Sentimenti e ipocrisia pirandelliani portati in scena da un grande Teatro Armathan
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Sabato, 31 Ottobre 2015 11:06
- Scritto da Timothy Dissegna
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Gorizia – Continua con una commedia tutt'altro che spensierata l'edizione numero 25 del Festival Teatrale Internazionale “Castello di Gorizia”, che nella cornice del Kulturni Dom ha visto andare in scena ieri sera la pirandelliana “L'uomo, la bestia e la virtù”. Protagonista il Teatro Armathan di Verona.
Diretta da Marco Cantieri, quest'opera, spesso definita minore tra quelle scritte dal drammaturgo siciliano, racconta la farsa a tratti grottesca del Professor Paolino (Marco Cantieri), rigoroso insegnante privato, e della signora Perella (Elena Fasanari), madre di un suo allievo e sua amante, per mascherare la loro relazione.
Lei, però, è sposata con il capitano Perella (Arnaldo Pernigo), marinaio con una doppia vita a Napoli e che non tiene in considerazione la moglie. Proprio a causa di queste mancanze coniugali, Paolino si discolpa dicendo di “aver colto un frutto dall'albero abbandonato”, ma un grosso problema costringe i due amanti a far riaccendere il desiderio nel terzo, in modo da oscurare la loro relazione.
Come ha abituato gli appassionati di letteratura e teatro fin da subito, Pirandello cala maschere sui volti dei personaggi, che a loro volta non hanno difficoltà a scambiarsele, nasconderle, accentuarle a seconda dell'esigenza. Il confìne tra verità e menzogna, di conseguenza, si assottiglia a tal punto da diventare mera illusione e ipocrisia, fatiscenza in un intrigo che ha come unico scopo nascondere lo scandalo.
Attorno al trio “amoroso” ruotano personaggi che aumentano la comicità della situazione, intesa ovviamente nei termini dello stesso autore (andando oltre la risata, quindi l'apparenza, per capire cosa si celi dietro all'apparente ilarità): il dottor Pulejo, che aiuta il Professore nel problema; il piccolo Nonò, figlio dei Perella; Totò, fratello del medico e apparentemente deficiente, ma in realtà ben più astuto di quanto sembri.
Cantieri, che ha optato per una scenografia all'essenziale e stilisticamente ermetica, come se fosse un muro ricco di porte, ha dato respiro a una commedia tragica dove la risata è sintomo di malessere interiore: gli attori diventano maschere sia metaforicamente che fisicamente. E l'interpretazione dello stesso regista getta ombre sull'animo umano la cui faccia, come racconta Pirandello, non nasconde nulla. O al meno pensiamo che sia così.
“Scandalo”: spaccato di costellazioni familiari al Rossetti fino al 1° novembre
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- Pubblicato Venerdì, 30 Ottobre 2015 11:00
- Scritto da Sara Galiza
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Trieste – Sarà in scena al Rossetti, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, lo spettacolo “Scandalo” fino a domenica 1o novembre. Questa è la prima produzione dell'attuale direttore dello Stabile, Franco Però.
In scena oltre a due enormi nomi del teatro e del cinema italiani, quali Franco Castellano e Stefania Rocca, si esibiscono, per la prima volta a Trieste, i membri delle Compagnia Stabile, voluta dallo stesso Però. Il testo è un'opera inedita di Arthur Schnitzler, medico, scrittore e drammaturgo austriaco.
Il testo, datato, si distingue felicemente per l'attualità delle argomentazioni. La vicenda ci mostra lo spaccato di vita di una famiglia borghese: un gioco a volte crudele, a cui assistono, appena fuori scena, gli stessi personaggi, prima di divenire essi stessi parte della storia. La tragica morte di uno dei figli, da avvio alla vicenda, come se una porta si spalancasse sull'ignoto. Hugo, morente, rivela agli altri membri della famiglia di avere una compagna illegittima, dalla quale ha anche avuto un figlio. Chiede ai suoi familiari di accogliere questi due sconosciuti, a lui tanto cari. Cosa succede all'uomo quando è costretto a fare i conti con il senso di appartenenza? Questa è la principale domanda che pone al pubblico, questo testo, nella versione inscenata da Però per la Compagnia dello Stabile.
Nell'elegante scenografia curata da Antonio Fiorentino, gli attori lavorano tutti al di qua di una parete, che metaforicamente li separa dal mondo esterno. La casa diventa il contenitore di tutte le idiosincrasie dei protagonisti.
Il regista sembra volerci mettere davanti ad un minestrone di umanità, dove non si può stare troppo a giudicare: o mangi questa minestra, o salti questa finestra. Lo spettacolo rimanda senza appello a ciò che in questi giorni avviene proprio al di fuori delle nostre porte di casa. Ci mostra che la paura dell'invasione e della contaminazione da parte di chi è diverso da noi, ci abita innanzitutto in quanto esseri umani.
A fare da sottofondo a tutto questo tracimare di umanità ci sono le musiche originali di Antonio Di Pofi, che coloriscono, sottolinenandolo, lo spaesamento tanto del pubblico quanto degli attori, di fronte alle scelte obbligate. Viene da domandarsi, che cosa non si farebbe per amore di un figlio. Viene da domandarsi se sia davvero impossibile smettere di perpetrare gli errori dei padri. Viene da domandarsi se da centocinquant'anni a questa parte non sia cambiato proprio nulla. Franco Però e la sua compagnia portano in scena tutto questo.
