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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

La "Cappella Sistina friulana" riapre per i 450 anni dalla morte di Pellegrino da San Daniele

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San Daniele del Friuli (Ud) – L'arte in Italia è un qualcosa di intrinseco nella sua storia, tantoché non esiste periodo che non abbia una propria corrente con i relativi maestri: dai mosaici dell'Antica Roma allo sfarzo del Barocco con il Bernini, dal Rinascimento con Michelangelo fino al Risorgimento con Hayez. È un legame che non esiste in nessun altra parte del mondo e ogni regione conserva un proprio frammento di questa tradizione.

Anche in questo remoto Friuli, così lontano dalle grandi città dove nei secoli scorsi fiorì la bellezza ancora oggi tanto invidiata da tutti, ma anch'esso custode di opere uniche. Ne è testimone il capoluogo collinare, nonché antica crocevia di commerci tra il Nord Europa e il resto d'Italia, che subì anch'esso l'influsso del Patriarcato di Aquileia dal Medioevo fino all'arrivo della Serenissima: i risultati furono l'emergere di nomi destinati a essere ricordati secoli dopo.

Fra tutti, Pellegrino da San Daniele che, nonostante il nome, non nacque né visse da quelle parti: la sua vita, tra il 1467 e il 1547, si svolse infatti tra Udine (sua città natale, tanto che il nome originale era Martino da Udine) e le corti italiane che lo chiamarono al loro servizio. Su tutte, quella estense di Ferrara, dove il pittore decorerà il Carnevale locale con “La Cassaria” dell'Ariosto, lavori oggi considerati come primi esempi di scenografie prospettiche.

La perplessità rimane: perché questo artista, simbolo dell'Umanesimo friulano, è legato a san Daniele? Perché proprio qui è conservata la più importante testimonianza della sua arte, come si legge all'interno della Chiesa di Sant'Antonio Abate, appositamente riaperta al pubblico per i 450 anni della sua morte con alcuni affreschi del Pellegrino restaurati già da qualche anno. Un lavoro maestoso che andò dal 1497 al 1522, tanto che sarà proprio questo a conferirgli la fama che ebbe in vita.

L'edificio è ben più antico, tanto che risale già al 1308, ma a metà del XIV un terremoto lo rovinò così tanto che lo stesso Patriarca dell'epoca ne propose la demolizione. I frati che ne avevano custodia, insieme all'ospedale da lì poco distante che soccorreva i viandanti e i poveri della zona, optarono però per il suo restauro, con successivi lavori di ampliamento. Ma sarà con l'intervento del Pellegrino che questa chiesa diverrà la “Cappella Sistina del Friuli”, da tanto stupenda divenne.

E in effetti basta fare pochi passi per rimanere a bocca aperta difronte all'incredibile spettacolo di colori e figure che riempiono il presbiterio e parte delle pareti lì accanto. Il deterioramento del tempo è evidente, purtroppo nemmeno il più fine curatore potrebbe restaurare ogni singolo affresco, ma quel poco che ancora esiste lascia praterie di immaginazione su cosa si potesse ammirare all'epoca.

E si capisce bene l'influenza che ebbero artisti come Andrea Mantegna e Giovanni Bellini sull'udinese, come testimonia il San Sebastiano affrescato e già capolavoro del primo nel 1481. Le emozioni scolpite nei volti richiamano invece il secondo, che tra il 1460-65 dipinse “La pietà”, forse la sua opera più celebre ed emblematica per l'uso della luce, del paesaggio (si nota anche un certo richiamo a Giotto) e del pathos.

Osservare la finezza di quei dipinti è un'esperienza che riempie gli occhi, mescola l'anima come un vortice silenzioso che traspira dal colore. Non sono solo i “soliti santi”, né gli schizzi di qualche pittore di provincia, ma una pagina di Storia che diventa l'ingresso per qualcosa di più di un ciclo di affreschi. Destinata a durare altri 450 anni.

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

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