Cultura
I distillati Bepi Tosolini nei ristoranti di Expo 2015
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- Pubblicato Venerdì, 29 Maggio 2015 12:45
- Scritto da Fabiana Dallavalle
Oltre mille bottiglie inviate a Milano per il primo mese di Expo: la Distilleria Bepi Tosolini è protagonista di Expo 2015 grazie all’accordo con CIR Food, la cooperativa italiana della ristorazione che gestirà all’interno delle strutture Expo ben 20 ristoranti dove saranno venduti i distillati Bepi Tosolini. Cir Food, vero colosso della ristorazione con 75milioni di pasti erogati annualmente e circa 11mila dipendenti, gestirà per tutto il corso dell’esposizione universale 4 ristoranti free flow, 8 locali quick service, 4 caffetterie snack e il ristorante con servizio al tavolo Aromatica, in collaborazione con CHIC, Charming Italian Chef. A questi si aggiungono 3 punti ristoro (bar, ristorante, area picnic) nella Cascina Triulza, l’antica costruzione rurale già presente all’interno del sito espositivo di Expo che celebra l’ origine contadina e agricola del territorio milanese. La distilleria Tosolini in esclusiva per CIR Food sarà ambasciatrice del made in Friuli ed offrirà al pubblico internazionale il meglio della produzione: il Most, l’acquavite d’uva, e l’Amaro Tosolini saranno i protagonisti di degustazioni e presentazioni che vedranno la famiglia coinvolta in prima linea durante tutto il periodo. Un successo annunciato visto che solo la prima fornitura ai locali CIR di Expo segna oltre mille bottiglie: un numero destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi mesi per arrivare a oltre 60.000 bicchieri di distillato e amaro serviti all’esposizione universale, un gran bel bacino di utenza di nuovi potenziali consumatori di grappa friulana nel mondo. “Expo è una grande opportunità di crescita e di visibilità internazionale per la nostra distilleria - racconta Giuseppe Tosolini, direttore vendite Italia - siamo presenti sul mercato italiano da oltre 70 anni e nei mercato esteri stiamo rafforzando la nostra identità. Eravamo presenti a Shanghai per l’Expo2010 e ripartiamo da Milano 2015 pensando al futuro. Il fatturato export è cresciuto del 25% negli ultimi 3 anni soprattutto negli Stati Uniti, Canada e Cina dove il distillato italiano sta riscuotendo un meritato successo”. Nutrire il pianeta, tema principe dell’edizione italiana di Expo è stato accolto dalla Bepi Tosolini che vuole raccontare la storia dell’azienda di famiglia attraverso l’ingrediente principale e 100% naturale: la vinaccia. "La vinaccia - spiega Lisa Tosolini, responsabile export e comunicazione - è il cuore della grappa, l’elemento vitale da dove partiamo per ottenere un distillato nobile e dai profumi meravigliosi. La vinaccia, ovvero ciò che rimane dal processo di vinificazione, e il suo percorso sono strettamente legati alla terra attraverso un ciclo di vita che parte dall'uva e dalla vigna, e che nella vigna ritorna una volta terminata la distillazione. La vinaccia è energia per la vita, un prodotto buono che rispetta l'ambiente e del quale non vi sono sprechi: una volta uscita dall'alambicco può essere utilizzata come fertilizzante e rinascere”.
Aldo Cazzullo a èStoria: "La Resistenza è di tutti noi, grazie a lei abbiamo la Costituzione"
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- Pubblicato Martedì, 26 Maggio 2015 09:48
- Scritto da Timothy Dissegna
Gorizia - Ospite per due giorni del Festival èStoria, Aldo Cazzullo ha presentato e raccontato gli ultimi suoi due libri, "La guerra dei nostri nonni" (Mondadori, 2014) e "Possa il mio sangue servire" (Rizzoli, 2015). L'ultimo incontro è stato domenica 24 mattina, durante il quale ha presentato il volume dedicato alla Resistenza e ai suoi protagonisti, tra lettere strazianti e pagine nere.
L'abbiamo incontrato al termine dell'appuntamento, dopo che la coda di pubblico con il libro in mano per la dedica si era finalmente esaurita, e accompagnando il celbre giornalista del Corriere della Sera in albergo abbiamo avuto modo di approfondire i legami tra ieri e oggi.
Quanto è stato difficile scrivere sulla Resistenza, sapendo che per anni è stata oggetto delle varie fazioni politiche?
Non è stato difficile, nel senso che è bastato ripristinare dei concetti, da una parte ovvi (ma ovvietà messe troppe volte in discussione in Italia) e dall'altra concetti in cui io credo profondamente: il primo, combattere i nazisti era giusto, accanto i nazisti sbagliato.
