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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

"Figli di un dio minore", viaggio intimo in due universi separati e intrecciati al tempo stesso

Gorizia – Silenzio e rumore sono le facce della stessa medaglia: convivono insieme da sempre, ma da altrettanto tempo non si sono mai mischiate. James Leeds e Sarah sono così, due esseri umani che si incontrano nella cornice di un istituto per audiolesi: lui è il nuovo logopedista, animato dall'aspirazione di aiutare chi non riesce a parlare normalmente; lei è un'allieva che vive ormai da anni nella scuola, sorda fin dalla nascita.

Sono loro due, incarnati ieri sera sul palco del Teatro Verdi da Giorgio Lupano e Rita Mazza, i protagonisti della struggente pièce “Figli di un dio minore”, scritta da Mark Medoff nel 1978 e poi diventato il film di Randa Haines, e diretta da Marco Mattolini. Non un dramma sentimentale come altri, ma una storia che mette in contatto due universi, quello di chi sente e quello di chi si esprime con i segni, che va oltre i limiti della narrazione per diventare pensiero ed emozione nello spettatore.

Quando James inizia ad insegnare nella scuola, capisce supito che che con Sarah sarà da faticare: a 26 vive ancora lì dentro, facendo la donna delle pulizie, mentre un docente dopo l'altro gettano la spugna con lei nel tentativo di insegnarle a parlare. Il suo rifiuto verso i suoni si scontra con la perseveranza dell'uomo, che lentamente tenta di avvicinarla, andando a monte dei problemi che le impediscono di esprimersi come la maggior parte delle persone. Per lei, però, la barriera del linguaggio con il resto del mondo non è un problema, trascorrendo i propri giorni all'interno delle mura scolastiche.

I due iniziano a conoscersi sempre di più, fino a quando l'attrazione tra loro riuscirà a scavalcare ogni diffidenza, ogni remore al cedere a qualcosa di diverso: James e Sarah si sposeranno, rimanendo a vivere all'interno dell'istituto. Ma le divergenze tra loro, simboli loro malgrado di due modi opposti di vivere il mondo che li circonda, li porterà su binari che spesso cozzano tra di loro, allontanando e scontrando le proprie orbite come animati da un bisogno profondo uno dell'altro.

Ma la loro storia è molto di più: per ogni scheletro nell'armadio che viene svelato, un ostacolo si sovrappone alla loro vita di coppia. Gli sforzi di lui a insegnarle a parlare fanno spazio all'ostinazione perpetua di lei a essere sé stessa, così com'è nata senza voler nessun cambiamento: è un rapporto destinato a perdersi nel profondo del mare, dove regna il più assoluto dei silenzi ma, al tempo stesso, i suoni viaggiano velocissimi come vibrazioni all'interno di chi vi si trova immerso.

Con un cast che ha saputo incantare con suoni e lingua dei segni, attraverso così un teatro molto fisico nell'incisività della parola trasmessa non solo a voce, il testo di Medoff ha fatto emergere molte tematiche che dominano la vita di tutti noi: il problema dell'incomunicabilità, il dilemma se il nostro modo di interagire sia o meno il più giusto, l'irreferenabilità delle emozioni che corrovono più veloci del linguaggio o dei segni tracciati con le dita.

È interessante sottolineare anche il sottile filo rosso con il divino, che corre per tutto lo spettacolo: i “figli di un dio minore” sono figli di due donne entrambe molto religiose, troppo deboli forse per affrontare il dono che il Signore le ha dato loro. E che sono intrappolate in fragili campane di vetro, dentro cui il silenzio rimbomba assordante, quasi quanto la solitudine che pervade chi può parlare in un mondo di sordi: in tutto ciò, a dare speranza è l'amore. Più grande di quel dio che tentiamo di compredere, senza ascoltarne però le parole.

Chi siamo

Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

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