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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Wunderkammer inaugura la rassegna di musica antica a Trieste con un concerto di fortepiano

Wunderkammer inaugura la rassegna di musica antica a Trieste con un concerto di fortepiano

Trieste – Venerdì 12 ottobre alle ore 20.30 al Civico Museo Sartorio, nella sala Giorgio Costantinides, iniziano gli appuntamenti “Wunderkammer Giovani Interpreti” con il concerto "Tranquilli, abbiamo un piano". Per l’occasione Alessandra Sagelli suonerà un fortepiano copia di uno strumento di Anton Walter, il più famoso costruttore viennese del 1795, realizzata dal costruttore italiano Urbano Petroselli nel 2012.

Il programma comprende opere di Mozart, Bach, Ferrari e Beethoven, composte tra il 1785 ed il 1798, anni in cui la contrapposizione tra classicismo e romanticismo, equilibrio e rivoluzione, ragione e sentimento, costituiscono una costante per questi compositori, figli di un era, quella del classicismo, che ne ha forgiato lo stile, ma con cui ora sentono l'inconsapevole bisogno di spezzare i vincoli formalistici alla ricerca del nuovo.

Alessandra Sagelli ha studiato pianoforte con Giampaolo Stuani e clavicembalo con Paola Erdas al Conservatorio Giuseppe Tartini di Trieste diplomandosi in entrambi gli strumenti con il massimo dei voti e la lode. Vincitrice di numerosi concorsi pianistici nazionali ed internazionali, ha lavorato come pianista collaboratore e correpetitor presso numerose accademie e masterclass per cantanti e direttori d'orchestra e collaborato con varie orchestre (Orchestra Ferruccio Busoni, Orchestra da camera del Friuli Venezia Giulia, Orchestra del conservatorio reale dell'Aia, Orchestra dell'Opera Giocosa).

Nel 2008 è invitata a tenere un concerto sul fortepiano originale appena restaurato appartenuto alla principessa Carlotta del Belgio presso il castello di Miramare di Trieste. Ha recentemente conseguito il master in fortepiano al Conservatorio Reale dell'Aia nei Paesi Bassi sotto la guida di Bart Van Oort.

L'ingresso al concerto è libero, fino ad esaurimento posti.

Intervista all’interprete principale di “Der Kaiser von Atlantis”

Intervista all’interprete principale di “Der Kaiser von Atlantis”

Trieste - Nicolò Ceriani è un baritono italiano che, dopo gli studi di violino e pianoforte, studia canto con Rodolfo Celletti a Milano e fonda il gruppo Giovani in Opera. Dal 1994 svolge un’intensa e versatile attività – sia di baritono lirico che buffo - nei principali teatri italiani ed europei.  È autore e interprete di spettacoli teatrali. Attualmente è impegnato nel ruolo della Morte in “Der Kaiser von Atlantis” in programma alla risiera di San Sabba il 2 ottobre alle ore 21.

Maestro Ceriani, cominciamo con una nota di mistero sul melodramma da lei interpretato. Su un numero di “Musical Time” si racconta che il manoscrito del “Kaiser von Atlantis” presentava un tale numero di correzioni che l’editore si rivolse a una spiritista la quale, ottenute istruzioni medianiche direttamente dall’autore, le ha comunicate all’editore il quale ha pubblicato la versione definitiva. Cosa ne pensa?

Ne ho sentito parlare. Si tratta di un'esagerazione scandalistica, che ha visto forse la partecipazione anche di qualche fattucchiera di passaggio. Ma l’aneddoto è curioso perché chiude il cerchio magico della teosofia abbracciata da Ullmann, visto che la sua fondatrice era stata la medium Blavatski. E poi noi in Italia ci siamo bevuti per anni, senza colpo ferire, le storie relative alle sedute spiritiche durante il caso Moro. Perché non credere che la partitura originale e definitiva del Kaiser sia stata dettata dallo spirito di Ullmann in persona?

Ma per tornare all'autografo dello spartito, io ne ho una copia e non ravviso tutta questa difficoltà interpretativa. So che recentemente il Maestro Lotoro ha svolto un'analisi comparata dei manoscritti, tra quelli conservati a Gerusalemme, a Basilea ad Amsterdam e a Terezin, e ne avrebbe tratto una nuova edizione che in alcuni punti differisce sostanzialmente da quella ufficiale, ma non ne conosco  le varianti, anche se mi promettevo proprio in questi giorni di contattarlo per avere maggiore contezza del suo lavoro.

Ha fatto un paragone con gli anni di piombo… e inoltre il pubblico triestino conosce anche la sua attività di autore di spettacoli talvolta ”engagé”. Quindi la musica lirica può andare a braccetto con l’impegno sociale e politico?

