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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Sguardi fuori dal tempo con la nuova edizione de’ “I Mille Occhi”

Sguardi fuori dal tempo con la nuova edizione de’ “I Mille Occhi”

Trieste - Anteprime di film e documenti da riscoprire alla luce del nostro tempo, dentro e fuori dalle infinite storie del cinema: anche l'edizione 2015 del festival “I Mille Occhi” sarà all'insegna della pluralità di sguardi, d'epoche e di generi di cui solo la settima arte è capace, che si svolgerà dal 18 settembre al 23.

Il cineasta del presente al centro della XIV edizione sarà il portoghese Vítor Gonçalves, Premio Anno Uno per A vida invisível. Altri percorsi deborderanno verso le altre arti, dalla personale della scultrice Niki de Saint Phalle, di cui si vedranno le uniche due regie cinematografiche a una selezione degli autori italiani che meglio hanno saputo raccontare i fantasmi del primo conflitto mondiale, da Luca Comerio a Mario Camerini,dal rigore anti-bellico di Ermanno Olmi, al teatro incompromissorio di Luca Ronconi.

Sempre alla ricerca dei tesori meno conosciuti del cinema italiano, I Mille Occhi proporranno anche una collezione di film mai visti (I figli di nessuno) e proseguiranno gli approfondimenti su tre preziose figure di cineasta – Emanuele Caracciolo, Oreste Palella eRaffaele Andreassi. Il denso programma d'incontri e proiezioni, tutte a ingresso gratuito, sarà completato da ricognizioni documentarie e poetiche sulla flagranza della pellicola cinematografica, oltre che dagli ulteriori ritratti di due grandi cineasti esuli, il tedesco Frank Wysbar e lo scenografo russo Boris Bilinsky.

Giunti alla sua XIVedizione, I Mille Occhi tornano a proporre una formula personale e inedita di festival cinematografico, animata da un gusto della scoperta che non conosce confini tra tempi, autorialità e generi diversi, tratti che negli anni hanno portato il festival a raccogliere le attenzioni critiche di testate come “Sight and Sound” e “Senses of Cinema”.

Attraverso proiezioni e incontri che instaurano intrecci profondi tra cinema del passato e del presente, e sempre mantenendo una decisa predilezione per sguardi liberi e non omologati, I Mille Occhi – Festival internazionale del cinema e delle articrede in una forma-festival che si vuole distante tanto dalle vetrine del contemporaneo quanto dalle rassegne di pura retrospettiva. 

Uno degli ospiti più attesi della prossima edizione, eloquentemente titolata Apparizione sarà il cineasta, produttore e didatta portoghese Vítor Gonçalves, allievo ed erede del grande António Reis.

Nelle due sere conclusive del festival, 22 e 23 settembre, verranno proiettati alla presenza di Gonçalves i suoi due unici lungometraggi; all'autore lusitano, oggi docente alla Escola Superior de Teatro e Cinema di Lisbona e insieme al più celebrato Pedro Costa co-fondatore della casa di produzione Trópico Filmes.

I Mille Occhi assegneranno infatti il Premio Anno Uno per il suo ultimo film, A vida invisível, realizzato a ventisette anni di distanza dal debutto di culto Uma rapariga no Verão, considerato da critici e cineasti una pietra miliare del cinema portoghese. Secondo regista portoghese a venir premiato dal festival come miglior cineasta del nostro tempo, dopo il grande Paulo Rocha, Premio Anno Uno 2007 per Vanitas, Gonçalves rompe il suo lungo silenzio creativo con un pessoviano ritratto di vita interiore, un intimo viaggio nella memoria che conferma e rilancia il fascino rarefatto ed enigmatico dell'acclamatissima opera d'esordio.

Un altro highlight del festival triestino sarà la personale dedicata alla scultrice, pittrice e regista Niki de Saint Phalle, unica artista donna del movimento del Nouveau Réalisme, nota per aver ideato e realizzato - sempre all'insegna della ribellione contro i poteri costituiti - gli Shooting Paintings e le enormi sculture di nudi femminili dette Nanas, nonché case-giochi per bambini e il monumentale Giardino dei Tarocchi di Capalbio, vicino Grosseto.

L'omaggio del festival, curato da una storica ospite e collaboratrice dei Mille Occhi quale la cineasta sperimentale Jackie Raynal, prevede la presentazione delle due uniche regie dell'artista francese – Daddy(1973, co-diretto con Peter Whitehead), uno dei più provocatori film erotici degli anni '70, e la fiaba per adulti Un rêve plus long que la nuit (1976) –, entrambi alla presenza di un'ospite d'eccezione come Laura Duke Condominas, figlia della Saint Phalle e protagonista di Lancelot du lac di Bresson (per il quale venne inizialmente opzionata la stessa Niki).

