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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Con Enzo Bianchi e papa Francesco, aggiornamenti, riflessioni, emozioni, sentimenti estivi

Con Enzo Bianchi e papa Francesco, aggiornamenti, riflessioni, emozioni, sentimenti estivi

Trieste - Sarà l’estate che favorisce il pensare, ma ho trovato molti motivi di riflessione in queste settimane. Provo a riassumere qualche forte sollecitazione, confortato dal pensiero di Papa Francesco, che spinge la Chiesa a sapersi fermare.

La riflessione è scaturita anche dalla lettura dell'ultimo libro di Enzo Bianchi, intitolato “Fede e fiducia” (Einaudi, Torino 2013 – euro 10,00).

Ma andiamo con ordine.

Dice il Papa: “La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo, internet, auto, aerei, rapporti veloci… tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa sa ancora essere lenta? O anche la Chiesa  è ormai travolta dalla frenesia dell’efficienza? Recuperiamo , cari fratelli, la calma  di saper accorciare il passo, la capacità di essere sempre vicini per aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori”.

Non si può che cominciare da lui e dalla settimana brasiliana, da cui sono partiti messaggi chiarissimi su una Chiesa che deve recuperare vicinanza agli uomini, gioia, presenza sociale, fraternità autentica, spinta profetica.

Autore a suo tempo di un documento dei vescovi sudamericani scritto in Aparecida, il Card. Bergoglio insisteva assieme ai confratelli vescovi sul senso della fedeltà: “Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli, si esce”.

Papa Francesco oggi insiste su una visione di Chiesa che si fa prossima, non regolatrice della fede, ma facilitatrice di essa, come una madre che esce per l’incontro: “La Chiesa famiglia si genera intorno ad una Madre, la quale conferisce anima e tenerezza alla convivenza famigliare. Questa visione mariana della Chiesa è il miglior antidoto contro la concezione di una Chiesa funzionale e burocratica”.

Per agire così occorre avere la formazione di personalità senza paura della tenerezza,  aperte alla costruzione di coraggiosi ponti di amicizia e di fraternità, uomini e donne gioiosi, la gioia di aver veramente incontrato Cristo, non “tristi, impazienti e ansiosi”. Persone disponibili a “lasciare le sacrestie e andare per le strade”, a “parlare il linguaggio che la gente capisce fuori dalle formule liturgiche e teologiche”.

Papa Francesco è credibile nel suo dire, perché è sempre uscito incontro, sa che “Gesù non ha casa, perché la sua casa è la gente”, è da sempre ricco di contatti impregnati di passione umana, di partecipazione ai dolori e ai problemi di chi vive appunto alle periferie del mondo, sa che “ il vero potere è il servizio”.

I contatti vissuti nella settimana della GMG hanno confermato che solo così si costruisce una Chiesa rievangelizzata, non ripiegata su se stessa, non concentrata sui riti. Nel raduno finale tra l’altro ha detto: “La Chiesa romana ha spesso dimenticato di dire  che non ci può essere pacificazione nella miseria e nell’ingiustizia”.

Parole che dagli anni della Teologia della liberazione e dei Vescovi come Helder Camara, non risuonavano con tanta forza.

I gesti di prossimità a chi sta male e la sua immersione nelle questioni umane più scottanti, gli stanno facendo guadagnare la fiducia di tutti, c’è insomma nel suo stile di rapportarsi un di più di umanità che assume in questo momento un valore speciale, inestimabile.

Si è detto che questa settimana è stata una “festa di umanità” e non c’è infatti alcun contrasto  tra fede e umanizzazione della vita, anzi questa crescita di umanità è un compimento del Vangelo stesso. L’ammirazione arriva anche dagli ambienti non cattolici e da chi non crede, segnale di un’apertura che andava recuperata.

Un secondo motivo di riflessione mi è giunto dalla recente pubblicazione di un piccolo libro di Enzo Bianchi intitolato “Fede e fiducia”.