Per rispondere con una banalità, inevitabile in questi oscuri tempi reazionari, dirò che ovviamente tutto è politica. E se la politica fosse, come dovrebbe essere, una delle attività sociali e organizzative tra le più nobili, sarebbe essa stessa un fenomeno culturale. Il testo del “Kaiser” a esempio è un testo provocatorio e violento, anche più efficace di quello di un qualsiasi Masaniello della politica nostrana; ma mentre passano per terribili le voci di un Grillo, di un Renzi o di un Sallusti o Ferrara qualsiasi, anche quando assai spesso enunciano banalità, le parole del “Kaiser” si rivelano come un testo poetico trasfigurato il cui contenuto sociale/esistenziale passa in secondo piano. Invece sono politica allo stato puro e più alto.

Dovremmo leggere tutto quello che esce dall'Opera di Ullmann, e non solo dalle parole di Kien, ma soprattutto dalle note del Compositore, note che ci indicano significati non sempre politically correct. Cosa diremmo se qualcuno affermasse che la politica di distruzione di massa è giustifica da una salvifica palingenesi dell'Umanità? Probabilmente lo denunceremmo, e sarebbe condannato. E se Ullmann, nelle condizioni in cui era, avesse provato a dirci qualcosa di lontanamente simile, anche se in modo non così brutalmente diretto, ma liricamente consolatorio?

Appunto, per tornare all’argomento principale: cosa significa rappresentare nella Risiera di San Sabba un melodramma scritto in un campo di concentramento?

E' evidente che “il Kaiser”, in condizioni diverse, non sarebbe stato concepito così da Ullmann. I suoi lavori testimoniano scelte drammaturgiche anche diverse dal taglio iconico/simbolista scelto in questa occasione. Perciò la riflessione sulla morte, centrale nel “Kaiser”, assume una rilevanza assoluta perché è stata concepita e maturata in un luogo in cui la vita non poteva presentarsi come progetto esistenziale ma solo come angosciosa attesa della fine. Quindi proporre questo melodramma in una sede così piena di tragiche suggestioni come la Risiera, è un' idea che arricchisce la trama musicale, già complessa, e il contenuto drammaturgico; ma rischia anche di svilirli, facendone nient’altro che la celebrazione di un buon compositore ebreo, ucciso ad Auschwitz.

In sostanza il “Kaiser” è uno dei capolavori del Teatro musicale del Novecento, indipendentemente dalla tragica fine del suo compositore. Inoltre è evidente che in una città come Trieste, apparentemente musicalissima (e già Barison lo diceva con forte intento ironico e polemico!) ma sostanzialmente provinciale e conservatrice, per riuscire a sdoganare una musica scritta dopo il 1940 c'è bisogno di una promozione che attiri il grande pubblico e le istituzioni, anche attraverso il passepartout della parola Shoa. Quindi, ben vengano queste iniziative, se permettono di rappresentare qualcosa che altrimenti sarebbe improponibile ai nostri concittadini. Non vorrei che Ullmann sembrasse importante soltanto perché è morto senza veder eseguite le sue opere, e non perché voce originalissima e quasi unica nel Novecento musicale.

Cosa si prova a interpretare Hitler, seppure trasfigurato, in un luogo che ha visto tanta sofferenza per colpa dei nazisti?

Non credo che il “Kaiser” rappresenti necessariamente Hitler, anche se così pensavano i nazisti di Terezin che censurarono l'opera. La sovrapposizione dei due personaggi é oggi quasi inevitabile. Ma una cosa è il libretto, e altra cosa sono la musica e gli interventi testuali di Ullmann. Mi spiego: in una prima stesura, il Kaiser non aveva un ruolo centrale nell'opera e parlava soprattutto per bocca dei suoi portavoce (l'altoparlante ed il Tamburino). Ma il desiderio di creare un vero e proprio personaggio, anziché una caricatura, era troppo forte in Ullmann, tanto che decise di provare a esprimere il Male.

Certo è che se nel finale da me interpretato c’è una contrapposizione e una lotta tra il Kaiser e la Morte, nel finale originario di Ullmann, intravedo una trasfigurazione del Kaiser nella Morte ed un desiderio non più di sostituirsi, ma di annullarsi in essa, quasi con voluttà distruttiva. Amore, Morte e Trasfigurazione sono anche alla base delle tematiche espressive dell’Arte tedesca tra Otto e Novecento, e Ullmann sembra qui sintetizzarle da un posto tragicamente privilegiato: come direbbe Todorov, “Di fronte all’Estremo”.

In questo melodramma, quindi, è maggiore il pregio musicale o quella della testimonianza storica?