Nella serata inaugurale del festival, venerdì 18 settembre, verranno presentati alcuni documenti mai visti: l'anteprima dell'appena ritrovato e restaurato Il Duce a Trieste, sulla visita di Mussolini nel capoluogo giuliano (avvenuta il 18 settembre 1938, esattamente 77 anni prima della sua riproposta ai Mille Occhi), e la rara versione integrale di Vivere da anarchici, film-intervista sull'anarchico triestino Umberto Tommasini realizzato da Paolo Gobettinel 1976. Dello stesso Gobetti si potrà inoltre vedere Racconto interrotto (1992), il film dedicato al padre Piero, figura tra le massime della cultura antifascista; a Trieste, questi documenti storici saranno presentati da Paola Olivetti, compagna di Paolo Gobetti e direttrice dell'Archivio cinematografico della Resistenza di Torino (responsabile del ritrovamento di Il Duce a Trieste).

All'insegna degli incubi della Storia si volgerà poi un percorso tra cinema, teatro e letteratura sui fantasmi apocalittici delle due guerre mondiali,con alcuni anomali recuperi dal periodo del muto.

Il festival, diretto da Sergio M. Germanicon la collaborazione di critici e ricercatori, italiani e internazionali, è da tempo un appuntamento di richiamo per appassionati, studiosi e cinefili d'ogni sorta, dove è possibile ritrovare copie uniche di film a lungo considerati perduti al fianco dei fermenti meno catalogabili del cinema d'oggi, in un viaggio senza limiti d'epoca e genere nella Storia del cinema,  certi – com'è convinzione dei Mille Occhi - che niente appartenga al passato, e tutto riguardi il presente.


Tutte le proiezioni e gli incontri sono a ingresso libero.

Realizzato con il contributo di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Fondazione Kathleen Foreman Casali.

Informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.| tel/fax 040 349 88 89 Il sito del Festival: www.imilleocchi.com,il blog del festival milleocchisulfestival.tumblr.com, pagina fb.

"Città di carta", il turbamento adolescenziale tra le pieghe dell'anima

Udine – Da “Il tempo delle mele” a oggi, l'universo del cinema adolescenziale è cambiato così tanto da mantenere comunque gli stessi temi. Non si tratta di poca fantasia, però: infondo, i giovani di qualsiasi generazione hanno a che fare con problemi amorosi, d'identità, del futuro, ecc…

Tutte tematiche centrali nell'ultimo film di Jake Schreier, “Città di carta”, in questi giorni nelle sale italiane, tra cui quelle del Centrale di Udine. Ancora una volta nato dalla penna di John Green, lo stesso dell'amato “Tutta colpa delle stelle”, prima bestseller e poi film che ha riscosso un grande successo tra i ragazzi, sempre riguardanti i turbamenti adolescenziali.

Ma di turbamenti, il diciottenne Quentin Jacobsen (interpretato da Nat Wolff), non ne ha avuti praticamente mai: bravo a scuola, famiglia felice, amici fedeli da una vita. Dall'altra parte della strada, però, c'è l'unica cosa che vorrebbe veramente: Margo Roth Spiegelman (Cara Delevingne), la vicina di casa di cui si innamorò l'istante stesso in cui si trasferì in quel quartiere di Orlando.

Lei rappresenta il completo opposto del ragazzo: spericolata, la più chiacchierata della scuola, una specie di “leggenda vivente” a causa delle sue frequenti fughe da casa per girare il mondo. I due, quindi, non si parlano da ben nove anni, ma una sera accade l'imprevisto: Margo si presenta a casa di lui e gli chiededi seguirla in giro per la città, per vendicarsi del suo ex ragazzo che l'ha tradita.

In poche ore, Quentin riscopre ancora più forte il sentimento che provava fin da bambino, mentre si intrufola nelle case dei “vip” del liceo, per compiere scherzi stupidi. Dopo tutto ciò, il giovane sa che la sua vita non sarà più come prima.

Ma il giono dopo, Margo scompare. Manca poco alla fine della scuola, il ballo di fine anno si avvicina, ma il protagonista ha altro a cui pensare: a uno a uno, scopre degli indizzi disseminati dalla stessa _, che tenta di ricomporre per trovarla e dichiararle il proprio amore.

Inizia così un viaggio lungo duemila chilomentri, insieme agli amici insepararbili, per riportare la ragazza a casa. L'esperienza tipica americana, però, sarà destinata a una svolta inaspettata, che porterà a galla definitivamente il ritratto di una persona ben più complesso da come appariva da lontano.

Con una dolcezza a tratti aggressiva, Schreier è riuscito a dar forma a un film che va oltre i “semplici” problemi adolescenziali, ricco di un messaggio che lentamente prende forma e fa da scheletro all'intera storia. E squarcia quel velo fittizio che tutti noi costruiamo sopra l'idea che abbiamo di qualcuno, spesso ritratto della nostra fantasia anziché realtà.

