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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Politica

PD: la via alla segreteria passa per Trieste? Intervista a Gianni Cuperlo.

PD: la via alla segreteria passa per Trieste? Intervista a Gianni Cuperlo.

Trieste – Gianni Cuperlo, triestino, 52 anni, sposato, una figlia, deputato del PD ha un curriculum politico ordinato e intrecciato alla propria formazione culturale: al liceo si iscrive alla FGCI. Si laurea al Dams di Bologna con una tesi sulla comunicazione di massa.

Eletto segretario nazionale della FGCI, l’accompagna nella trasformazione in Sinistra Giovanile. Dalla guida di quest’ultima passa alla direzione del PDS e quindi dei DS. Collabora con Massimo D’Alema ai tempi della bicamerale. Dal 2001 è il responsabile della comunicazione del partito. Per un triennio ha insegnato Teoria e tecnica della comunicazione pubblica e Comunicazione politica all'Università di Teramo.

Ha collaborato alla stesura di alcuni libri di Massimo D’Alema e ha scritto “Par condicio. Storia e futuro della politica in televisione” (Donzelli, 2004) e "Basta zercar. Sinistra, traslochi, Partito Democratico" (Fazi, 2009). È presidente del Centro Studi del PD e membro della I Commissione, Affari Costituzionali.

Dai modi pacati ma fermi, Cuperlo considera Joe. R. Lansdale un genio e il più grande scrittore contemporaneo. Se costui può essere considerato un suo avatar, sarà sufficiente conoscerlo per scoprire qualcosa di più sulla sua personalità.

Oppure scorrere le risposte che, con disponibilità e pazienza, ha dato alla nostra troppo lunga serie di domande in occasione della sua candidatura alla segreteria del PD.

Onorevole Cuperlo, lei conferma la candidatura alla segreteria del PD? Sì anche se è una di quelle prove che si affronta consapevoli degli ostacoli e di una logica che il buon senso spinge a ritenere superiore alle capacità che si hanno. Ma davanti alle difficoltà di questi mesi, forse è giusto che ciascuno provi a dare una mano, per come sa e come può.

Qualcuno, a Trieste, la ricorda appena uscito dall’esame di maturità, sorridente nei panni del netturbino. Cosa ha significato quell’esperienza per il futuro deputato e accademico?Ma questa è la domanda più bella! Mi ritengo fortunato ad aver fatto dopo il liceo mille lavoretti diversi. Non era ancora la stagione durissima della precarietà a vita, era un modo per aiutarmi negli studi e per avere qualche soldo in tasca. Per due mesi ho fatto il netturbino a Trieste, bidone, pala e ramazza. Mi occupava la mattina e il pomeriggio andavo a studiare alla biblioteca civica o a quella slovena di Via San Francesco. Non mi veniva in mente da anni, ma dopo una certa età tutto quello che si è fatto da ragazzi mette allegria.

… e da adulto, invece, la segreteria del PD. Cosa l’ha spinta a prendere questa decisione?La fotografia di ciò che abbiamo alle spalle e la fiducia verso ciò che potremmo avere davanti a noi. La sconfitta nel voto di febbraio è stata uno shock, poi sono venute le giornate drammatiche del voto in parlamento su Marini e Prodi con le dimissioni di Bersani. Da lì la nascita di un governo che sta facendo ciò che può in una condizione di emergenza economica e sociale senza precedenti. Davanti a noi, invece, c’è la necessità di ricollocare il Pd nella società italiana restituendo al progetto la sua carica innovativa e di speranza. Per me si deve partire da qui.

Osservando il suo curriculum, emerge una domanda: lei si sente un uomo politico prestato alla cultura o un uomo di cultura prestato alla politica? Spero di essere diventato col tempo un buon funzionario di partito e un parlamentare serio. Fosse vero, sarei già molto soddisfatto.

 

 A proposito di serietà: i modi della politica ci hanno abituati a leader spettacolari. Come dev’essere il profilo pubblico del prossimo segretario del PD? Intanto sarebbe bene che chiunque fosse chiamato a quel compito, vi si dedicasse senza altri obiettivi. Lo dico così: mi piacerebbe che ci lasciassimo alle spalle la stagione in cui la direzione del Pd è stata considerata il trampolino verso qualche altro incarico ritenuto più autorevole. E’ uno schema che non funziona. Dirigere il partito non può essere il pedaggio che si paga per diventare sindaco, parlamentare o ministro. Dobbiamo restituire al partito la funzione che gli spetta, e che non può finire schiacciata sulle istituzioni. Allora, per rispondere, il profilo di un segretario credo dovrebbe rispondere a una domanda di rinnovamento radicale della forma partito, del suo linguaggio, dei canali della partecipazione e della decisione. A me pare una bella avventura, persino appassionante.