Il pregio musicale senza alcun dubbio. Si tratta di un’opera sospesa tra il melodico rarefatto atonalismo berghiano e l'espressionismo di Weill, ed è importante nella storia della musica al pari di Zemlinski o Janaceck, per fare i primi due nomi che mi vengono alla mente. La rilevanza storica è tale solo in quanto causa occasionale e stimolo alla composizione. I pregi musicali però sono talmente numerosi, che per parlarne ci vorrebbe una pubblicazione ad hoc, per cui mi limiterò qui ad elencare la sofisticata raffinatezza delle soluzioni timbriche, i ricchissimi allusivi giochi di rimando ad altre composizioni insistentemente citate, ognuno dei quali con volontà espressive totalmente diverse, la compattezza della scrittura vocale ed i geniali scarti armonici nei momenti topici dell'opera.

A quale ruolo, del suo repertorio o del repertorio lirico, assomiglia quello del Kaiser per difficoltà vocale o impegno nella recitazione?

Penso prima di tutto a Wozzek e come temperie culturale all'Elettra, anche se il ruolo di Oreste è vocalmente meno fratto e dissociato. L'impegno per altro è di breve durata ma la tessitura è acutissima e offre poche possibilità di recupero. Se poi si decide di cantare l'Aria finale originale di Ullmann e non il testo di Kien, le difficoltà aumentano, in quanto dopo una scena fortemente espressionista, si dovrebbe riuscire ad eseguire l'addio del Kaiser con una vocalità liederistica contenuta e con una voce meno vibrata e quasi non girata, tipica della musica sacra oratoriale. Per quanto riguarda la recitazione, tutto dipende dal regista e dalle sue richieste. Certo è che si tratta di una figura da non improvvisare in poche sedute di prove, ma da interpretare dopo un lungo lavoro di preparazione personale.

[Roberto Calogiuri]

Autunno con i musicisti triestini del Novecento. Cinque concerti a ingresso libero

Autunno con i musicisti triestini del Novecento. Cinque concerti a ingresso libero

Trieste – Giulio Viozzi, Vito Levi, Gianpaolo Coral, Eugenio Visnoviz e Ferruccio Busoni, protagonisti rilevanti della storia musicale di Trieste nel ’900, sono i cinque musicisti ai quali è dedicata l’edizione 2012 di pentaGramma, il ciclo di incontri “tra musica e parole” promosso dal Conservatorio Tartini, a cura del direttore Massimo Parovel e della docente Rita Verardi, di scena dal 4 ottobre al 29 novembre nella Sala Ridotto Victor De Sabata del Teatro Verdi di Trieste (alle ore 18.30, con ingresso libero).

"Questa terza edizione di pentaGramma – spiega la curatrice, Rita Verardi - permette infatti di sintonizzarsi con due appuntamenti speciali della stagione sinfonica d’autunno del Teatro Verdi: il 5 e 6 ottobre due prime esecuzioni di musiche di Visnoviz e, il 26 e 27 ottobre la prima esecuzione moderna del “Sabato del villaggio” di Busoni, opere riportate alla luce dopo quasi un secolo di oblio. PentaGramma ha affidato a studiosi e musicisti che hanno operato e tuttora operano all’interno del Conservatorio - alcuni ne sono stati anche prestigiosi studenti - una ricognizione viva e articolata sulla vita musicale di Trieste per quasi un secolo.

Ivano Cavallini, Massimo Favento, Fedra Florit, Adriano Martinolli D’Arcy, Fabián Pérez Tedesco, Maria Letizia Michielon, Fabio Nieder, Paolo Da Col, Elia Macrì, Karina Oganjan, Marco Sofianopulo rintracceranno i fili sottili che hanno collegato così diversi compositori al Conservatorio, al Teatro Verdi, alla vita musicale e culturale della città, evidenzieranno il valore del loro contributo che va ben oltre i confini locali, e la ricchezza di un’eredità intellettuale che continua a dare frutti». Il terzo ciclo di pentaGramma, realizzato in sinergia con il Teatro Lirico Giuseppe Verdi, può contare anche sulla collaborazione di Associazione Chamber Music, Associazione Chromas, Circolo della Cultura e delle Arti, Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”, della RAI Sede regionale per il FVG e della Cappella Civica del Comune di Trieste.

A inaugurare la rassegna sarà, giovedì 4 ottobre, l’appuntamento dedicato a “Eugenio Visnoviz, un paradigma della cultura musicale a Trieste nel primo novecento”, a cura di Ivano Cavallini con il contributo di Massimo Favento e collegato al concerto del 5-6 ottobre della Stagione Sinfonica del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste. Solo nell’ultimo tratto dell’Ottocento l’Italia volse lo sguardo alla sinfonia e alla musica da camera. A Trieste, invece, lungo l’intero arco del secolo, la vita musicale fu contrassegnata da un’attività strumentale vivace e continua grazie allo stretto contatto con la civiltà austro-tedesca. L’attitudine a eseguire le partiture più rimarchevoli del Classicismo viennese e dei romantici fu per il capoluogo giuliano un fatto spontaneo, testimoniato, per citarne alcuni, dai gruppi di Scaramelli, Heller, Castelli e Jancovich.