Il titolo si rifà alle “città di carta” che i cartografi usano come copyright sulle mappe, luoghi inesistenti che servono a svelare se qualcuno le ha copiate. In pratica, l'unico posto dove può vivere il frutto dell'immaginazione com'è diventata Margo, una sorta di “dimensione” dove capire chi si è realmente. Un quesito a cui nemmeno chi si è lasciato da tempo la giovinezza alle spalle sa rispondersi.

Una Teheran neorealista e on the road nell'ultima opera-denuncia di Jafar Panahi

Una Teheran neorealista e on the road nell'ultima opera-denuncia di Jafar Panahi

Udine - La libertà d'espressione è uno di quei diritti che non ha mai goduto di tanta popolarità tra i piani "alti" del potere. Lo sa bene il regista Jafar Panahi, più volte censurato nel proprio Paese, l'Iran, nonostante i suoi film abbiano ricevuto gli applausi della critica internazionale.

Ma lui non si è fermato, ha continuato a raccontare e denunciare con la cinepresa la follia estremista della sua madrepatria, tanto da essere arrestato e continuamente sorvegliato dal governo. E anche così non ha gettato la spugna: pochi giorni fa, infatti, è uscito nelle sale italiane Taxi Teheran, suo ultimo lavoro e in proiezione anche al Visionario di Udine.

Il terzo da quando è stato condannato a 20 anni e primo girato all'esterno, è un docu-film con lo stesso Panahi protagonista, al volante di un taxi che trasporta un vasto campione umano degli abitanti della capitale iraniana in giro per la città. Il tutto filmato con una telecamera posizionata sul cruscotto, che riprende ininterrottamente per 82 minuti.

Non c'è trama se non le vite stesse dei clienti, amici e parenti che si alternano sui sedili dell'auto. Sembra tutto spontaneo, all'inizio sembra veramente di guardare una specie di reality show che sfida il governo, ma il tutto è racchiuso tra le mura strette della finzione, che "salva" i personaggi dalle loro parole troppo libere, in un regime che ha fama di essere poco tollerante.

Ci sono una maestra di scuola elementare che discute animatamente con un uomo convinto che il crimine si combatta con l'inasprimento della pena di morte; un venditore di DVD pirata, ovvero l'unico collegamento tra chi in Iran vuole vedere guardare un film e il resto del mondo, oltre la censura rigida dell'Ayatollah.

Tra tutti i personaggi, però, sono gli ultimi tre che raccontano con più drammatico realismo il presente nel loro Paese: tra questi, la nipotina del regista, che gesticola come una che la sa lunga ma sotto la simpatia che trasmette si cela lo spettro perverso di un sistema politico, che manipola le menti fin dalla scuola. Perfino girare un cortometraggio per un progetto di classe diventa un'occasione per seguire i precetti di un esibizionismo teologico folle e bieco, e lo zio lo sa bene.

C'è poi un amico d'infanzia di Panahi, che gli rivela un segreto che gli brucia dentro, costretto a tenerselo in silenzio per spirito umano. Perché il regime totalitario arriva fino a questo: costringerti a scegliere tra il chiedere giustizia e punire cosi in modo atroce i colpevoli, o rimanere zitto ed evitare così a qualcuno atroci sofferenze.

Le stesse che subisce psicologicamente Nasrin Sotudeh, avvocato che da anni combatte per i diritti umani e osteggiata dal governo. Con un mazzo di rose in mano diventa la "signora dei fiori", riferimento non casuale a una speranza lenta a morire, seppur pericolosa con le sue spine. E che alla fine non arriva, quantomeno nel film: la finzione arriva così vicino alla realtà che fa accapponare la pelle.

Questo film è senz'altro una denuncia decisa verso la censura iraniana, ma non lo fa nei migliore dei modi, almeno per lo spettatore che assiste a un'ora e venti di filmato ininterrotto. I particolari riescono a emergere soltanto dopo, rischiando di far perdere a chi guarda la sostanza di un'opera che ha vinto meritatamene l'ultimo Orso d'oro a Berlino.

Tra le vie di Teheran, emergono chiare due cose: il neorelismo “a colori” impresso in tutto il film, il cui culmine è la sofferenza di un uomo gravemente ferito e sangunante che, insieme alla moglie, raggiunge a bordo del taxi l’ospedale; e la pessima abilità di autista del regista, nel traffico selvaggio di Teheran.

Ah sì, ancora una cosa: i “non-titoli di coda” alla fine, poiché il il Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico non ne ha dato l’autorizzazione. Ma il dissenso può anche non avere nomi, ma avrà sempre volti.

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