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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Intervista all’interprete principale di “Der Kaiser von Atlantis”

Intervista all’interprete principale di “Der Kaiser von Atlantis”

Trieste - Nicolò Ceriani è un baritono italiano che, dopo gli studi di violino e pianoforte, studia canto con Rodolfo Celletti a Milano e fonda il gruppo Giovani in Opera. Dal 1994 svolge un’intensa e versatile attività – sia di baritono lirico che buffo - nei principali teatri italiani ed europei.  È autore e interprete di spettacoli teatrali. Attualmente è impegnato nel ruolo della Morte in “Der Kaiser von Atlantis” in programma alla risiera di San Sabba il 2 ottobre alle ore 21.

Maestro Ceriani, cominciamo con una nota di mistero sul melodramma da lei interpretato. Su un numero di “Musical Time” si racconta che il manoscrito del “Kaiser von Atlantis” presentava un tale numero di correzioni che l’editore si rivolse a una spiritista la quale, ottenute istruzioni medianiche direttamente dall’autore, le ha comunicate all’editore il quale ha pubblicato la versione definitiva. Cosa ne pensa?

Ne ho sentito parlare. Si tratta di un'esagerazione scandalistica, che ha visto forse la partecipazione anche di qualche fattucchiera di passaggio. Ma l’aneddoto è curioso perché chiude il cerchio magico della teosofia abbracciata da Ullmann, visto che la sua fondatrice era stata la medium Blavatski. E poi noi in Italia ci siamo bevuti per anni, senza colpo ferire, le storie relative alle sedute spiritiche durante il caso Moro. Perché non credere che la partitura originale e definitiva del Kaiser sia stata dettata dallo spirito di Ullmann in persona?

Ma per tornare all'autografo dello spartito, io ne ho una copia e non ravviso tutta questa difficoltà interpretativa. So che recentemente il Maestro Lotoro ha svolto un'analisi comparata dei manoscritti, tra quelli conservati a Gerusalemme, a Basilea ad Amsterdam e a Terezin, e ne avrebbe tratto una nuova edizione che in alcuni punti differisce sostanzialmente da quella ufficiale, ma non ne conosco  le varianti, anche se mi promettevo proprio in questi giorni di contattarlo per avere maggiore contezza del suo lavoro.

Ha fatto un paragone con gli anni di piombo… e inoltre il pubblico triestino conosce anche la sua attività di autore di spettacoli talvolta ”engagé”. Quindi la musica lirica può andare a braccetto con l’impegno sociale e politico?

Per rispondere con una banalità, inevitabile in questi oscuri tempi reazionari, dirò che ovviamente tutto è politica. E se la politica fosse, come dovrebbe essere, una delle attività sociali e organizzative tra le più nobili, sarebbe essa stessa un fenomeno culturale. Il testo del “Kaiser” a esempio è un testo provocatorio e violento, anche più efficace di quello di un qualsiasi Masaniello della politica nostrana; ma mentre passano per terribili le voci di un Grillo, di un Renzi o di un Sallusti o Ferrara qualsiasi, anche quando assai spesso enunciano banalità, le parole del “Kaiser” si rivelano come un testo poetico trasfigurato il cui contenuto sociale/esistenziale passa in secondo piano. Invece sono politica allo stato puro e più alto.

Dovremmo leggere tutto quello che esce dall'Opera di Ullmann, e non solo dalle parole di Kien, ma soprattutto dalle note del Compositore, note che ci indicano significati non sempre politically correct. Cosa diremmo se qualcuno affermasse che la politica di distruzione di massa è giustifica da una salvifica palingenesi dell'Umanità? Probabilmente lo denunceremmo, e sarebbe condannato. E se Ullmann, nelle condizioni in cui era, avesse provato a dirci qualcosa di lontanamente simile, anche se in modo non così brutalmente diretto, ma liricamente consolatorio?

Appunto, per tornare all’argomento principale: cosa significa rappresentare nella Risiera di San Sabba un melodramma scritto in un campo di concentramento?

E' evidente che “il Kaiser”, in condizioni diverse, non sarebbe stato concepito così da Ullmann. I suoi lavori testimoniano scelte drammaturgiche anche diverse dal taglio iconico/simbolista scelto in questa occasione. Perciò la riflessione sulla morte, centrale nel “Kaiser”, assume una rilevanza assoluta perché è stata concepita e maturata in un luogo in cui la vita non poteva presentarsi come progetto esistenziale ma solo come angosciosa attesa della fine. Quindi proporre questo melodramma in una sede così piena di tragiche suggestioni come la Risiera, è un' idea che arricchisce la trama musicale, già complessa, e il contenuto drammaturgico; ma rischia anche di svilirli, facendone nient’altro che la celebrazione di un buon compositore ebreo, ucciso ad Auschwitz.

