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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Picchia la compagna in strada, arrestato a Trieste con accusa di stalking

Picchia la compagna in strada, arrestato a Trieste con accusa di stalking

Trieste - Un cittadino romeno, I.S.C., 38 anni, residente a Trieste, è stato arrestato martedì 8 ottobre dagli agenti delle Volanti della Questura, per aver picchiato in strada la compagna.

In evidente stato di ubriachezza l'uomo è stato bloccato mentre stava prendendo a calci e pugni la donna tanto da dover far intervenire gli operatori sanitari del 118.

La violenta lite è stata notata dai residenti della zona, che hanno telefonato al 113; sul posto due equipaggi delle Volanti intervenuti hanno bloccato a fatica l'uomo, che ha continuato a minacciare e ingiuriare la donna, e un altro uomo intervenuto a sua difesa.

In questo caso è stato applicato l'arresto in flagranza per il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto per lo stalking.

Vajont 1963 – 2013. A cura del WWF la conferenza a Trieste: la tragedia, l’inchiesta, il processo.

Vajont 1963 – 2013. A cura del WWF la conferenza a Trieste: la tragedia, l’inchiesta, il processo.

Trieste - Vajont 1963 – 2013. La tragedia, l’inchiesta, il processo. Sarà questo il tema della conferenza che si terrà martedì 8 ottobre 2013alle ore 17.30, a Trieste presso il Magazzino delle idee, corso Cavour (entrata di fronte al Molo IV).

A parlarne sono stati chiamati la storica Adriana Lotto e il geologo Franco Cucchi. La conferenza si svolgerà nell’ambito delle iniziative collegate alla mostra Acqua: identità di un territorio, a cura del WWF Trieste, Provincia di Trieste e Area Marina Protetta di Miramare.

Il 9 ottobre ricorreranno i cinquant’anni da quell’immane tragedia che rappresentò il Vajont. Un tema che scienza, teatro, cinema, saggistica, narrativa e poesia hanno più volte affrontato.

In questa conferenza non si  ricorderà solo quello che accadde. Il Vajont andrà colto per quello che è stato: una cesura netta nelle scienze geologiche e, in generale, un momento per una riflessione sul ruolo dell’Accademia nelle scelte sulla realizzazione delle grandi opere.

Il Vajont è stato anche l’argomento di un’inchiesta giornalistica che Tina Merlin, con tenacia, prima e dopo quel 9 ottobre, fece e raccontò negli articoli pubblicati sulle pagine del quotidiano l’Unità. L’accertamento delle responsabilità per quanto accaduto sul Vajont è stato, infine, l’oggetto del primo grande processo su un tema ambientale.

Franco Cucchi, giovane studente nel 1963, colse lo sciame sismico che investì i geologi dell’università italiana, messi duramente sotto accusa per essersi compromessi con i padroni del vapore, la Sade prima e l’Enel poi, non prevedendo o consapevolmente omettendo di informare gli organi di controllo del grave pericolo che stava correndo la popolazione. Guido Nozzoli, giornalista molto apprezzato dell’Unità, parlò di viltà accademica a proposito del fatto che, quando il giudice istruttore, Mario Fabbri, decise di compiere un’indagine tecnica sulla prevedibilità del disastro, non trovò un solo uomo di scienza disposto a criticare l’operato dei colleghi. Per accertare la verità si dovettero scegliere, forse la prima volta nella storia giudiziaria italiana, dei periti stranieri.

L’inchiesta fu giornalistica e politica. La prima era stata avviata, ancor prima di quel tragico 9 ottobre, da Tina Merlin. Nel 1956, quando la Sade aveva iniziato gli espropri a Erto. Articoli che nel 1960 la condussero a Milano, sul banco degli imputati. Nel 1964 del Vajont si occupò anche una Commissione parlamentare d’inchiesta della quale faceva anche parte il senatore Vittorio Vidali.

A parlare  di Tina Merlin sarà Adriana Lotto, autrice di un bellissimo libro Quella del Vajont. Tina Merlin, una donna contro, pubblicato lo scorso anno da Cierre edizioni.

E con lei sarà Toni Sirena, il figlio di Tina Merlin, che ha collaborato al libro Vajont ottobre 1963 curando la cronologia dei fatti e che ora è stato ristampato dalla casa editrice di Sommacampagna. Ad Adriana Lotto spetterà il compito di tratteggiare brevemente l’evolversi del processo che non si svolse davanti al giudice naturale, quello di Belluno, ma all’Aquila, ove la Cassazione lo spostò su ricorso degli avvocati degli imputati.