Se possibile, meglio averlo con sé…

Il libro è un inno alla comune ricerca di “fare fiducia”, un modo di essere che interessa tutti e che oggi si impone come necessaria alla vita sociale.

Diretto e intrigante, Bianchi si esprime con una comunicazione densa di suggestioni pratiche: “Le persone dopo averci incontrato, hanno più fiducia, hanno più fede nella vita e negli altri? Questa è la domanda decisiva da porsi per intraprendere qualunque discorso serio, anche quello sulla crisi o sulla precarietà della fede in Dio.”

Il suo focus è sul rispetto dei non credenti: “Spesso la tentazione dei credenti in Dio è ancora quella di condannare i non credenti, di non comprenderli e di giudicarli. (...)

Le frontiere talora passano non tra chi ha fede in Dio e chi non ce l’ha, ma tra chi ha una fede arrogante e chi ha una fede umile, tra chi crede nell’umanità e chi di essa dispera, tra chi è arroccato su posizioni del passato e chi aderisce al presente e così si apre al futuro, tra chi pensa di possedere la verità e chi si sente pellegrino verso di essa (...) perchè i non credenti non riconoscono il Dio che noi professiamo? Non dipenderà dal fatto che non ne offriamo sempre un’immagine veritiera, autentica, fedele? Siamo sicuri di non averne costruito nei secoli, e ancora oggi, immagini perverse, che anziché attirare e offrire salvezza raffigurano un Dio contro l’uomo? Un Dio che ci offre amore solo se meritato?”.

E poi prosegue con salutari elenchi provocatori: “Dovremmo dire che NON crediamo: in un Dio che si impone agli uomini, in un Dio che si vendica e castiga, in un Dio che ama la sofferenza, in un Dio che spia gli uomini come un ispettore, in un Dio che giustifica la violenza, in un Dio che è re al modo dei governanti umani, in un Dio che ama solo se è riamato, in un Dio che sta dalla parte degli uni contro gli altri, in un Dio totalitario che vuole essere tutto per noi”.

E infine mi è ricapitata  sotto gli occhi una frase che ho trovato per caso qualche anno fa presso l’eremo di Spello dei Piccoli fratelli di Charles de Focauld, firmata da uno di loro, ma condivisa da tutti loro.

In questo tempo di fretta, di frenesia, di complicazioni relazionali e di tanto narcisismo ovunque diffuso, mi è parsa una luce di rara intensità e credo pienamente in linea con l’attuale stile pastorale di questo Papa, per cui vale veramente la pena di leggere questi loro pensieri:

"Ci rendiamo conto sempre più infatti che ciò che ci rende significativi come credenti non è nè un cristianesimo severo né il ritmo vertiginoso delle nostre attività sociali e pastorali, che, anche se necessarie, da sole non saranno mai esaustive".

"Ma è piuttosto lo spessore contemplativo, la capacità di cogliere i segni del Regno che si rivelano nel quotidiano, la compassione, il tratto umano, l’ecologia relazionale e controculturale che fa  fiorire la nostra vita fraterna e tutta la nostra persona, compresi il nostro corpo e la nostra casa".

"Amore chiama amore risponde" primo romanzo della giornalista Cristiana Della Zonca

Udine – Dopo la tappa nel capoluogo giuliano, che ha visto una numerosa affluenza di pubblico, continua nella nostra regione la presentazione del libro  “Amore chiama amore risponde” di Cristiana Della Zonca (Giunti Editore), con l’appuntamento di venerdì 5 luglio alle ore 18 alla libreria Feltrinelli a Udine.

Interverranno con l’autrice Cristiana Della Zonca, il giornalista de Il Messaggero Veneto Gian Paolo Polesini accompagnato dalle letture dell’attrice Laura Bussani.

“Amore chiama amore risponde” parla di una famiglia allegra, vera, imperfetta. Straordinaria nella sua normalità. Parla di un posto dove tornare. Perché a volte, accecati dall’apparente libertà della vita di chi non ha legami, ci dimentichiamo della solitudine che questo comporta, dell’incertezza che crea non avere qualcuno da cui tornare.

