Spettacolare interpretazione della Cuscunà in “Sorry boys” in scena al Miela
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Giovedì, 14 Aprile 2016 20:22
- Scritto da Sara Galiza
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Trieste - Ieri sera, mercoledì 13 aprile alle ore 21, è andato in scena al Teatro Miela lo spettacolo teatrale “Sorry boys” primo degli appuntamenti previsti per la rassegna “Resistenze Femminili, che vedrà l'avvicendarsi di altri tre appuntamenti durante il mese di aprile.
Quella di ieri sera era una delle sole due date previste in Italia per la nuova immaginifica produzione uscita dalla filiera di Centrale FIES, uno tra gli organi, in ambito teatrale, più notabili presenti sul territorio nazionale.
Lo spettacolo è l'ultima fatica teatrale e artistica della giovane attrice Marta Coscunà, uno dei nomi più in vista della scena teatrale italiana, e si può, sinceramente, dire che lo sia di diritto. In questo lavoro dà voce a dodici diversi personaggi, non la si vede comparire mai: soltanto i suoi piedi, che spuntano da sotto la complessa struttura scenografica archittetata per questo lavoro, ci raccontano la sua presenza, eppure tanto basta a farne percepire l'eccezionale bravura e precisione. Senza mai esitare, con una sicurezza da attrice consumata porta in scena una vicenda spiazzante e coinvolgente attraverso la sua voce, prestata alle emozioni di tutti i personaggi che partecipano alla vicenda.
La narrazione prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto, o meglio due fatti, che per lei sono stati fonte di ispirazione per parlare di società e delle leggi che la regolano, quelle scritte, ma forse soprattutto quelle che non si possono trovare stampate da nessuna parte, che però finiscono per influenzare le vite di tutti tanto profondamente da renderle ineluttabili, anche più delle prime.
La storia è una di quelle definite “storia disturbante”, almeno per la morale: nel 2008 nella piccola cittadina di Gloucester, in Massachusset, 18 ragazze tra i 15 e I 16 anni rimangano incinte contemporaneamente. Si grida subito allo scandalo, si parla di patto di maternità, e la storia fa presto il giro del mondo. Gloucester è tristemente nota anche per un livello di violenza sulle donne così elevato da renderlo smisurato. 500 uomini si ribellano a questa condizione, sfilando per le vie della città, per sensibilizzarla.
La vicenda, intuiamo, è ambientata nei corridoi della scuola superiore, anche se Marta sceglie di non nominare l'America, nè il nome della cittadina. Ciò che interessa a Marta è dipingere un paesaggio e poter esporre una sua tesi, nata dal lavoro fatto in team durante numerose settimane di residenza proprio presso Centrale FIES, che lei stessa definisce la propria casa teatrale. L'intellgenza e la peculiarità di “Sorry, boys” sta nell'aggirare la vicenda, utilizzandola per portare in scena i dissidi dei suoi protagonisti, lasciando le 18 ragazze mute, loro trovano voce soltanto attraverso gruppi chat e app repulsive sul tema della gravidanza. A parlare, per urgente necessità, sono gli altri, gli esclusi (proprio dalle stesse ragazze): preside, infermiera della scuola, genitori smarriti, ma soprattutto i boys, padri adolescenti che vengono volantariamente esclusi e reclusi in un ruolo di impotenza.
“Sorry, boys” compie uno studio antropologico dalle radci teatrali, su quale sia il contesto sociale adulto, in cui un progetto virale di maternità adolescienziale possa aver avuto origine e abbia potuto aderire. Marta si domanda, e noi con lei alla fine dello spettacolo e anche dopo, chi fossero i giovani padri, e di quali padri a loro volta essi siano i figli.
Perchè se un gruppo di ragazzine (bambine che partoriscono bambini come sono state definite dalla stampa americana) non troppo piccolo da non essere notato nè troppo grande da promuovere un cambiamento significativo nella società che ha originato un simile evento, è riuscito a mettere in discussione le basi di quella società della quale rifiutano l'appartenenza, allora siamo chiamati tutti a domandarci che tipo di società sia questa.
Che tipo di società sia una società che non si preoccupa della felicità e del benessere degli individui che la compongono, siano essi donne o uomini.
Marta con una presenza da orologio svizzero, mette in scena senza mettersi in mostra un caleidoscopico spaccato di realtà, non così vicino a noi, ma forse neppure così lontano. Le cinque chiamate del pubblico alla fine dello spettacolo, dimostra quanto lei ci abbia avvicinati, e quanto tutti noi ci siamo sentiti vicini a lei.
Il prossimo appuntamento della rassegna ci porta nei Balcani, teatro di guerre troppo spesso e mosse agli umani; con un film dal titolo “La sottile linea” domenica 17 aprile alle ore 20.