In sostanza il “Kaiser” è uno dei capolavori del Teatro musicale del Novecento, indipendentemente dalla tragica fine del suo compositore. Inoltre è evidente che in una città come Trieste, apparentemente musicalissima (e già Barison lo diceva con forte intento ironico e polemico!) ma sostanzialmente provinciale e conservatrice, per riuscire a sdoganare una musica scritta dopo il 1940 c'è bisogno di una promozione che attiri il grande pubblico e le istituzioni, anche attraverso il passepartout della parola Shoa. Quindi, ben vengano queste iniziative, se permettono di rappresentare qualcosa che altrimenti sarebbe improponibile ai nostri concittadini. Non vorrei che Ullmann sembrasse importante soltanto perché è morto senza veder eseguite le sue opere, e non perché voce originalissima e quasi unica nel Novecento musicale.

Cosa si prova a interpretare Hitler, seppure trasfigurato, in un luogo che ha visto tanta sofferenza per colpa dei nazisti?

Non credo che il “Kaiser” rappresenti necessariamente Hitler, anche se così pensavano i nazisti di Terezin che censurarono l'opera. La sovrapposizione dei due personaggi é oggi quasi inevitabile. Ma una cosa è il libretto, e altra cosa sono la musica e gli interventi testuali di Ullmann. Mi spiego: in una prima stesura, il Kaiser non aveva un ruolo centrale nell'opera e parlava soprattutto per bocca dei suoi portavoce (l'altoparlante ed il Tamburino). Ma il desiderio di creare un vero e proprio personaggio, anziché una caricatura, era troppo forte in Ullmann, tanto che decise di provare a esprimere il Male.

Certo è che se nel finale da me interpretato c’è una contrapposizione e una lotta tra il Kaiser e la Morte, nel finale originario di Ullmann, intravedo una trasfigurazione del Kaiser nella Morte ed un desiderio non più di sostituirsi, ma di annullarsi in essa, quasi con voluttà distruttiva. Amore, Morte e Trasfigurazione sono anche alla base delle tematiche espressive dell’Arte tedesca tra Otto e Novecento, e Ullmann sembra qui sintetizzarle da un posto tragicamente privilegiato: come direbbe Todorov, “Di fronte all’Estremo”.

In questo melodramma, quindi, è maggiore il pregio musicale o quella della testimonianza storica?

Il pregio musicale senza alcun dubbio. Si tratta di un’opera sospesa tra il melodico rarefatto atonalismo berghiano e l'espressionismo di Weill, ed è importante nella storia della musica al pari di Zemlinski o Janaceck, per fare i primi due nomi che mi vengono alla mente. La rilevanza storica è tale solo in quanto causa occasionale e stimolo alla composizione. I pregi musicali però sono talmente numerosi, che per parlarne ci vorrebbe una pubblicazione ad hoc, per cui mi limiterò qui ad elencare la sofisticata raffinatezza delle soluzioni timbriche, i ricchissimi allusivi giochi di rimando ad altre composizioni insistentemente citate, ognuno dei quali con volontà espressive totalmente diverse, la compattezza della scrittura vocale ed i geniali scarti armonici nei momenti topici dell'opera.

A quale ruolo, del suo repertorio o del repertorio lirico, assomiglia quello del Kaiser per difficoltà vocale o impegno nella recitazione?

Penso prima di tutto a Wozzek e come temperie culturale all'Elettra, anche se il ruolo di Oreste è vocalmente meno fratto e dissociato. L'impegno per altro è di breve durata ma la tessitura è acutissima e offre poche possibilità di recupero. Se poi si decide di cantare l'Aria finale originale di Ullmann e non il testo di Kien, le difficoltà aumentano, in quanto dopo una scena fortemente espressionista, si dovrebbe riuscire ad eseguire l'addio del Kaiser con una vocalità liederistica contenuta e con una voce meno vibrata e quasi non girata, tipica della musica sacra oratoriale. Per quanto riguarda la recitazione, tutto dipende dal regista e dalle sue richieste. Certo è che si tratta di una figura da non improvvisare in poche sedute di prove, ma da interpretare dopo un lungo lavoro di preparazione personale.

[Roberto Calogiuri]

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