In questo contesto si colloca il “caso Eugenio Visnoviz”, pianista virtuoso e compositore scomparso prematuramente. Il suo genio fiorì nel momento in cui Trieste, reciso il rapporto con l’Europa centrale e divenuta da centro cosmopolita una città di frontiera, toccò paradossalmente il vertice della propria cultura in uno stato di spaesamento. Autore dotato, Visnoviz sviluppò un personale disegno compositivo all’insegna di Brahms, interpretabile, forse, come una fuga dalla realtà per una ricerca di sicurezza in un passato florido, mitteleuropeo, autenticamente triestino.

Si prosegue, giovedì 18 ottobre, con l’omaggio al compositore e musicologo triestino “Giampaolo Coral: dall’incisività misteriosa del suo atto creativo al Coral Award 2012”. A cura di Fedra Florit con il contributo di Adriano Martinolli D’Arcy e la partecipazione di Fabián Pérez Tedesco vuole essere un omaggio alla figura di Coral – scomparso improvvisamente agli inizi del 2011 – e, in un senso più ampio, un’ideale proiezione del suo lavoro verso il futuro, in modo da mantenere viva una figura ma anche un atteggiamento etico, oggi più che mai importanti. Il “Premio Trio di Trieste - Coral Award”, che si svolgerà a Trieste dal 25 al 27 ottobre 2012, rappresenta un ideale passaggio di testimone ai compositori emergenti, e uno stimolo a vivificare la musica contemporanea .

Mercoledì 24 ottobre, riflettori su “Un nuovo inizio. L’estetica musicale di Ferruccio Busoni”, a cura di Maria Letizia Michielon e Fabio Nieder. In occasione della prima in tempi moderni de “Il sabato del villaggio” di Ferruccio Busoni, nell’ambito della Stagione Sinfonica del Teatro Verdi, l’incontro propone una riflessione sull’estetica musicale e il linguaggio compositivo di un artista considerato la chiave di volta tra la cultura italiana e quella mitteleuropea a cavallo tra il XIX e XX secolo. Verranno ricostruite la sua ampia formazione intellettuale e lo straordinario talento creativo, evidenziando le connessioni con le avanguardie novecentesche e l’attualità di una tensione artistica innovativa, sempre proiettata al futuro. L'incontro è collegato al concerto del 26-27 ottobre della Stagione Sinfonica del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste.

Giovedì 8 novembre è in programma il penultimo appuntamento di pentaGramma: “Libri parlanti. Vito Levi e la Biblioteca del Conservatorio di Trieste”, a cura di Paolo Da Col con la partecipazione di Elia Macrì e Karina Oganjan permetterà di approfondire i tratti peculiari e ‘parlanti’ della biblioteca del Conservatorio di Trieste, frutto di acquisti operati a più riprese e di lasciti di alcuni interpreti della ricca vita musicale triestina tra Otto e Novecento. Un patrimonio che riassume e testimonia in sé quel passato e nutre con i suoi costanti aggiornamenti la formazione e la conoscenza delle nuove generazioni. La biblioteca porta un’impronta significativa, che le è stata conferita da chi per più tempo e con maggiore e pregnante incisività l’ha diretta e formata: Vito Levi. Presso il Conservatorio triestino e le istituzioni che ne precedettero l’istituzione, Levi unì infatti all’insegnamento della composizione e della Storia della Musica la direzione della biblioteca. Le sue acquisizioni compongono un’ampia e scelta raccolta di testi musicali e musicologici del Novecento, viva espressione di una vasta e aggiornata cultura.

Infine, a suggellare la terza edizione di pentaGramma sarà, giovedì 29 novembre, “Allegro impetuoso”. Itinerario confidenziale attraverso la vita e le opere di Giulio Viozzi”, a cura di Marco Sofianopulo. Spesso le composizioni di Giulio Viozzi portavano indicazioni di movimento anticonvenzionali anche quale attestazione della sua individualità indipendente: un aggettivo non a caso ricorrente era “Impetuoso”. Giulio Viozzi, alla sua operosità, generosità, ad ogni manifestazione del suo temperamento estroverso aggiungeva anche una forte componente passionale.

Sarà un itinerario attraverso quello che fu il suo linguaggio prediletto, quello che tenterà di tracciare Marco Sofianopulo, allievo e quasi-figlio-adottivo. Un itinerario fatto soprattutto di ascolti “guidati”, proposto in collaborazione con il Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”, la RAI Sede regionale per il Friuli Venezia Giulia, la Cappella Civica del Comune di Trieste e alcuni Archivi Privati.

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

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