Aldo Cazzullo a èStoria: "La Resistenza è di tutti noi, grazie a lei abbiamo la Costituzione"
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- Pubblicato Martedì, 26 Maggio 2015 09:48
- Scritto da Timothy Dissegna
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Gorizia - Ospite per due giorni del Festival èStoria, Aldo Cazzullo ha presentato e raccontato gli ultimi suoi due libri, "La guerra dei nostri nonni" (Mondadori, 2014) e "Possa il mio sangue servire" (Rizzoli, 2015). L'ultimo incontro è stato domenica 24 mattina, durante il quale ha presentato il volume dedicato alla Resistenza e ai suoi protagonisti, tra lettere strazianti e pagine nere.
L'abbiamo incontrato al termine dell'appuntamento, dopo che la coda di pubblico con il libro in mano per la dedica si era finalmente esaurita, e accompagnando il celbre giornalista del Corriere della Sera in albergo abbiamo avuto modo di approfondire i legami tra ieri e oggi.
Quanto è stato difficile scrivere sulla Resistenza, sapendo che per anni è stata oggetto delle varie fazioni politiche?
Non è stato difficile, nel senso che è bastato ripristinare dei concetti, da una parte ovvi (ma ovvietà messe troppe volte in discussione in Italia) e dall'altra concetti in cui io credo profondamente: il primo, combattere i nazisti era giusto, accanto i nazisti sbagliato.
Poi la Resistenza non appartiene a un partito, a una fazione, ma alla nostra comunità, alla nazione. Venne fatta ai partigiani, tra cui c'erano comunisti, socialisti, liberali, monarchici, cattolici e tanti ragazzi senza ideologia che, semplicemente, non volevano andare a combattere per Salò.
E poi la Resistenza fu fatta dai civili, dalle donne, dai carabinieri, dagli internati in Germania (615.000 soldati italiani che scelsero di rimanere nei lager nazisti subendo la fame, le botte e l'umiliazione, pur di combattere a Salò contro altri italiani.
Fu fatta dalle suore, dai preti, è un patrimonio della nazione e per questo ci tenevo a farlo emergere, perche in questi anni sono nate delle versioni parziali o false: parzili perche la Resistenza è stata presentata come una cosa solo di sinistra, fazzoletti rossi e Bella ciao!, false perchè negli ultimi anni è emerso quasi che i partigiani fossero i cattivi e i ragazzi di Salò i buoni.
Non è andata così e ho voluto riprovare che i vinti, come li chiamiamo adesso, sono vinto dopo il 25 aprile ma prima hanno il coltello alla parte del manico e lo usano, mente i vincitori venivano braccati, fucilati senza processo.
Oggi (il 24 maggio, ndr) ha parlato di Porzûs: quanto è importante far chiarezza oggigiorno su questi avvenimenti controversi?
In realtà quello che è successo si sa, l'importante è che non ci siano mistificazioni e che la memoria venga conservata e diffusa. Vedi, più che controverso è un crimine orrendo, perché purtroppo furono partigiani italiani contro altri partigiani italiani, egemonitati dai titini: è una delle pagine più nere della Resistenza, e anche quelle vanno raccontate nell'interesse della grande maggioranza dei resistenti.
C'è un capitolo nel mio libro su Porzûs, nel quale racconto la vicenda di Guido Pasolini, con questa bellissima lettera al fratello Pier Paolo in cui chiede che la madre invii lì "i fazzoletti tricolore perché vogliamo indossare quelli".
E in un post scrittum commovente gli chiede scusa se non ha potuto rileggere la lettera perché deve risalire in montagna immediatamente: questo ragazzo sta andando a farsi ammazzare e chiede scusa al fratello, che sa essere bravissimo scrittore, perché non sa se la lettera è mal scritta. È bellissimo.
C'è una questione un pò nominalistica, guerra civile o di liberazione, ma è una questione che mi interessa poco. Sì, tecnicamente fu una guerra civile, ma attenzione: gli uni erano al servizio dei tedeschi, gli altri hanno contribuito a costruire la democrazia perché, è una cosa che si dice poco, la Costituzione l'abbiamo potuta scrivercela noi, anzichè dagli americani com'è successo con i giapponesi, è stato anche perché c'è stata la Resistenza.
Il tema di quest'anno a èStoria è "Giovani": cosa lascia loro la Liberazione e, ancora più indietro, la Prima Guerra Mondiale?
Ogni generazione ha la sua guerra da combattere, cento anni fa i nostri nonni vinsero la Grande Guerra, i nostri padri quella di Liberazione con il contributo essenziale delle donne, e oggi dobbiamo combattere contro la sfiducia, l'approssimazione, il degrado morale del nostro Paese.
È quindi importante che i giovani sappiano che questa memoria sia trasmessa, perché essere italiani non è una sfortuna come si tende a pensare, ma un’opportunità e una responsabilità. Neanche a me piace l'Italia di oggi, ma è l'unica che abbiamo e possiamo, dobbiamo migliorarla un po' alla volta.
La memoria dei resistenti è importante perché, accanto ai troppi cattivi esempi che stiamo dando ai ragazzi, questi devono sapere che c'era chi è stato disposto a sacrificare la propria libertà e vita per la democrazia.
La stampa ha avuto spesso un ruolo centrale prima e durante le guerre: con D'Annunzio sul Corriere prima della Grande Guerra, la propaganda fascista nella Seconda. Come vi si relaziona lei oggi, di fronte a una guerra che si preannuncia globale contro il terrorismo?
Oggi la stampa è molti più libera di quello che si pensi. Certo, dobbiamo ragionare con la nostra testa, non dobbiamo né diventare propagandisti del nostro fronte, ma nemmeno sottacere il pericolo. Noi abbiamo riempito i giornali per mesi e mesi sulla crisi ucraina, perché ci era familiare, ricordava gli schemi di quando eravamo ragazzi, della Guerra Fredda, Mosca contro Washington.
Era importante seguirla, ma si capiva che poi si sarebbe arrivatia una qualche forma di compromesso, seppur doloroso e sanguinoso. Mentre poi, improvvisamente, ci siamo accorti che avevamo l'ISIS in Libia: perché la guerra della nostra generazione non è più quella Fredda, è questa. Intanto è una guerra civile del mondo islamico, e c'è una parte dei contendenti che vuole tirarci dentro, sapendo quanto siamo odiati dal mondo islamico e colpiscono l'Occidente a fini di propaganda interna.
Noi dobbiamo essere consapevoli, non dobbiamo diventare propagandisti di nessuno ma non dobbiamo nemmeno sottacere i rischi che questo comporta.
Non è che se ne parla tanto: sta nascendo un Califfato islamico tra l'Iran e l'Iraq, dobbiamo avvertire il pericolo che stiamo correndo. Io sono per l'apertura al mondo globale e per l'accoglienza, per chiudere la rotta di Lampedusa perché dobbiamo salvare le vite umane ma non lasciare che gli africani si mettano nelle mani di mercanti di schiavi, però dobbiamo sapere chi siamo, da dove veniamo, quali sono le nostre radici, i nostri valori.
L'importante è raccontare la realtà con spirito critico e con la libertà che i giornalisti si devono conquistare ogni giorno. E dipende soprattutto da noi: temo molto di più l'autocensura che non la censura.