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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Scuola e referendum sociali. Ma l'insegnamento è misurabile?

Trieste – Momento non facile per il governo Renzi.

Alla direzione del PD si osserva come la riforma della scuola abbia indebolito il partito di governo e abbia allontanato l'appoggio elettorale degli insegnanti (che, ricordiamolo, sono un serbatoio di circa 800.000 voti).

Non solo, dunque, si apre una fase critica dovuta ai risultati nazionali e locali delle amministrative, e non solo per l’attesa, a ottobre, del referendum costituzionale che dovrebbe mettere alla prova la tenuta del governo, ma anche perché oggi 4 luglio sono scaduti i termini per la presentazione delle firme, alla Corte di Cassazione di Roma, di altre proposte referendarie: i cosiddetti referendum sociali che comprendono, oltre alle questioni su inceneritori, acqua e trivelle, anche quattro quesiti sulla scuola.

Ma, al contrario del referendum costituzionale, nel caso dell’istruzione, si tratta di referendum abrogativi: l’intento è di portare alle urne l’elettorato e di farlo esprimere sull’opportunità che quattro dispositivi - contenuti nella legge 107 sulla scuola  (qui il servizio riassuntivo) – siano annullati dalla volontà della maggioranza popolare.

Se si oltrepasserà la soglia delle firme (500.000), si potrà aprire il dibattito – in attesa delle votazioni - sui quattro punti previsti, due dei quali entreranno a regime proprio nell’anno scolastico entrante, il 2016/2017.

Infatti, con l’avvio del prossimo anno scolastico si dovrebbe iniziare una rivoluzione nell’assegnazione delle cattedre al personale docente: si determinerà l’organico dell’autonomia con cadenza triennale e il personale docente sarà distribuito secondo il nuovo criterio degli ambiti territoriali e sottoposto a mobilità (almeno per quanto riguarda i neo assunti).

Ma soprattutto sarà il dirigente, e non l'Ufficio scolastico regionale,  a scegliere secondo il proprio gradimento i docenti che completeranno l’organico, sulla base delle candidature e dei titoli presentati.

E, altro punto caldissimo, in luglio usciranno – nei vari istituti – le liste dei docenti che saranno premiati con il “bonus” per la valorizzazione del merito, processo già iniziato, durante l’anno appena trascorso, con la formazione dei Comitati per la valutazione degli insegnanti, caratterizzati da un'estrema varietà dei criteri, che sono stati elaborati secondo la discrezionaità degli istituti sulle linee guida (vaghe, ampie e interpretabili) della legge.

Su tutti gli argomenti esposti si è accesa una disputa che ha portato alla formulazione dei quattro quesiti referendari abrogativi che riguardano i superpoteri del dirigente: il potere discrezionale del dirigente di scegliere e confermare i docenti nella sede scolastica. Il potere del dirigente di scegliere i docenti da premiare su indicazione del comitato per la valutazione. E poi l’obbligo dell’alternanza scuola lavoro e le norme sui finanziamenti dei privati alle scuole, siano pubbliche o private.

Non si sbaglia a prevedere un altro autunno caldo. Non fosse altro perché, se tutto dovesse realizzarsi, avverrebbe quella virata della scuola pubblica verso un’istituzione che di pubblico potrebbe avere ben poco e, al contrario, funzionerebbe secondo ritmi e processi aziendali a danno di quella serenità garantita dalla mancanza di competizione economica.

D’altro canto, sono molti anni che l’aggettivo “pubblica” non fa più coppia con “istruzione” nel titolo del dicastero italiano, sebbene la tendenza sia di mettere tutti nello stesso comparto della Pubblica Amministrazione.

E proprio questo è il nodo in cui si intrecciano tutte le questioni e su cui l’elettorato dovrà scegliere.

Così com’è definita dalla legge 107, la scuola – pur sempre al servizio della collettività - si avvicina sempre più a un corpo di funzionari che esprime una serie di atti e provvedimenti amministrativi e giuridici. Un insieme di impiegati che lottano per avere un indiscutibile diritto al miglioramento economico. Rimane da vedere come tutto questo avviene e se sia giusto che ciò avvenga (qui il nostro servizio).

Sotto la pressione legislativa dell’Unione Europea, anche la scuola tende a diventare un settore strategico e di fondamentale importanza per l’economia (le prove INVALSI lo testimoniano) e quindi sottoposto ai parametri di efficacia, efficienza ed economicità nel conseguimento degli obiettivi di mercato, ossia l’accaparramento di settori sempre più vasti di giovani utenti e di affermazione sempre più profonda di pratiche digitali.

Ma la certezza che alimenta la protesta contro questo orientamento è che la funzione docente sia una funzione squisitamente intellettuale, legata per sua definizione alla qualità e non alla quantità, e per sua natura non quantificabile né misurabile da criteri meritocratici.

Con buona pace di quanti credono che “finalmente” anche gli insegnanti fannulloni avranno pane per i loro denti, il panorama che si sta delineando è quello di un settore che si sta irrigidendo su logiche produttive e di mercato più che educative e formative, che gli ultimi governi, e l'attuale in particolare (qui l'articolo), tendono a favorire.

Un settore delicato, quello della scuola, perché articolato su un rapporto che – al contrario di come si tenta di ridurlo - è più umano che amministrativo e quindi difficile da pesare o calcolare . Anche perché, di norma, i risultati di un intervento educativo hanno bisogno di molto tempo per essere osservati e apprezzati.

Per ora, la questione se un docente debba e possa essere misurato, e come e su cosa, rimane quindi sempre aperta.

[Roberto Calogiuri]

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Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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