 … e cosa dovrà fare per recuperare alla politica quella sacca di astensionisti che rischia di essere consegnata all’indifferenza se non – direbbe Grillo – all’insurrezione? L’astensione non arriva dal cielo ma è la conseguenza di un potere impotente – e questo è il caso della politica – oppure opaco, ed è il caso di una finanza speculativa che ha finito col cancellare le ragioni degli ultimi. C’è poco da fare, se per anni a milioni di persone senza reddito o con risorse vitali insufficienti, la politica ripete solamente “ti pagherò domani” ma quel domani non arriva mai, allora il minimo che puoi attenderti è una esplosione di rabbia, disperazione e, appunto, l’astensione dalle urne. La vera partita è qui, nella capacità di restituire un senso alla rappresentanza. Se esco di casa e vado a votare, devo sapere che quel mio voto conterà e servirà a far vincere un punto di vista, una visione, una politica.

E poi c’è la “rivolta” della base che dev’essere placata. Come? Non so se si debba parlare di una rivolta. Certo c’è un “popolo democratico” profondamente deluso per le vicende di questi mesi. Parlo di gente che la politica la vive con passione, che sopporta anche le sconfitte, ma non la sensazione che chi dirige la carovana smarrisca il senso della missione. Ecco, la questione non è “placare” la rivolta della base ma riconquistare la fiducia dei nostri elettori. Il che, per inciso, è assai più impegnativo.

Le ultime amministrative sono state una vittoria elettorale o un insuccesso istituzionale? Se stiamo alle cifre, è stata una vittoria clamorosa. Il centrosinistra ha prevalso praticamente dappertutto e riconquistato il Campidoglio dopo gli anni oscuri di Alemanno. Dal Nord alla Sicilia, il centrodestra ha ceduto voti, amministrazioni e ha subito una specie di cappotto. Ma lo ripeto, un’astensione elevata ben oltre la soglia fisiologica è un’ipoteca sul sistema democratico e ce ne dobbiamo far carico.

Nel PD si contano 18 correnti. Il suo partito paga lo scotto di un alveo così grande? Direi che a causa di questo rischia di implodere. Sa però qual è il vero dramma? Non tanto nel numero delle correnti, che pure dovrebbe far riflette, ma nel fatto che nessuno saprebbe davvero spiegare a quali ispirazioni ideali e culturali si rifanno. La realtà è che molto spesso quelle aree e componenti non nascono su impulso di idee che vogliono affermarsi, ma di potentati locali e nazionali che scelgono di autoriprodursi. E questo colpisce a morte la logica del merito perché finisce col premiare la fedeltà, che è una cosa diversa dal merito e molto meno convincente. Mi auguro che sapremo rivoltare il modo di essere e di discutere del Pd prima che sia troppo tardi. Ma su questo ho fiducia.

Ma in definitiva, avere tante anime è una forza o una debolezza e perché? Come dicevo, è il pluralismo a rappresentare una forza, soprattutto nella vita interna di un partito. Prenda gli altri attori del sistema politico, a cominciare dalla destra. Non c’è dibattito, non si tengono congressi. Si conosce il Capo e finché c’è lui nessuno osa esprimere una posizione diversa. Vale per Berlusconi ancora oggi, come ieri per Fini o Di Pietro. Ma un partito non è la sua leadership, questa è una visione parziale e riduttiva. Un partito è la sua cultura politica, è la sua funzione storica, è la sua classe dirigente. In questo senso il Pd deve rinnovare molto di sé, ma almeno parliamo di una forza viva, aperta, dinamica.

Gli italiani avvertono il bisogno di un rinnovamento etico della classe politica. Da dove comincerà se sarà lei il segretario del PD? Dalle cose che ho cercato di accennare. Noi dobbiamo restituire all’impegno politico un carattere di sobrietà e generosità che nel tempo si è attenuato talvolta sino a scomparire. Dobbiamo anche fare dell’etica pubblica e della coerenza dei comportamenti una chiave decisiva di rivalutazione morale dei partiti. Forse questa è la prova più impegnativa ma da qui comunque bisognerà passare. E, infine – ma anche questo lo accennavo – è giusto ridare al partito margini di autonomia rispetto alle istituzioni perché identificare le due sfere ha prodotto dei guasti, anche sotto il profilo della moralità.

Da quali correnti del partito si aspetta un appoggio? Nessuna. La speranza è nel consenso libero delle persone.

