Tragedia a Trieste, una bambina si getta dalla finestra di casa il primo giorno di scuola
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- Pubblicato Martedì, 11 Settembre 2012 12:12
- Scritto da Tiziana Melloni
Trieste - La mattina del 10 settembre una ragazza di 12 anni si è gettata dalla finestra della sua abitazione, in una via centrale della città, lasciando un messaggio sul suo cellulare in cui si legge: "Odio la scuola" e "Odio la famiglia".
Così scrive il quotidiano locale "Il Piccolo": "L’allarme è scattato alle 7.15. Si era appena alzata e ieri avrebbe dovuto presentarsi a scuola per il primo giorno in seconda media. È andata in cucina e ha appoggiato una sedia sotto il davanzale della finestra. Ha messo il cellulare bene in vista sul tavolo. Ha lasciato le ciabatte in ordine mettendole sotto la sedia. Infine, ci è salita sopra e dopo aver aperto la finestra, ha fatto un balzo in avanti, verso il vuoto. Il corpo è rimbalzato sui fili della biancheria, ha urtato un muretto ed è finito sull’asfalto del cortile interno proprio vicino a un’aiuola piena di gerani. In casa, in quel momento, c’era la madre della bambina".
Il sindaco Roberto Cosolini assieme alle autorità civili ed ecclesiali hanno manifestato dolore e sconcerto.
Il gesuita padre Bartolomeo Sorge ha ricordato la figura del cardinale Carlo Maria Martini
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- Pubblicato Martedì, 11 Settembre 2012 09:31
- Scritto da Serenella Dorigo
Trieste – Quale voce più pregevole se non quella di padre Bartolomeo Sorge, per ricordare il cardinale Carlo Maria Martini? Il 10 settembre, presso il centro culturale Veritas di Trieste, il gesuita storico direttore di "Civiltà Cattolica" ha svolto una riflessione affettuosa ed attenta sulla figura del cardinale Martini, a dieci giorni dalla sua morte, avvenuta il 31 agosto a Gallarate.
Le parole di padre Sorge hanno guidato i numerosi presenti ad una conoscenza su quella che è stata la missione del cardinale, e non solo cardinale, ma prima ancora pastore e uomo libero e pensante.
Padre Sorge ha esordito dicendo che uomini come Carlo Maria Martini non sono da ricordare, ma da imitare.
Il cardinale è stato, innanzitutto, ricorda Sorge, testimone della parola di Dio. Se non si tiene presente questo non si può parlare di Martini;
Vescovo del Concilio e di non poco rilievo uomo del XXI secolo, la parola di Dio l’ha studiata, ma soprattutto ne ha fatto esperienza, costituendo la scuola della Parola che condivideva con i tanti giovani che affollavano i suoi incontri, e i giovani non si fanno incantare facilmente.
Allargare le prospettive è stato il modo con cui Martini interagiva con i giovani stando al loro fianco e non calando dall’alto dogmi, chiedeva infatti una rivisitazione delle categorie della filosofia scolastica su cui si appoggia la chiesa ancora oggi. "Non puoi rendere Dio cattolico" era una frase che il pastore Martini citava nei suoi incontri, segno di un pensiero universale, aperto ad ogni uomo e ad ogni cultura.
Padre Sorge non ha mancato di sottolineare l’aspetto di Martini come uomo libero, non condizionato dalla diplomazia, come teologo promotore del Concilio Vaticano II di cui auspicava una piena realizzazione ed infine come colui che, pur essendo uomo di Chiesa, non mancava di vedere l’attuale situazione di crisi della Chiesa.
Padre Sorge non solo è stato portavoce del pensiero di Martini, che condivide e attualizza con la sua testimonianza, ma ha rielaborato un concetto, caro a molti ma non chiaro a tutti, ribadendo la fine della fede sociologica e la necessità di aprire il tempo di una chiesa profetica.