Lo fanno con spirito, senza timore. La volontà mostrata è quella di tenere in piedi la quarta parete, come a dire, che non ci sono solo i muri visibili a segnare le nostre esistenze. Più pericolosi e più subdoli possono essere quelli invisibili: solo l'attore Franco Castellano, sfida la parete invisibile e ci raggiunge, in un unico istante, per venir a interloquire direttamente con chi abita nell'ombra. É un'allegoria questo spettacolo, della pochezza e della bassezza alle quali siamo soliti assoggettarci. La tragica fine dello spettacolo cala sugli spettatori come un'annunciazione. Mirabile il lavoro di Lara Komar, che non lascia nulla al caso nella sua interpretazione di Franziska. Tutto, nei gesti e nell'incedere, nel ritmo della parola, illustra e spiega l'animo del suo personaggio. La sua interpretazione scende dal palco, e sussurra di amore e dolore alle orecchie di tutti i presenti. Lo spettacolo è una produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Artisti Riuniti e Mittelfest 2015.
Lo spettacolo sarà in replica alla Sala Assicurazioni Generali con il medesimo orario, 20.30, eccettuato la replica pomeridiana di domenica 1o novembre, prevista per le ore 16.
Per abbonamenti e per i posti ancora disponibili ci si può rivolgere presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, i consueti circuiti o accedere alla vendita online attraverso il sito www.ilrossetti.it
Il Verdi di Gorizia inizia la stagione con "Cabaret", tra paura di vivere e fragile solitudine
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- Pubblicato Martedì, 27 Ottobre 2015 00:02
- Scritto da Timothy Dissegna
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Gorizia – La Prosa fa il suo debutto stagionale al Teatro Verdi con uno dei musical più celebri e rappresentati, debuttante a Broadway nel 1966: “Cabaret”, andato in scena ieri sera nel capoluogo isontino per la regia di Saverio Marconi e prodotto dalla Compagnia della Rancia.
Anticipato dai consueti saluti di rito da parte del Sindaco Romoli, che ha posto l'accento su come Gorizia sia da anni una città che si nutre di cultura, e del direttore artistico Walter Mramor, sponsorizzando i prossimi appuntamenti in cartellone, lo spettacolo scelto per l'inizio della stagione si è subito presentato provocatorio agli occhi del pubblico che ha riempito il teatro.
Sul palco, in frack e volto sbiancato, un suggestivo Giampiero Ingrassia (foto Sorrisi.it) incarna un altrettanto ambiguo maestro di cerimonie, che invita gli spettatori, appena il sipario si alza, a lasciare ogni problema fuori dal Kit Kat club: un fatiscente cabaret più simile a un bordello che a un locale di comici e risate. L'invito, si capirà presto, non viene accolto da tutti i presenti.
Lo sfondo è quello della Berlino degli anni '30, tormentata dalla miseria e assediata dallo spettro del Nazismo che si infiltra piano piano nella vita di tutti: tra il Kit Kat e una pensione si intrecciano le vite di Cliff (Mauro Simone), giovane scrittore americano alla ricerca tormentata di storie, e della ballerina Sally (Giulia Ottonello), che sogna di diventare una stella del teatro.
I due si incontrano e si innamorano, mentre attorno a loro amore e sesso allineano e discostano i propri contorni tra di loro come ombre flebili: c'è la padrona di casa e il fruttivendolo ebreo che decidono di sposarsi e la prostituta “fiera di servire la nazione”, andando a letto ogni sera con un marinaio diverso. E poi ci sono le ballerine mezze nude del cabaret, corpi lussioriosi che danzano attorno alle canzoni del cerimoniere.
Quando la vita sembra essere indirizzata su un binaro preciso, però, ecco che la Storia fa la sua brusa comparsa nella vita di tutti noi: i timori cambiano, i nemici e amici pure, le uniche alternative sono scappare o adattarsi. Cliff opterebbe per la prima, con Sally, ma la fragilità di una ragazza incapace di vivere frantuma ogni speranza come vetro.
L'invito di Ingrassia all'inizio ha bisogno di praticamente tutto lo spettacolo per darsi una spiegazione. Nel frattempo, però, tra le prime file una famiglia con una bimba piccola si alza nei primi minuti: è innegabile che certe scene rasentino la volgarità, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, ma ogni gesto alla fine trova una risposta nel grigiore meccanico che il Nazismo porterà con sé. Fino a strappare la vita ai corpi carnali, è vero, ma pur sempre vivi.
La scelta coraggiosa, visto l'adattamento scelto dal regista Marconi all'opera di Joe Masteroff, a sua volta ispiratosi ai testi di John Van Druten e Christopher Isherwood, del Verdi alla fine ripaga: le risate spesso muoiono tra i denti, smorzando i sorrisi in espressioni pensierose, mentre le doti canore della Ottonello sono entusiasmanti.
Meno brillante per lunghi tratti è stato invece Simone, che comunque ha saputo dare spirito all'unico personaggio della storia che punta a vivere e non sopravvivere; Ingrassia, infine, è stato il dionisio e giano bifronte che ha dato lussuria e voce ai pensieri dei protagonisti: il suo sguardo e voce hanno gelato il sangue, mentre ora torna lentamente a circolare nell'attesa del prossimo appuntamento al Verdi.
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