Uno stralcio tratto dal libro: “Capita, nella vita delle donne, di solito intorno ai quarant’anni, di fare un bilancio: guardando indietro si vede e valuta il tratto di strada percorso chiedendosi se è proprio quello il tragitto che volevamo fare. È un momento in cui ci si guarda allo specchio e  magari non ci si riconosce più oppure ci si rende conto di essere rimaste incastrate: quel lavoro accettato ma solo per un periodo che poi si è prolungato non si sa bene come,  la rinuncia temporanea in nome della maternità, un rapporto insoddisfacente ma stabile, l’occuparsi magari solo per un po’ di un genitore anziano e così via, sono diventati da impegni temporanei alla normalità di un quotidiano di cui si è insoddisfatte e da cui non si riesce a uscire. Quando esattamente la nostra vita sia diventata così non lo sappiamo neppure più. E allora si tende a buttare via tutto, il bambino con l’acqua sporca come si usa dire, con l’idea che solo una rivoluzione radicale possa restituirci i sogni e le soddisfazioni perdute.  Ma potrebbe essere un modo di vedere le cose errato, magari basta cambiare la prospettiva, o aggiustare un pezzettino, perché tutto si risolva. La protagonista del libro, ad esempio, si trova a vivere uno spaesamento causato da un’amnesia e grazie a questo evento traumatico ritrova la vera se stessa senza per questo perdere l’affetto dei suoi cari. Amore chiama amore risponde mostra come i problemi si possano risolvere anche dall’interno, con l’aiuto di chi si ama e che ci ha accompagnato fino a qui, perché cambiare strada è possibile anche senza distruggere tutto quello che nel bene o nel male abbiamo costruito. L’importante è provarci. Sempre.”

Il libro verrà presentato alla libreria Giunti al Punto a Pordenone, giovedì 18 luglio alle ore 21 modererà l'incontro la giornalista Francesca Pessotto.

"La stanza dei pesci" : un romanzo di vita vera, prefazione di Claudio Magris.

La stanza dei pesci : “Un romanzo di vita vera, talora troppo dolorosamente vera” come ricorda Claud

Trieste  - E’ stata presentato in questi giorni il nuovo libro, "La stanza dei pesci" di Flora Tommaseo, della “Collana 180 - Archivio critico della salute mentale” diretta da Peppe Dell’Acqua, Nico Pitrelli e Pier Aldo Rovatti, edito da edizioni Alphabeta Verlag di Merano, punto di coagulo e di convergenza delle proposte del mondo della salute mentale.

“La stanza dei pesci” della giovane Flora Tommaseo, triestina di nascita, dal 2010 al 2011 ha affrontato un'esperienza che le ha cambiato la vita e le pagine di questo libro narrano, proprio quei giorni di dolore e di crescita interiore, che l'hanno strappata da una vita radicata da tempo nell'oscurità del mondo.

 “Un pesce dentro un acquario, per quanto possa nuotare, sbattere le pinne, dimenarsi, salire fino su per poi scendere fino a giù, resterà sempre un pesce dentro un acquario. A meno che non si tratti di un pesce dentro un acquario fortunato, perché allora le cose cambiano: un giorno indefinito, una mano paziente, sapiente, capace e generosa, lo prenderà in mano senza scottarlo, curandosi di lui lo porterà diritto fino al mare. Quel pesce fortunato dovrà imparare a nuotare davvero, vivendo delle sue forze, mangiando il suo coraggio, lottando contro i nemici che indubbiamente incontrerà durante il suo percorso. Ma non avrà importanza, per lui, per- ché, anche se dovesse morire, lo farà naturalmente e non carbonizzato sui bordi di un’acqua putrida e stagnante di un acquario sbadatamente dimenticato”.

