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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Il Verdi di Gorizia inizia la stagione con "Cabaret", tra paura di vivere e fragile solitudine

Il Verdi di Gorizia inizia la stagione con

Gorizia – La Prosa fa il suo debutto stagionale al Teatro Verdi con uno dei musical più celebri e rappresentati, debuttante a Broadway nel 1966: “Cabaret”, andato in scena ieri sera nel capoluogo isontino per la regia di Saverio Marconi e prodotto dalla Compagnia della Rancia.

Anticipato dai consueti saluti di rito da parte del Sindaco Romoli, che ha posto l'accento su come Gorizia sia da anni una città che si nutre di cultura, e del direttore artistico Walter Mramor, sponsorizzando i prossimi appuntamenti in cartellone, lo spettacolo scelto per l'inizio della stagione si è subito presentato provocatorio agli occhi del pubblico che ha riempito il teatro.

Sul palco, in frack e volto sbiancato, un suggestivo Giampiero Ingrassia (foto Sorrisi.it) incarna un altrettanto ambiguo maestro di cerimonie, che invita gli spettatori, appena il sipario si alza, a lasciare ogni problema fuori dal Kit Kat club: un fatiscente cabaret più simile a un bordello che a un locale di comici e risate. L'invito, si capirà presto, non viene accolto da tutti i presenti.

Lo sfondo è quello della Berlino degli anni '30, tormentata dalla miseria e assediata dallo spettro del Nazismo che si infiltra piano piano nella vita di tutti: tra il Kit Kat e una pensione si intrecciano le vite di Cliff (Mauro Simone), giovane scrittore americano alla ricerca tormentata di storie, e della ballerina Sally (Giulia Ottonello), che sogna di diventare una stella del teatro.

I due si incontrano e si innamorano, mentre attorno a loro amore e sesso allineano e discostano i propri contorni tra di loro come ombre flebili: c'è la padrona di casa e il fruttivendolo ebreo che decidono di sposarsi e la prostituta “fiera di servire la nazione”, andando a letto ogni sera con un marinaio diverso. E poi ci sono le ballerine mezze nude del cabaret, corpi lussioriosi che danzano attorno alle canzoni del cerimoniere.

Quando la vita sembra essere indirizzata su un binaro preciso, però, ecco che la Storia fa la sua brusa comparsa nella vita di tutti noi: i timori cambiano, i nemici e amici pure, le uniche alternative sono scappare o adattarsi. Cliff opterebbe per la prima, con Sally, ma la fragilità di una ragazza incapace di vivere frantuma ogni speranza come vetro.

L'invito di Ingrassia all'inizio ha bisogno di praticamente tutto lo spettacolo per darsi una spiegazione. Nel frattempo, però, tra le prime file una famiglia con una bimba piccola si alza nei primi minuti: è innegabile che certe scene rasentino la volgarità, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, ma ogni gesto alla fine trova una risposta nel grigiore meccanico che il Nazismo porterà con sé. Fino a strappare la vita ai corpi carnali, è vero, ma pur sempre vivi.

La scelta coraggiosa, visto l'adattamento scelto dal regista Marconi all'opera di Joe Masteroff, a sua volta ispiratosi ai testi di John Van Druten e Christopher Isherwood, del Verdi alla fine ripaga: le risate spesso muoiono tra i denti, smorzando i sorrisi in espressioni pensierose, mentre le doti canore della Ottonello sono entusiasmanti.

Meno brillante per lunghi tratti è stato invece Simone, che comunque ha saputo dare spirito all'unico personaggio della storia che punta a vivere e non sopravvivere; Ingrassia, infine, è stato il dionisio e giano bifronte che ha dato lussuria e voce ai pensieri dei protagonisti: il suo sguardo e voce hanno gelato il sangue, mentre ora torna lentamente a circolare nell'attesa del prossimo appuntamento al Verdi.

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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