“L’attesa”: romanzo d’esordio di Pamela Gotti debutta al Teatro di via Ananian.
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Giovedì, 22 Maggio 2014 13:14
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Da delicato ed incisivo romanzo a pièce teatrale, il passo è stato breve per “L’attesa” di Pamela Gotti”, che debutterà, domani venerdì 23 maggio alle ore 21 nella sala S. Pellico di via Ananian a Trieste.
L' attesa di chi, di che cosa? All'apparenza, dentro una istituzione manicomiale atipica, la ritroviamo a poco a poco nei monologhi dove, frutto di una più o meno sottile schizofrenia, dissociazione tipica non soltanto dei malati di mente, emerge la verità profonda, umana, insita in ogni persona: il desiderio più o meno inconscio di..., non accenniamo altro e vi invitiamo ad andare allo spettacolo.
Abbiamo dialogato con Pamela Gotti, autrice del romanzo che insieme a Gianfranco Sodomaco, ne ha curato anche la sceneggiatura e il riadattamento teatrale.
Pamela Gotti nasce a Trieste nel 1978, insegnante elementare e psicologa, con la passione, da sempre, per la scrittura. Fin da piccola ha avuto un grande interesse per la lettura e per le storie, soprattutto quelle più surreali e originali, ha amato tantissimo e letto più volte "Alice nel Paese delle Meraviglie" e molte altre storie. Appena ha imparato a scrivere, si è subito cimentata a inventarne di sue.
Inoltre, le piace osservare le relazioni tra le persone, le diversità dei rispettivi punti di vista e cerco di "camminare nei mocassini altrui" per riuscire a capire le emozioni in profondità. Da questa attitudine, nonché dall’inclinazione professionale, deriva la sua attenzione per i personaggi. E proprio i personaggi e la loro caratterizzazione sono il centro del suo modo di scrivere.
Com'è nata l'idea di scrivere un romanzo come "L'attesa"?
Di recente ho deciso di fare uscire dal cassetto i miei racconti e ho iniziato a partecipare a concorsi letterari di vario genere. Grazie a uno di questi, organizzato da LaPiccolaVolante, una casa editrice sarda che trova i suoi autori proprio tramite laboratori di scrittura online, è nata l'idea de "L'attesa".
Il laboratorio consisteva nello scegliere un personaggio della letteratura, abbastanza noto, e collocarlo in un altro contesto, in un altro tempo, conservando, però, il suo carattere e i suoi aspetti fondamentali.
Io, un po' per caso, ho scelto Penelope. Conosco l'Odissea, mi piace, ma non sono una cultrice di Omero e dei poemi epici.
Semplicemente, mi ha sempre incuriosito la figura di questa donna che aspetta fiduciosa e che tesse di giorno la sua tela per poi scioglierla di notte, aspettando il suo Ulisse che tarda a tornare a Itaca.
L'ho sempre trovata “strana”, eccezionalmente forte e resistente. Un po' come quei monaci tibetani che costruiscono meravigliosi mandala con la sabbia colorata, per poi distruggerli e ricominciarne altri. Una sorta di meditazione che rafforza la volontà tenendo a bada l'Ego.
Eppure potrebbe anche ricordare il disturbo ossessivo compulsivo: un atteggiamento ripetitivo e apparentemente insensato, che serve solo a calmare l'ansia della vita, per evitare, in effetti, di vivere davvero.
Così ho voluto unire i due aspetti: la follia e la saggezza che stanno dietro ad un'attesa senza fine.
E quindi, cosa ti ha spinto a scrivere un romanzo che parli di un tema sempre attuale come la malattia mentale, non casuale per Trieste.
La mia Penelope aspetta il suo Lui in manicomio, ma non in uno di quei manicomi prebasagliani. Non volevo costruire una storia strappalacrime per poter poi dire alla fine “Che bello, meno male che i manicomi non esistono più”.
Non volevo nemmeno parlare della follia in senso stretto, come in un manuale di psichiatria. Volevo invece raccontare di come la diversità continua a non essere gradita.
Cambiano i mezzi e gli strumenti e a volte anche le definizioni, ma sempre con lo stesso scopo di tenerla lontana della “società dei sani”. Di fatto si continua a condannarla o a tenerla a distanza. Forse perchè può creare emulazione o forse perchè fa paura.
Così i “matti” della mia storia sono persone qualsiasi, estratte da situazioni qualsiasi, che però presentano dei punti di vista diversi da quelli della maggior parte degli altri.
Trieste è sempre stata in prima linea rispetto a questo tema. La riforma Basaglia è nata qui e tutti noi triestini siamo permeati dalla cultura della diversità. E questo a mio parere è una grande ricchezza, anche per la città stessa.
Penelope, Lola, Martina o Eligio personaggi del romanzo e dello spettacolo, caratterizzati da cariche emotive portano avanti una storia nella storia... accade anche nello spettacolo. Subisce delle variazioni rispetto al testo originale vuoi farcene cenno, anche se la rielaborazione è avvenuta a quattro mani?
Lo spettacolo, ovviamente, è più lineare del libro, per esigenze di "copione". I personaggi, però, mantengono le proprie peculiarità e abbiamo fatto il possibile per conservarne l' "anima". Ci sono le storie, sullo sfondo. I personaggi del romanzo riescono a trovare unvia di uscita dalla reclusione attraverso le storie, all''intreccio delle trame, come in arazzo o in una grande tela da fare e disfare. Penelope e gli altri, ognuno a suo modo, compiono un percorso per uscire dalla propria prigione che sostanzialmente non è altro che la propria stessa mente.
Proprio grazie al racconto di se stessi riescono ad uscire dal proprio schema e incontrare, anche se solo fugacemente l'Altro. Sia nel libro, sia nella riduzione teatrale tutto ciò rimane il nucleo pulsante su cui ruota tutta la narrazione.
Certamente il testo teatrale ha subito alcune modifiche legate anche alla diversa visione che ne ha un lettore, come è stato Gianfranco Sodomaco, che ha curato insieme a me la sceneggiatura e poi anche la regia. Entrambi abbiamo voluto assolutamente mantenere il clima di "leggera drammaticità" che caratterizza il racconto. Abbiamo voluto conservare il grottesco e il surreale dell'ambientazione, senza cadere nella "macchietta", ma nemmeno nello scontato e già visto "melodramma". E, soprattutto, abbiamo voluto dare una seconda chance ai personaggi, la possibilità di evolvere nel corso della narrazione.
Quale messaggio vorresti si cogliesse nello spettacolo?
Vorrei che gli spettatori uscissero da teatro con la sensazione di avere ridotto la distanza tra se stessi e tutto quello che è diverso e che magari ha sempre fatto loro paura. Mi piacerebbe che questo tema possa essere visto con una leggerezza, mai canzonatoria, ma volta alla comprensione empatica.
Per chi volesse acquistare il libro, è possibile ordinarlo al seguentelink: http://www.lapiccolavolante.net/product.php?id_product=19 oppure richiederlo direttamente all'autrice alla seguente mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.