É con queste parole che ha inizio il racconto autobiografico dell'autrice che attraverso la sua scrittura , puntuale e suggestiva, meraviglia e stupisce i lettori e accende i riflettori sugli “incidenti di percorso” di una vita.
Un gesto o una parola, al posto sbagliato nel momento sbagliato e l'inimmaginabile può crollarci addosso. La condotta irriverente di Matilde, protagonista di questo libro, diario, autobiografia ne è un esempio. Troppe delusioni rimediate, sofferenze intascate, troppe lacrime non piante e troppe attese sradicate hanno portato ad anestetizzare i suoi dolori con i rimedi peggiori di cui un’anima si possa nutrire. Eppure Matilde è dotata di una sensibilità oltre le righe e a questa stessa sensibilità ricorre ogni volta che scrive sul suo magik book, sfuggendo così, almeno per qualche istante, alla routine giornaliera dei servizi e delle comunità d’accoglienza: dall’assunzione dei farmaci, alla partecipazione alle riunioni, dallo svolgimento dei compiti, alle litigate con i compagni e le compagne di viaggio.

Claudio Magris firma la corposa introduzione al volume intitolata “L’autobiografia: dall’acquario al mare”. E' a partire da una profonda analisi dell' “autobiografia” in letteratura che Magris arriva a parlare di una notevolissima – come la definisce lui – “Stanza dei pesci”. Un tipo di autobiografia che costituisce un recupero della propria soggettività. In questo libro l’autrice racconta delle esperienze laceranti e repulsive, con una chiarezza, una lucidità e una ferma pulizia linguistica, che liberano il testo da ogni compiacimento narcisistico, da ogni ostentazione del proprio dolore, da ogni tentazione di crogiolarsi nella propria sofferenza. “[…] C'é un piglio errabondo da canzone in queste pagine – scrive Magris - che raccontano una storia ben diversa da quella che raccontano le solite canzoni […]”.

Magris descrive questo libro come vero e proprio Bildungsroman, un romanzo di formazione,  non un romanzo letterario, ma un romanzo di vita vera, talora troppo dolorosamente vera. Un percorso che parla di identità, soggettività, coraggio, ma anche di un'incessante richiesta di aiuto, come quella di un pesce che chiede silenzioso di essere sollevato dalle ristrettezze senza fantasia di un acquario e nuotare nel mare infinito. Flora però ha saputo imparare a nuotare, a vivere delle sue forze, a – come scrive lei – nutrirsi del suo coraggio.

Evidenziamo che la Collana 180, alla quale questo libro appartiene,  è entrata nel mercato editoriale per interpretare un bisogno di conoscenza, sviluppare un “pensiero critico” e riconoscere le tante cose che in questi anni sono avvenute nel campo della salute mentale. “Non è un caso che un libro – sottolinea Magris - come La stanza dei pesci possa essere accolto in una collana destinata, non a offrire chicche letterarie, ma testimonianze di persone che sono passate attraverso forche caudine umilianti e degradanti e anche colpevoli, che hanno dovuto attraversarle per ritrovare se stesse. Una collana che si propone di dimostrare che si può “impazzire”, ma che, se impazzire si può, si può anche guarire. O, più semplicemente – giacché anche la parola guarire può essere ambigua e non può certo garantire alcuna eternità – si può anche diventare capaci di vivere”.

Sono intervenuti alla presentazione  Alessandra Longo, giornalista di Repubblica, l'autrice Flora Tommaseo, i direttori della Collana 180 Peppe Dell'Acqua, Pier Aldo Rovatti e Nico Pitrelli, Antonella Grim, Assessore all’Educazione, Scuola e Università e Ricerca e Franco Rotelli, Presidente III Commissione regionale Sanità.

L'incontro è stato organizzato da Edizioni Alphabeta Verlag e CoPerSaMM - Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel Mondo Franco Basaglia ONLUS, con il contributo del Comune di Trieste - Area Educazione, Università e Ricerca e la collaborazione della libreria Ubik Trieste, che di recente ha inaugurato la sede triestina proprio all'interno della Galleria Tergesteo.

Chi siamo

Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

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