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Tragedia del Vajont: al raduno della Protezione Civile le scuse dello Stato
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- Categoria: Politica e società
- Pubblicato Lunedì, 16 Settembre 2013 17:50
- Scritto da Redazione Ilfriuliveneziagiulia
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Roma - Le scuse dello Stato, per la prima volta dopo 50 anni, per le responsabilità dell'"inumana tragedia" del Vajont, come l'ha definita Franco Gabrielli: 1910 vittime.
Scuse presentate dallo stesso Capo del Dipartimento di Protezione Civile e dal ministro dell'ambiente, Andrea Orlando, e subito raccolte dai governatori del Veneto, Luca Zaia, e del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che hanno chiesto di essere ripagati con maggiori risorse a disposizione della sicurezza del territorio.
È accaduto sabato 14 settembre al raduno nazionale dei soccorritori con cui è iniziata, ai piedi della diga, la "memoria" dell'immane tragedia di 50 anni fa, quando la sera del 9 ottobre 1963 cadde nel bacino la sponda del monte Toc.
Mentre Longarone e gli altri comuni coinvolti - Erto Casso, Castellavazzo e Vajont - attendono per la commemorazione il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, invitato dai sindaci, ed il presidente del Consiglio, Enrico Letta, nel fine settimana ci sono stati tre giorni in cui il popolo del Vajont ha accolto e ringraziato i volontari dell'epoca (furono 10 mila, tra vigili del fuoco, alpini, ed altri ancora) e quelli di oggi.
"In questi giorni, qui sul Vajont, ho ascoltato i ricordi, le sensazioni e ho percepito come questa tragedia sia una ferita ancora molto aperta, come vi sia ancora una rabbia sorda - ha detto Gabrielli, nel corso della cerimonia conclusiva -. C'è un lutto che non è stato ancora elaborato perché non si è avuta forse la forza, la possibilità o forse meglio nessuno ha aiutato queste persone ad elaborarlo correttamente". "E c'è una tensione che è palpabile, che si coglie nell'aria dell'esigenza che sia arrivato il momento che si chieda scusa".
"Chiedo scusa - ha aggiunto - di silenzi colpevoli, prima; scusa di mancanze e di ritardi, dopo. Oggi, nel mio piccolo, umilmente, come rappresentante di quel pezzo di Stato che ha la missione di salvaguardare le persone vi chiedo scusa".
Lacrime sui volti di numerosi superstiti e soccorritori della prim'ora. Commozione nell'aula del grande palasport. "Questo è un atto di pacificazione" ha riconosciuto il sindaco Roberto Padrin.
"La nostra comunità ha bisogno di scuse, ma anche di guardare avanti. Sì, bisogna chiedere scusa", ha riconosciuto il ministro Andrea Orlando. Dopo aver osservato che Longarone ed il Vajont "dovrebbero essere le tappe fondamentali per un pellegrinaggio di costruzione della memoria e di religione civile", Orlando ha aggiunto che lo Stato non ha fatto tutto quello che doveva e poteva fare per riparare le sue responsabilità.
"Per questo - ha detto - credo che un rappresentante delle istituzioni come me, per la continuità che c'è nelle responsabilità, deve venire qui con un carico di umiltà e deferenza. Ci sono momenti nella vita di una Nazione in cui lo Stato e chi lo rappresenta hanno il dovere di assumersi la più difficile delle responsabilità, chiedere scusa ai cittadini".
Il ministro ha aggiunto che lo Stato deve farlo per il presente e "per ogni volta che abbandona una persona". Per tutte le volte - ha precisato l'esponente di Governo - "che non sa dire "ci sono" di fronte ad un pericolo. E per quando ha permesso che gli anni aggiungessero l'oblio o il tavisamento della verità. Poi ci sono tutte le disattenzioni del dopo, per le parole non dette o sbagliate. Non ci sono solo gli errori di 50 anni fa ma le parole sbagliate che si è continuato a pronunciare".
Immaginando le possibili obiezioni, il ministro ha così proseguito: "Si dice che mancano le risorse ma le risorse su questo argomento mancano sempre. La mancanza di prevenzione, però, è un modo di accumulare debito futuro e questo comporta costi incalcolabili. Non è perciò una battaglia di ecologismo idelogico".
Oggi possiamo vantare una maggiore padronanza della tecnica, ma - è stato l'invito del ministro - "non dobbiamo mai abbassare la guardia e a tenere alta la guardia sono sempre le popolazioni locali".
"Le resistenze delle popolazioni e dei comitati non si possono sempre liquidare come localismi dei no, ci sono esperienze di chi vive nei luoghi che meritano altrettanto rispetto delle perizie tecniche. Le famiglie del Vajont si opposero e denunciarono per tempo ciò che già si sapeva e si poteva evitare - ha concluso -. Lasciare spazio alle voci di chi risiede nei luoghi sui quali insistono progetti di grandi opere, non è opposizione alle opere ma investimento sulla partecipazione".