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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Zhang Yuan: il volto umano del pianeta Cina

Zhang Yuan: il volto umano del pianeta Cina

Al  primo giorno della sua personale, a Pechino si sono presentati in diecimila visitatori.

“Beijing Flickers” la mostra di fotografie del regista Zhang Yuan, tra i più importanti cineasti del cinema cinese, in Galleria Tina Modotti a Udine, è un’anteprima europea regalata da Far East film Festival al suo pubblico. Racconta, con un centinaio di foto, i desideri inespressi di una metropoli e nasce come parte di un percorso artistico spiegato, dallo stesso regista, nato a Nanjing nel 1963, nel corso di un’intervista che apre la finestra su un mondo che non è poi così enigmatico e ci somiglia per le contraddizioni con la quali deve fare i conti, ogni giorno.                    

“La Cina delle Olimpiadi, il colosso economico che detta le regole del mercato e corre alla velocità di un gigante  è fatta di persone, spiega Yuan, ognuno con una storia e un desiderio da realizzare. La generazione a cui appartengono i volti che ho ritratto non corre veloce quanto il “mercato” e per non perdersi pezzi per strada, pezzi di storie, era necessario rallentare, scattare, intervistare e poi scrivere una sceneggiatura che in un film ne assemblasse i pezzi”. 

Cerca l’unicum, Yuan e se i suoi scatti d’autore  ci premettono di conoscere più da vicino i giovani outsider di Pechino (Beijing Flickers) è anche vero che storie così le potremmo trovare in tutte le grandi metropoli: Pechino New York, Los Angeles, Londra, Roma. “Ogni comunità, persino quella asiatica che fa un miliardo di persone ha dentro di sé una "sotto comunità" di giovani pieni di  speranze, sogni e fragilità. Quando un Paese, come la Cina si sviluppa velocemente, sono i giovani,  quelli che restano indietro, spiega il regista.

Artisti, assistenti sociali, operai, studenti e disoccupati. Lo sfondo è quello di una città presa d’inverno, nella dimensione che, spiega Yuan “amo di più, il bianco e nero”, quello che maggiormente si carica di contrasti." Per realizzare gli scatti ha utilizzato il metodo del “cast calling” tramite Twitter raggruppando più di duecento giovani. "Dopo gli scatti ho desiderato ascoltare i ragazzi ritratti, ho realizzato alcune videointerviste e infine il film.”E aggiunge: la tecnologia ha grande peso e la nuova generazione di cineasti asiatici gode, rispetto alla mia delle grandi possibilità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione”.

La macchina fotografica poi scherma, protegge e permette la distanza. “Si, conferma il regista per questo chi ha visto la mostra a Pechino era in difficoltà, sembrava non riuscisse a riconoscere immediatamente la realtà che avevo ritratto quasi che io avessi spinto oltre lo sguardo e prefigurato un dolore e uno smarrimento di una generazione prossima a venire. Invece è questa”.

La sua presenza a Far East, dopo Berlino, Cannes, Venezia, chiediamo che differenze porta con sé? “Il Far East è fatto da chi ama il cinema e quindi l’occhio che sovraintende è quello di chi  si mette accanto al regista. I grandi festival internazionali sono inevitabilmente, ma è giusto che sia così, orientati al mercato. Quello che posso dire è che il mondo si  rimpicciolisce se a parlare sono i sentimenti e i desideri delle persone. Quando le questioni sono culturali e politiche allora si che il mondo con le sue differenze sembra immenso. Con le foto ho voluto fermare, mettere la mia attenzione sugli individui e le loro storie. Il cinema corre, la Cina corre, la foto ferma un pensiero e costringe  ad immaginare un paese e la gente che ci vive.”

 

Fabiana Dallavalle













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