Quali sono le priorità da discutere al congresso? Se davvero la crisi esplosa nel 2008 è lo spartiacque tra due cicli della storia e quello che si chiude è il lungo ciclo della destra, allora la priorità è capire se noi siamo in grado di indicare i pilastri di una nuova stagione della liberazione umana in relazione alla scienza, all’economia, alla politica. Se siamo capaci di indicare un’altra idea di democrazia e una centralità della persona nell’espressione della sua autonomia, dei suoi diritti e della sua responsabilità.

E quale sarà la linea che lei porterà avanti rispetto al governo e alla crisi? La crisi ci ha fatto più male perché ha colpito un sistema-paese ancora prigioniero di patologie antiche. Un debito pubblico dilatato, uno Stato che non abbiamo saputo rifondare nelle sue procedure, un sistema imprenditoriale sottoposto a una fiscalità eccessiva e non aiutato a innovarsi per competere sul mercato globale. E poi i tempi della giustizia civile, il deficit in formazione e ricerca, un ritardo culturale sul fronte della cittadinanza e dei diritti civili. Mi fermo, ma l’elenco è lungo. La crisi deve rappresentare per noi, in una logica che riguarda l’insieme dell’Europa, la leva per aggredire questi ritardi, ma questo non potrà farlo, se non parzialmente, un governo di larghe intese. Questo sarà il compito di un nuovo centrosinistra.

Ma che differenza passa tra un “inciucio” e una “larga intesa”? La trasparenza della scelta che si compie e il coraggio di spiegarla al tuo mondo.

Eppure l’accordo con Berlusconi – senza considerare la sua recente condanna - è stato un boccone duro da mandar giù… Abbiamo fatto una cosa che ci eravamo impegnati a non fare. E’ accaduto per i motivi che tutti sanno e in una condizione di gravità inaudita ma tante persone faticano a farsene una ragione. Vanno capiti.

Se fosse stato Bersani, l’avrebbe fatto? Era veramente l’unica via praticabile o avrebbe tentato qualcos’altro? Bersani ha tentato un’altra via e Grillo lo ha impedito. Poi Bersani ha sostenuto con convinzione le scelte che abbiamo fatto, a cominciare dal governo Letta.

A proposito: un pregio dell’attuale governo? La fede europeista e la capacità del presidente del Consiglio.

E un difetto? Le continue minacce da parte della destra.

Se dovesse riassumere in una formula il suo programma politico? Osare più democrazia e ripartire dagli ultimi. Combinare uguaglianza, talento e giustizia sociale. Pensarsi fino in fondo cittadini d’Europa. Guardare al Mediterraneo e aprirci al mondo. Investire nel sapere, in ogni modo, con ogni mezzo e in ogni contrada.

Primarie aperte o chiuse? Spero primarie aperte, perché solo una partecipazione larga potrà riconnettere, anche sul piano sentimentale, questo nostro partito al popolo che lo ha voluto e votato.

Premier e segretario: stesso soggetto oppure no? Non ne faccio una questione di regole o di statuto. Ma di volontà politica soggettiva. Nel mio caso, mi candido a guidare il Pd per una fase. Non mi candido a null’altro che a questo.

Come vede un accordo con SEL e/o M5S adesso che il movimento di Grillo acquista lineamenti variegati e posizioni più morbide? Ho grande rispetto per quel movimento e per il consenso che ha raccolto. Penso abbiano sciupato un’occasione storica e che sia stato un errore congelare i loro voti. Mi auguro che si possa arrivare a un accordo rapido sulla riforma della legge elettorale e che da lì possa nascere un dialogo sereno e civile anche su altro. Ma dico anche che non saremo noi a far mancare il sostegno a Letta in uno dei passaggi più drammatici.

Nel 2012 è stato celebrato il centenario del suo liceo classico di Trieste, il “Petrarca”. Lì si è iniziata la sua carriera politica. Una domanda obbligatoria: che ricordi ha di quella scuola? Un ricordo bellissimo. Io ero uno studente dal rendimento mediocre e se non lo riconoscessi mentirei. Poi feci una buona maturità e la cosa mi gratificò non poco. Al centenario volevo venire ma non mi è stato proprio possibile. Però ho recuperato l’album fotografico. I ricordi sono tanti, alcuni intensi. Sono volti, amicizie, persone che sento ancora adesso. Era una scuola accogliente anche nelle dimensioni, credo fossimo all’epoca meno di 400 in tutto. Una specie di comunità. Ecco. Basta, ché mi commuovo…

Quanto le è stata utile quell’impostazione culturale? Quella formazione ti guida verso un ordine mentale, una cura della disciplina, che ripeto all’epoca io non avevo granché sviluppata. Una curiosità verso culture differenti. Almeno per me è stato così, anche se il vero balzo di qualità l’ho vissuto con alcuni dei miei docenti all’università e primo tra tutti Mauro Wolf.

[Roberto Calogiuri]

 

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