Poi la Resistenza non appartiene a un partito, a una fazione, ma alla nostra comunità, alla nazione. Venne fatta ai partigiani, tra cui c'erano comunisti, socialisti, liberali, monarchici, cattolici e tanti ragazzi senza ideologia che, semplicemente, non volevano andare a combattere per Salò.
E poi la Resistenza fu fatta dai civili, dalle donne, dai carabinieri, dagli internati in Germania (615.000 soldati italiani che scelsero di rimanere nei lager nazisti subendo la fame, le botte e l'umiliazione, pur di combattere a Salò contro altri italiani.
Fu fatta dalle suore, dai preti, è un patrimonio della nazione e per questo ci tenevo a farlo emergere, perche in questi anni sono nate delle versioni parziali o false: parzili perche la Resistenza è stata presentata come una cosa solo di sinistra, fazzoletti rossi e Bella ciao!, false perchè negli ultimi anni è emerso quasi che i partigiani fossero i cattivi e i ragazzi di Salò i buoni.
Non è andata così e ho voluto riprovare che i vinti, come li chiamiamo adesso, sono vinto dopo il 25 aprile ma prima hanno il coltello alla parte del manico e lo usano, mente i vincitori venivano braccati, fucilati senza processo.
Oggi (il 24 maggio, ndr) ha parlato di Porzûs: quanto è importante far chiarezza oggigiorno su questi avvenimenti controversi?
In realtà quello che è successo si sa, l'importante è che non ci siano mistificazioni e che la memoria venga conservata e diffusa. Vedi, più che controverso è un crimine orrendo, perché purtroppo furono partigiani italiani contro altri partigiani italiani, egemonitati dai titini: è una delle pagine più nere della Resistenza, e anche quelle vanno raccontate nell'interesse della grande maggioranza dei resistenti.
C'è un capitolo nel mio libro su Porzûs, nel quale racconto la vicenda di Guido Pasolini, con questa bellissima lettera al fratello Pier Paolo in cui chiede che la madre invii lì "i fazzoletti tricolore perché vogliamo indossare quelli".
E in un post scrittum commovente gli chiede scusa se non ha potuto rileggere la lettera perché deve risalire in montagna immediatamente: questo ragazzo sta andando a farsi ammazzare e chiede scusa al fratello, che sa essere bravissimo scrittore, perché non sa se la lettera è mal scritta. È bellissimo.
C'è una questione un pò nominalistica, guerra civile o di liberazione, ma è una questione che mi interessa poco. Sì, tecnicamente fu una guerra civile, ma attenzione: gli uni erano al servizio dei tedeschi, gli altri hanno contribuito a costruire la democrazia perché, è una cosa che si dice poco, la Costituzione l'abbiamo potuta scrivercela noi, anzichè dagli americani com'è successo con i giapponesi, è stato anche perché c'è stata la Resistenza.
Il tema di quest'anno a èStoria è "Giovani": cosa lascia loro la Liberazione e, ancora più indietro, la Prima Guerra Mondiale?
Ogni generazione ha la sua guerra da combattere, cento anni fa i nostri nonni vinsero la Grande Guerra, i nostri padri quella di Liberazione con il contributo essenziale delle donne, e oggi dobbiamo combattere contro la sfiducia, l'approssimazione, il degrado morale del nostro Paese.
È quindi importante che i giovani sappiano che questa memoria sia trasmessa, perché essere italiani non è una sfortuna come si tende a pensare, ma un’opportunità e una responsabilità. Neanche a me piace l'Italia di oggi, ma è l'unica che abbiamo e possiamo, dobbiamo migliorarla un po' alla volta.
La memoria dei resistenti è importante perché, accanto ai troppi cattivi esempi che stiamo dando ai ragazzi, questi devono sapere che c'era chi è stato disposto a sacrificare la propria libertà e vita per la democrazia.
La stampa ha avuto spesso un ruolo centrale prima e durante le guerre: con D'Annunzio sul Corriere prima della Grande Guerra, la propaganda fascista nella Seconda. Come vi si relaziona lei oggi, di fronte a una guerra che si preannuncia globale contro il terrorismo?
Oggi la stampa è molti più libera di quello che si pensi. Certo, dobbiamo ragionare con la nostra testa, non dobbiamo né diventare propagandisti del nostro fronte, ma nemmeno sottacere il pericolo. Noi abbiamo riempito i giornali per mesi e mesi sulla crisi ucraina, perché ci era familiare, ricordava gli schemi di quando eravamo ragazzi, della Guerra Fredda, Mosca contro Washington.
Era importante seguirla, ma si capiva che poi si sarebbe arrivatia una qualche forma di compromesso, seppur doloroso e sanguinoso. Mentre poi, improvvisamente, ci siamo accorti che avevamo l'ISIS in Libia: perché la guerra della nostra generazione non è più quella Fredda, è questa. Intanto è una guerra civile del mondo islamico, e c'è una parte dei contendenti che vuole tirarci dentro, sapendo quanto siamo odiati dal mondo islamico e colpiscono l'Occidente a fini di propaganda interna.
