano un dramma imminente e pauroso e lo fanno in una lingua che l’orecchio non è abituato a sentire e che, forse, i sottotitoli privano dell’alone arcano e impenetrabile del mistero che stanno rappresentando.

Un mistero e un dramma che colgono lo spettatore alla sprovvista per due volte. E per due volte lo obbligano a interrogarsi sul perché della presenza di tanto grande male tra gli uomini. E così, anche uno sperduto angolo di mondo come la montagna calabrese diviene il teatro di un dramma più ampio in cui la donna, l’amore e la religione hanno soltanto un ruolo accessorio e marginale.

Perché la ‘ndrangheta, qui, altro non sembra se non una rappresentazione del male da cui non c’è riparo, quasi un codice genetico negativo che si annoda attorno alle vite di tre fratelli e le avviluppa in un intrico che niente riesce a sciogliere. Un labirinto inevitabile in cui la normalità diviene incapacità di adattamento. In cui la dissoluzione rimane l'unico plausibile punto d’arrivo di una sciagura totale che nasce da un banale puntiglio.

Contrariamente alle rappresentazioni dei calabresi date dalla letteratura novecentesca, il merito di questo film è di spostare l’attenzione su una terra ancora misteriosa e impenetrabile tentando, a modo suo, di dare una risposta lirica a qualcosa che risposta non ha, vale a dire l’inclinazione indecifrabile dell’uomo verso il potere e la morte.

Eppure la vicenda è articolata in modo tale che la fine, terribile e inattesa, riapre la discussione e rilancia l’interrogativo sull’indole dell’uomo e il dubbio sulla sua capacità di comprendere il mistero della vita. Da vedere.

[Roberto Calogiuri]

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