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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Tragico gesto di un militare dell'esercito a Udine in servizio presso la caserma Breghenz

Tragico gesto di un militare dell'esercito a Udine in servizio presso la caserma Breghenz

Udine - Nel pomeriggio del 12 marzo il C.le. Magg. dell’esercito Christian Falconieri, 37 anni, di Nardò (Lc) in servizio alla caserma Berghinz di Udine, si è tolto la vita con un colpo di pistola alla testa.

I sanitari del 118, allertati dalla moglie dell'uomo, sono sopraggiunti immeditamente, ma non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Sul posto anche i Carabinieri della compagnia di Udine, che hanno escluso responsabilità di terzi su quanto accaduto.

Il C.M. Falconieri, nel pomeriggio intorno alle 16.30, era entrato nella casa di famiglia dicendo alla moglie di attenderlo in auto.

La moglie, dopo aver aspettato invano per parecchi minuti, è salita a sua volta in casa ed ha trovato il marito riverso nel bagno privo di vita. A quanto si è appreso, l'uomo non avrebbe lasciato alcun messaggio.

Il presidente di CSS Alberto Bevilacqua: la Regione ha perso la sua occasione

Il presidente di CSS Alberto Bevilacqua: la Regione ha perso la sua occasione

Pubblichiamo integralmente la dichiarazione di Alberto Bevilacqua, presidente del CSS, Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia. L’impatto della riforma del sistema teatrale italiano, a seguito del nuovo D.M. 01/07/14 si sta prefigurando per la nostra Regione un vero e proprio disastro.

Per comprendere la portata dell’attuale situazione, è bene ricordare che, prima dell’entrata in vigore del nuovo Decreto cultura, il cuore della produzione teatrale italiana risiedeva nelle istituzioni teatrali stabili, suddivise per specifica funzione nelle seguenti 3 categorie:

• 17 Teatri stabili ad iniziativa pubblica (di cui uno di minoranza linguistica);

• 12 Teatri stabili ad iniziativa privata

• 35 Teatri stabili di innovazione (di cui 18 specializzati in teatro ragazzi) Nella nostra Regione erano presenti:

• 2 teatri stabili ad iniziativa pubblica (Rossetti e Sloveno, minoranza linguistica)

• 1 teatro stabile ad iniziativa privata (la Contrada)

• 1 teatro stabile di innovazione (il CSS) Un sistema certamente sbilanciato sulla città di Trieste, sede di tre delle quattro istituzioni (oltre che del teatro Lirico G. Verdi e del Teatro Miela), ma pur sempre privo di doppioni di funzione. Il nuovo assetto prevede diverse categorie, la cui definizione abbandona i termini che definivano le aree di intervento delle precedenti: teatro di tradizione, contemporaneo, innovazione, collegandole invece a funzioni di progetto e di area di competenza:

• Teatri nazionali

• Teatri di rilevante interesse culturale

• Centri di produzione La commissione ministeriale ha già individuato i teatri che comporranno le prime due categorie, nonché i primi soggetti della terza. L’esito per la nostra Regione è già quasi definito:

• nessun Teatro nazionale

• 2 Teatri di rilevante interesse regionale con sede a Trieste (Rossetti e Sloveno)

• 1 Centro di produzione a Udine (CSS)

• 1 teatro ancora in attesa di collocazione a Trieste (Contrada) Si tratta di un magro risultato per una Regione così ricca di prosa, e così importante dal punto di vista culturale nelle sue relazioni con la realtà italiana e nel contesto europeo.

Una Regione che per qualità aveva le carte in regola per esprimere un progetto per un Teatro nazionale. L’analisi delle scelte operate dalla Commissione ministeriale ci aiuta a comprendere cosa sia successo e dove si devono trovare le cause di un risultato certamente molto deludente per la Regione Friuli Venezia Giulia, per Udine come per Trieste. Va innanzitutto osservato che il posizionamento dei singoli teatri nelle tre nuove categorie può essere letto come segue:

• i Teatri nazionali sono gli ex teatri stabili pubblici più importanti;

• i Teatri di rilevante interesse culturale (Tric) sono i tre teatri stabili pubblici che non sono entrati nella prima categoria e uniti ai teatri stabili privati più importanti;

• i Centri di produzione sono i teatri stabili privati che non sono entrati nella categoria Tric ai quali si aggiungono i più importanti teatri di innovazione. In questo quadro si potrebbe affermare che: “cambia tutto per non cambiare niente”; ma a ben guardare spiccano invece alcune “sorprese” quali ad esempio:

Il Teatro stabile del Veneto ottiene il riconoscimento di Teatro Nazionale presentando domanda assieme al Teatro stabile privato di Verona; ancora più eclatante è il caso della Toscana, dove un teatro di innovazione più piccolo del CSS – Pontedera – unendosi alla Fondazione Teatro della Pergola (una sorta di Giovanni da Udine) ottiene il medesimo risultato, ovvero diventa un Teatro nazionale. Parimenti, nel settore TRIC, è addirittura un Teatro Ragazzi – il Kismet di Bari – che, unendosi al teatro Abeliano, ottiene il salto di categoria.

Al contrario, in Sicilia, i due teatri stabili pubblici – Palermo e Catania – che si presentano da soli, separatamente, si vedono declassati a TRIC.

La domanda nasce spontanea: cosa ci siamo persi qui in Friuli Venezia Giulia? Lo spirito della riforma è stato senza dubbio premiante rispetto a chi ha saputo incrociare e condividere i progetti, accorpandosi, ed è proprio questo il punto in cui si è enormemente sbagliato nella nostra Regione; un errore di valutazione che costerà certamente molto caro ai singoli e che ha dei responsabili.