L'Afghanistan al centro del Convegno internazionale svoltosi a Trieste nel fine settimana
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- Pubblicato Domenica, 09 Settembre 2012 17:35
- Scritto da Tiziana Melloni
Trieste - Tanti gli appuntamenti ed i relatori al Convegno “Afghanistan, oltre il grande gioco”, che si è svolto dal 7 al 9 settembre presso l'Auditorium dell'ex Pescheria: da Alberto Cairo, medico della Croce Rossa da 20 anni a Kabul e candidato 2010 al Nobel per la pace, a Enrico de Maio, già ambasciatore italiano in Pakistan e Afghanistan. Testimonianze di diplomatici ed esperti si sono alternate a proiezioni di film e documentari.
L'incontro si è svolto a corredo della mostra fotografica dell'artista polacca Monica Bulaj “Nur – Luce”, dedicata al Paese asiatico, allestita nell'area espositiva dell'ex Pescheria, oggi “Salone degli Incanti”, del capoluogo giuliano.
Fra gli ospiti, abbiamo incontrato il funzionario dell'Onu Andrea Angeli, maceratese, che con la nostra Regione ha un rapporto particolare da quando, tra il 1993 ed il 1996, ha prestato servizio tra Zagabria e Sarajevo durante il conflitto che ha martoriato l'ex Yugoslavia: “A volte si andava al confine dalla mattina alla sera – ricorda - anche in treno, per assaporare il fascino di Trieste”.
Angeli ha iniziato la sua attività alle Nazioni Unite nel 1987 ed ha svolto vari ruoli che possono essere riassunti nel termine “peacekeeper”, alla lettera “portatore di pace”: un percorso che racconta nei suoi due libri, “Professione peacekeeper” (Rubettino, 2005) e “Senza pace” (Rubettino 2011).
Ma cosa vuol dire essere portatori di pace? “Negli anni ’80 i contratti per le missioni all'estero erano poco ambiti dai giovani: duravano al massimo due anni e le destinazioni erano più che altro in Paesi disagiati. Partii per il Cile senza particolari difficoltà. Riuscii a farmi rinnovare il contratto e da lì iniziò il mio percorso. Le mansioni sono state diverse, con un denominatore comune: fare da tramite fra governi e popolazioni locali e delegazioni delle Nazioni Unite”.
La figura del diplomatico Onu – come emerge dal racconto di Andrea Angeli – ha un margine piuttosto ampio di autonomia. Ed è proprio questa libertà di manovra che rende possibile creare delle reti informali di persone che in modi diversi e talvolta impensabili possono contribuire a favorire il cammino verso la pace: “il peacekeeper è come un medico condotto – scrive Angeli. - Solitario, spesso in situazioni difficili, riceve le richieste più disparate”.
Sono persone come Andrea che, con tratto gentile ed infinita pazienza, tengono vive le relazioni tra la gente del luogo e gli inviati dall'estero, e tra questi ed il resto del mondo. Una tela di rapporti invisibile e fragile che però, nel corso del tempo, si può trasformare in un solido ponte.
Cosa dire riguardo all'Afghanistan? Si può tracciare un bilancio, a più di 10 anni dalla missione?
“L'intervento in Afghanistan è stato diverso dalle altre missioni, nel senso che è iniziato gradualmente ed è andato via via crescendo. Probabilmente gli obiettivi che la missione si è posta erano troppi, e tutti insieme. Le condizioni della popolazione, tuttavia, anche se siamo molto lontani dalla normalità, sono migliorate: ad esempio nell'accesso all'istruzione”.
L'importante, per questa come per altre presenze all'estero, è non perdere di vista la cultura e le condizioni di vita del luogo, come ha evidenziato anche il colonnello Federico Maria Pellegatti, comandante regionale dell’Esercito del Friuli Venezia Giulia, che ha contribuito alla discussione portando la sua testimonianza di comandante in missioni di pace.
“Le persone coinvolte nei conflitti – ha detto infine Angeli – restano tagliate fuori da ogni contatto con l'esterno, per anni. Una mostra di foto così intensa è un mezzo straordinario per far conoscere la realtà in cui esse vivono e riallacciare i fili tra loro ed il mondo. Anche questo contribuisce a rafforzare la costruzione della pace”.
La mostra di Monika Bulaj, che ha avuto un grande successo di pubblico, è stata prorogata fino al 30 settembre.
(Andrea Angeli ha rilasciato lo scorso anno una bella intervista ai colleghi di Cronache Maceratesi, che riproponiamo ai nostri lettori).
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