Noi dobbiamo essere consapevoli, non dobbiamo diventare propagandisti di nessuno ma non dobbiamo nemmeno sottacere i rischi che questo comporta.
Non è che se ne parla tanto: sta nascendo un Califfato islamico tra l'Iran e l'Iraq, dobbiamo avvertire il pericolo che stiamo correndo. Io sono per l'apertura al mondo globale e per l'accoglienza, per chiudere la rotta di Lampedusa perché dobbiamo salvare le vite umane ma non lasciare che gli africani si mettano nelle mani di mercanti di schiavi, però dobbiamo sapere chi siamo, da dove veniamo, quali sono le nostre radici, i nostri valori.
L'importante è raccontare la realtà con spirito critico e con la libertà che i giornalisti si devono conquistare ogni giorno. E dipende soprattutto da noi: temo molto di più l'autocensura che non la censura.
Il Congresso di Vienna raccontato e analizzato a èStoria da Sergio Romano e Brian Vick
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- Pubblicato Lunedì, 25 Maggio 2015 21:05
- Scritto da Timothy Dissegna
Gorizia - Il 2015 non è solo l'anno del centenario della Grande Guerra, ma segna anche i 200 dalla caduta di Napoleone. Un appuntamento che èStoria non ha dimenticato affatto e, domenica 24 alle 12, ha trovato spazio sotto la Tenda Erodoto di Corso Verdi con l'incontro "1815. Il Congresso di Vienna": ospite Sergio Romano, firma del Corriere ed ex ambasciatore a Mosca, e Brian Vick, docente di Storia moderna della Germania e dell'Europa centrale nel '900 alla Emory University di Atlanta, intervistati da George Meyr, professore al corso di laurea di Scienze Internazionali Diplomatiche.
A introdurre la platea, giunta numerosa all'evento, ci ha pensato Romano, collegando quello che fu l'avvenimento più importante del XIX secolo a più recenti scenari geopolitici, come la Guerra Fredda. Si è cosi passati dalla ridefinizione dei confini francesi dopo Waterloo, riportati a quelli del 1792, al terrore per lo scoppio di una guerra mondiale, arginato in qualche modo con la possibilità per USA e URSS di poter costruire solo una base antiaerea: in questo modo, ha spiegato l'ex ambasciatore, la paura di aver fianchi scoperti ha tenuto in stallo il mondo per 30 anni.
Quando, però, alla Casa Bianca arrivò Bush figlio, "meno saggio del primo" lo ha definito Romano, il patto firmato nel '72 era ormai finito e si volle costruire basi in punti strategici. Ma per combattere chi, visto che il Comunismo era ormai caduto? "Contro i 'Paesi canaglia', li aveva definiti" ha continuato l'ospite, interrogandosi poi sul senso di creare una base in Iran: "Ho girato e rigirato la cartina geografica, ma non l'ho capito".
Tornando al tema, Vick ha poi raccontato del clima che si respirava all'epoca a Vienna, quando i più importanti Capi di Stato del periodo si riunirono per decidere le sorti del Vecchio Continente, sconfitto definitivamente Napoleone. Quella sicuramente fu l'occasione in cui la diplomazia ebbe il suo picco d'importanza più alto, non rinunciando a far rimanere comunque la Francia un Paese sovrano: cosa che non ricapiterà a Versailles nel 1919, quando la fine della Grande Guerra segnerà l'annientamento della Germania e dell'Austria-Ungheria.
Quando si pensa ai grandi meeting di oggi, la prima cosa a cui si pensa sono i possibili disordini di ordine pubblico. Ma all'epoca, ha raccontato Vick, questi timori non c'erano: anzi, poteva capitare perfino di vedere per le vie di Vienna sovrani che passeggiavano insieme! Certo, in alcune occasioni veniva posto l'esercito a protezione, come durante le parate, ma non si arrivava ai disordini odierni.
Per Romano il cambiamento sta nel passaggio a un sistema democratico, poiché con l'ancien régime tutto ciò non esisteva. Il timore vero era, invece, che Napoleone tornasse ancora libero e per quello si era provveduto ad una sorveglianza rigida.
Per concludere l'incontro, si è fatto il punto anche sugli effetti che il Congresso ebbe sul Friuli. "L'Austria puntò a rafforzare il proprio controllo dove era già forte" ha chiarito la firma del Corriere, e infatti fu proprio dopo quel periodo che Trieste ebbe il suo più grande sviluppo industriale. Per Vick, invece, quel vertice politico non si interessò tanto a queste zone, quanto alla Valcellina, che venne annessa al Regno Lombardo-Veneto anzichè alla Svizzera, come avevano richiesto gli stessi abitanti.
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