C’è anche un po’ di Hollywood nel Grande Squalo di Trieste. Intervista allo scultore Davide Di Donato.

C’è anche un po’ di Hollywood nel Grande Squalo di Trieste. Intervista allo scultore Davide Di Donat

Trieste - Tre mesi di ritiro per un restyling spettacolare, un’equipe di tre supertecnici per restituirle la silhouette di centoesei anni fa, quando il Capitano Morin assieme ad alcuni pescatori la portò a terra mettendo fine alle sue terrificanti scorribande nel Quarnero; poi la scommessa della Provincia per farne la star di Trieste Next 2013, forte delle sue dimensioni da record che ne fanno l’esemplare di squalo naturalizzato più grande d’Europa e il secondo al mondo, superato solo dall’esemplare conservato al Museo di Storia Naturale di San Paolo in Brasile. E’ la storia della femmina di squalo bianco, padrona di casa alla mostra “Acqua. Identità di un territorio”, dove dal 12 settembre ha attirato oltre 5000 visitatori, mentre si prepara a fare il pienone di presenze nella settimana calda del pre-Barcolana.

Ma è la storia anche dell’artefice della sua rinascita, un triestino poliedrico che nella sua carriera di scultore si è prodotto in mille metamorfosi: perché dagli effetti speciali per il cinema, la televisione, videoclip e cortometraggi, di scenografie ed attrezzistica teatrale, e ancora all’insegnamento dell’anatomia umana e delle tecniche scultoree, di realizzazione di calchi in silicone e per il mercato del modellismo e dei giocattoli, Davide Di Donato non se n’è fatta scappare una.

In un’odissea di esperienze che lo ha portato lavorare in tutto il mondo: il suo nome compare nella progettazione e realizzazione di diorama e ricostruzioni nei musei di Stati Uniti, Giappone ed Europa, tralasciando tutte le installazioni firmate da lui in molti musei italiani (Luigi Pigorini di Roma, Donini di San Lazzaro di Savena, Museo delle Coltellerie di Maniago, Museo della Memoria di Venzone, solo per citarne alcuni). Senza ancora fermarsi nella sua instancabile attività di scultore commerciale, che porta le sue opere realizzate nei materiali più diversi soprattutto sul mercato dei giocattoli e del collezionismo, con una speciale predilezione per gli animali, i personaggi fantasy e l’horror.

Quarantotto anni, maturità classica, appassionato di rock, cantante e musicista per hobby, Davide Di Donato si definisce un maestro di se stesso, sempre desideroso di insegnare ma soprattutto di imparare dagli altri. Del percorso di formazione e lavoro che l’ha portato a Trieste solo pochi anni fa, Di Donato ha parlato in esclusiva con Ilfriuliveneziagiulia. Con l’entusiasmo di chi, anche in tempi di crisi, non rinuncia a pensare per Trieste occasioni di rilancio basate sull’offerta culturale e di formazione artistica.

Quando ha scoperto di essere uno scultore?

La passione per la scultura… secondo me è nata quarantotto anni fa. Non ricordo un solo istante della mia vita in cui la scultura non sia stata presente. Sin da bambino, il regalo più bello che mi potessero fare i miei genitori era andare nel negozio di giocattoli ad acquistare degli animali in miniatura. Passavo i pomeriggi ad osservare e studiare quelle che per me erano delle meraviglie, poi passavo a disegnare e a replicare tridimensionalmente i miei schizzi con il mitico Pongo. Quarant’anni dopo, è strano ma è così, faccio ancora queste cose ma per professione, lavorando per alcune tra le più importanti aziende internazionali….A volte penso chissà quanti bambini in giro per il mondo possono sognare e viaggiare con la fantasia proprio attraverso le mie creazioni, così come ho fatto io…

Che maestri ha avuto?

