Dopo l'emozionante concerto a Redipuglia, il Requiem di Verdi anche a Lubiana. Storia e foto
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- Categoria: Musica
- Pubblicato Mercoledì, 09 Luglio 2014 11:15
- Scritto da Marzio Serbo
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Lubiana - È risaputo che la Messa da Requiem di Verdi sia più che una composizione di musica sacra, una fiera sorella delle opere teatrali del grande compositore italiano. Del testo che la liturgia cristiana tramanda dal medioevo, nulla rimane, se non la sua anima, scarnificata e traslata lungo le iperboli ideali di uno spartito scritto con tutt’altri intenti che quello di rispettare i codici della celebrazione esequiale.
L’impatto drammatico e la veemenza tragico-lirica della partitura non potevano lasciare dubbi sulla scelta operata da Riccardo Muti per il suo tradizionale appuntamento con i concerti da lui ideati quali “Le vie dell'amicizia”.
Così in centinaia di migliaia di persone, attraverso il canale televisivo, hanno potuto sedersi con la fantasia nella grande platea ricavata per l’occasione accanto al sacrario di Redipuglia la scorsa domenica 6 luglio. Il concerto intitolato “Requiem per le vittime di tutte le guerre” e dedicato in speciale modo alla memoria del centenario di inizio della Grande Guerra, è nato da una coproduzione del Ravenna Festival, quello di cui il maestro Muti è per così dire padrone di casa, e il Mittelfest che da 23 anni continua ad essere il punto di riferimento culturale dell’estate friulana e che in questo modo ha voluto aprire il sipario dell’edizione 2014.
Migliaia pure gli spettatori a Redipuglia, della regione, del resto d’Italia e d’oltralpe, ma altrettanti hanno affollato la Piazza del Congresso anche il giorno seguente, nella capitale slovena, dove si è replicato il concerto in occasione del tradizionale Festival Lubiana, giunto alla sua 62a edizione.
Fortunatissima esecuzione che una serie di coincidenze favorevoli hanno reso molto più apprezzabile della serata di gala. E se il sacrario giuliano avocava a sé tutta l’emozione per la monumentale scenografia, rendendo vivida la commemorazione sulle note verdiane, a Lubiana è stata l’acustica decisamente migliore a dare vita ad un’esposizione fulgida del Requiem.
Riccardo Muti era alla direzione dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, European Spirit of Youth Orchestra, da lui fondata, ma il valore aggiunto dell’evento è stato dato dal far suonare nell’unica compagine musicisti rappresentanti dei paesi protagonisti della Prima Guerra Mondiale e così i professori aggiunti provenivano dai Berliner Philarmoniker, dalla Chicago Symphony Orchestra, dall’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, dall’Orchestre National de France, dall’Orchestre Synphonique de Théatre Royal de La Monnaie, della britannica Philarmonia Orchestra, dei Wiener Philharmoniker e dall’Orchestra della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste. Non potevano mancare nella ricca serata lubianese, i musicisti dell’Orkester Slovenske filharmonije, a cui è passata anche la staffetta del ruolo di spalla.
Anche il grande coro è nato dall’aggregazione di tante rappresentative di diverse provenienze: il Coro della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste, il Coro del Friuli-Venezia Giulia, il Coro dell’accademia musicale di Lubiana. Nella serata di Lubiana inoltre ha cantato il Coro da camera Sloveno, mentre a Redipuglia erano presenti il Coro dell’accademia musicale di Zagabria, il Nuovo coro da camera Franz Liszt di Budapest e i due cori dei Conservatori Tartini di Trieste e Tomadini di Udine.
Non è solo per dovere di cronaca che devono essere segnalate le così numerose e diversificate presenze di artisti, perché se l’impatto sul pubblico è indubbio e la fermezza del gesto del maestro Muti una virtù mai messa a rischio dal numero così consistente, altro si deve affermare per i colori musicali dell’esecuzione nel suo insieme.
I chiaroscuri non sono sempre stati tinteggiati come l’attento acquerello verdiano sembrerebbe voler dipingerli, complice forse anche lo scarso tempo a disposizione per le prove d’assieme.
Anche se il maestro ha saputo abilmente garantire, con la sua misura senza dubbio alta, che gli equilibri fossero rispettati e che gli strumenti, egregiamente amplificati dall’impianto del Festival Lubiana che supera di gran lunga in efficacia quello utilizzato al sacrario del Carso, componessero quei ricami necessari ad ottenere un’ottima risoluzione orchestrale.
Forse dunque per lo spazio aperto o forse a causa dei limiti imposti dal numero di presenze sul palco, ma permaneva la sensazione che fosse stato ovattato tutto l’insieme con un’inaspettata morigerata direzione.
Daniela Barcellona, amatissimo mezzosoprano triestino, ha dato il meglio di sé in entrambe le serate, dimostrando, pur non avendone necessità, l’attitudine migliore nel tono drammatico che il suo ruolo esprime. Preciso e incisivo, anche se non ha potuto regalare suoni ripieni ed ampi come ci si poteva aspettare, il basso Riccardo Zanellato che forse qualcuno ricorda proprio in compagnia della Barcellona in “Tancredi” sul palcoscenico tergestino.
Brillante e buona l’interpretazione del tenore albanese Saimir Pirgu, giovane, ma già di certa fama anche se il tono della sua voce, che è apparsa leggermente più affaticata nella seconda serata a Lubiana, non convince unanimemente il pubblico.
L’inaspettata sorpresa che la capitale slovena ha regalato è stata la sostituzione di Tatiana Serjan, soprano nella serata di Redipuglia, con la magnifica Krasimira Stojanova, un’eccezionale fuoriclasse che ha posto un accento di squisitezza all’intera esecuzione.
Così come la tromba del giudizio dialoga con l’immensità della folla che l’orchestra rappresenta, anticipando l’orrido senso di vago terrore che è il respiro dell’umanità di fronte al mistero della propria finitudine, così il “Lacrimosa” si snoda in modo romanticamente patetico, ricordando che la morte di ogni uomo pone la domanda sulla dignità del suo estremo atto eroico, quello del poeta che afferma il suo essere di fronte all’ignota paurosa giustizia divina.
E i solisti hanno saputo dare corpo a queste emozioni, innalzandole forti e decise, specialmente le due donne che cogliendo il limite dell’esecuzione accurata, sono riuscite a superarlo divenendo rispettivamente l’anima della dolce preghiera di quiete e di pace e lo spirito della profonda umana domanda irrisolta sul proprio ultimo destino.
Allo stesso modo, l’effetto del tuono che accompagna l’”Osanna” conclusivo, riecheggia nella grancassa che abbaia violenta nell’insistenza lirica del “Dies Irae” ripetuto instancabilmente come un monito all’ineludibilità della morte, per lasciare spazio alla trasparente voce del soprano che proponendo l’incipit conclusivo “Lux aeterna”, riporta l’animo alla dolcezza onirica della speranza di chi rimane in questo mondo con lo sguardo fisso sul monumento, memoria dell’assenza di chi non c’è più.
(Credits: Luca d'Agostino ed Elia Falaschi/PhocusAgency © 2014)