Innanzitutto dagli esempi fatti è evidente che l’ipotesi formulata di un Teatro nazionale tra CSS, Rossetti, Accademia Nico Pepe avrebbe avuto i numeri per poter essere competitivo e realizzabile. Riuscire in quell’impresa avrebbe significato non solo poter vantare un Teatro nazionale nella nostra Regione, ma anche certamente poter contare su maggiori risorse, oltre a liberare un posto in più nell’ambito TRIC.

Accorpando CSS, Rossetti e Accademia Nico Pepe, non solo si sarebbe potuto strutturare un progetto di politica culturale di straordinaria portata, ma con tutta probabilità si sarebbero potuti salvare anche i 2 TRIC su Trieste (Sloveno, Contrada), potenziando il quadro della nostra Regione, rendendola competitiva, rappresentativa e forte al pari di altre Regioni che hanno saputo modellarsi ai cambiamenti richiesti e rinnovarsi con più decisione, come in Emilia Romagna, in Piemonte, in Toscana.

Ma questa ipotesi è affondata soprattutto perché persone decisive come il Presidente Budin e il Direttore Però non hanno mai davvero creduto in questo progetto. Fallita l’ipotesi del Teatro nazionale - e questo sulla base di un pregiudizio, non certo sulla base di alcuna simulazione numerica o piano di fattibilità condiviso – il CSS ha voluto verificare una strada alternativa che potesse essere comunque di crescita e sviluppo per un territorio.

Abbiamo quindi lavorato per presentare un progetto di sistema per la nostra città , che potremmo definire “Udine Teatri della città”. Si tratta di un progetto che avrebbe fatto ricedere sul territorio cittadino maggiori risorse attraverso l’accreditamento come TRIC del CSS, esattamente come quello che è accaduto a Firenze, o a Bari. L’idea si basava sul definire un accordo tra CSS, Teatro Nuovo Giovanni da Udine e Accademia Nico Pepe, capace di rafforzare gradualmente le relazioni tra questi organismi, nel rispetto delle autonomie artistiche e amministrative di ciascuno.

Questa ipotesi, sostenuta dalla Regione, informalmente verificata direttamente con i funzionari del ministero, avrebbe certamente messo la nostra città in una posizione ben diversa da quella in cui si trova oggi.

Ma in questo caso abbiamo sbattuto contro l’incapacità di cogliere una straordinaria opportunità da parte di chi ha gestito il Teatro Nuovo in quest’ultima fase; un’opportunità che non evidenziava alcun punto di rischio, ma solo l’occasione di crescere e convogliare su Udine maggiori risorse da far ricadere sul nostro territorio.

Ma anche qui non c’è stato nulla da fare: l’inadeguatezza e il pregiudizio, ma anche la colpevole tranquillità di chi pensa che, in fondo, le risorse pubbliche per tirare avanti ci saranno sempre, hanno portato al fallimento anche questa ipotesi.

Al 31 gennaio 2015 ci siamo presentati con le nostre sole forze, con il nostro progetto triennale e i nostri numeri, come Teatro Stabile di innovazione tra i più importati d’Italia, certamente rafforzati dal fatto di aver vinto il bando di gara per poter gestire il Palamostre e dal partenariato di istituzioni, realtà e artisti che dà sostanza al nostro progetto.

Noi andiamo avanti, auspicando che questa batosta che viene inferta dal Ministero alla nostra Regione possa essere di monito e un punto da cui ripartire tutti più consapevoli dei cambiamenti richiesti dal contesto in cui operiamo.

Emergenza profughi: l'accoglienza diffusa secondo Anci

Emergenza profughi: l'accoglienza diffusa secondo Anci

Verso l’accoglienza diffusa. Per affrontare l’emergenza profughi, Anci accoglie la proposta della Regione per un sistema che prevede la disponibilità dei comuni: ogni località, in base a caratteristiche, grandezza e disponibilità di strutture ricettive, si rende disponibile ad ospitare un numero di richiedenti asilo commisurato alle sue possibilità.

“L’obiettivo è quello di anticipare l’azione della prefettura – ha spiegato il vice presidente di Anci Renzo Francesconi - se non si programma preventivamente l’accoglienza, infatti, c’è il rischio che il prefetto smisti i richiedenti asilo in strutture private bypassando regione e comuni e non tenendo conto delle criticità del territorio e delle esigenze delle singole comunità.” “Giustamente ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte – è intervenuto il sindaco di Tarvisio Renato Carlantoni - ma gli sforzi che stanno facendo la regione e i comuni non sono compatibili con il metodo di azione della prefettura che sembra lavorare a compartimenti stagni rispetto all’emergenza che pesa sul territorio.”

Ad oggi in Friuli Venezia Giulia ci sono circa 1600 profughi: l’impegno di Anci è quello di diventare parte attiva per sensibilizzare i comuni sull’opportunità di accogliere questo tipo di soluzione. “Conditio sine qua non” condivisa dai sindaci presenti al Comitato esecutivo Anci è che sia però una soluzione temporanea che affronta un’emergenza contingente e che tale disponibilità manifestata dai comuni non si trasformi in un’istituzionalizzazione dell’accoglienza.

“Distribuire nuclei non numerosi di profughi in tanti comuni è una politica intelligente – ha commentato Francesco Martines, sindaco di Palmanova - La paura ben comprensibile dei piccoli comuni, però, è proprio la gestione, anche se di pochi profughi, nel proprio territorio.” “Il rischio – ha commentato il sindaco di Sacile Roberto Ceraolo – è che la disponibilità dimostrata diventi un’emergenza infinita che i comuni si troveranno continuamente ad affrontare”.

Chi siamo

Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

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