Diversi... Ma soprattutto la mia esperienza. Sono diventato un professionista con la dedizione più assoluta al lavoro, con continui aggiornamenti su tecniche e materiali a disposizione oggi per noi scultori, attraverso il confronto continuo con eccezionali colleghi di tutto il mondo che oggi sono a portata di clic grazie ad Internet e ai social network. Al di fuori del mio studio, i maestri me li sono cercati anche con grossi investimenti personali, per raggiungere i più importanti professionisti americani soprattutto nel campo del make up e degli effetti speciali: tra tutti il leggendario Dick Smith, premio Oscar per “Amadeus” autore della metamorfosi di Linda Blair ne “L’Esorcista,” di Marlon Brando in Don Vito Corleone ne  “Il Padrino”, e mille altri… Sono andato a conoscerlo a  Pasadena, alle porte di Hollywood: è stato come vedere la luce. Forse non tutti sanno che i maestri del trucco cinematografico nascono in realtà come scultori, altrimenti come farebbero gli attori a cambiare fisionomia nel corso di un unico film? Sempre in questo campo non dimentico i miei maestri italiani, come Sergio Stivaletti, l’anima degli effetti speciali per Dario Argento e molti altri,  con cui ho collaborato molte volte e da cui ho imparato davvero tanto.

Ha parlato di investimenti personali. Quella dello scultore è anche un’attività imprenditoriale?

Come no. Il che oggi significa che bisogna fare i conti con la devastante crisi economica che ci sta attanagliando. I continui tagli imposti alla cultura limitano di non poco il potenziale di sviluppo commerciale della scultura. Senza tener conto che lavoro in un settore di nicchia, il che comporta avere automaticamente vita difficile. Siamo tutti parecchio agguerriti e dobbiamo difenderci dagli attacchi provenienti dalla concorrenza cinese e dalla scultura digitale, che sta lentamente prendendo piede, anche se credo, mai riuscirà a sostituirsi all’unicità ed alla preziosità di una creazione nata dalla mano di un uomo.

Cosa ci fa uno scultore in museo di storia naturale?

Uno scultore è di casa in un Museo di Storia Naturale, anzi, ne può essere un punto di riferimento. La preparazione tassidermistica di animali passa necessariamente attraverso la realizzazione scultorea della forma anatomica su cui andrà ad essere applicata la pelliccia o il piumaggio o… la pelle di uno squalo. Per non parlare del discorso repliche e copie di reperti, possibili soltanto attraverso la realizzazione di complessi calchi in silicone, con cui ogni scultore che si rispetti deve avere assoluta confidenza. Ma non solo: ricostruzioni di diorami iperrealistici, ambienti naturali, scenografie, installazioni, magnificazioni scultoree e repliche di campioni originali, merchandising e qualsiasi cosa possa servire a divulgare e sviluppare comunicazione  scientifica.

Com’è andata con il grande squalo bianco?

L’avventura parte all’inizio di giugno quando sono stato contattato dalla Provincia e dal Museo di Storia Naturale di Trieste. Si è trattata di una mission “almost” impossible, considerate le strettissime tempistiche di consegna e le gravissime condizioni in cui versava lo squalo: ciò che rimaneva dello storico reperto un tempo esposto nella vecchia sede del Museo in Piazza Hortis era una pelle provata da decenni di esposizione senza interventi di restauro appropriati e per di più adattata ad una struttura anatomica pesantissima ed anatomicamente molto approssimativa. E’ stata una sfida vinta con un grande lavoro di squadra: non ce l’avrei fatta senza dei collaboratori come Andrea Dall’Asta, responsabile dell’Acquario di Trieste, straordinario esperto di anatomia comparata, che mi ha aiutato a rimettere sul corpo della “squala” pezzi di pelle là dove nessuno avrebbe immaginato; e la consumata esperienza di Sergio Martincich, tassidermista del Museo di Storia Naturale di Trieste. Senza la loro collaborazione, il miracolo dello Squalo Bianco non sarebbe potuto accadere in un periodo così breve. Grazie Dreamteam!!!

Dopo la collaborazione con il Museo di Storia Naturale, per il Centro Didattico Naturalistico di Basovizza, per il Centro Visite della Val Rosandra a S.Dorligo della Valle, un altro contributo alla divulgazione scientifica a Trieste con lo squalo bianco. E il futuro?

Mi piacerebbe che almeno uno degli edifici in stato di abbandono al Porto Vecchio potesse venir  adibito a spazio dedicato all’arte nel vero senso della parola. Penso ad una Factory vera e propria dove poter creare, scolpire, dipingere ed insegnare ai giovani a confrontarsi attraverso l’espressione artistica. E mi piacerebbe che ciò rappresentasse un input per una riqualificazione a catena di un’area che se restituita alla città, la trasformerebbe in una piccola metropoli. Se questo sogno dovesse avverarsi, spero che Trieste mi chiami a viverlo con lei.


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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

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