"Un ballo in maschera" apre la stagione lirica al Verdi di Trieste. Studenti e jet set in platea
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- Categoria: Musica
- Pubblicato Venerdì, 10 Gennaio 2014 16:24
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – Inaugurazione della stagione lirica triestina con il “più melodrammatico dei melodrammi” come D’Annunzio definì, con una punta di ironia, “Un ballo in maschera”di Giuseppe Verdi. Peggio: per Bernard Shaw fu il contenitore degli scarti del teatro wagneriano.
Eppure, a dispetto dei detrattori di una tra le più belle opere di Verdi, alla prima tutto ha funzionato, compreso uno dei punti critici dell’allestimento di quest’opera che è il macchinoso cambio delle scene: lo spettacolo è stato, nel complesso, più che soddisfacente.
Merito - oltre che di una partitura equilibrata e simmetrica e di un ritmo teatrale perfetto - anche del direttore Gianluigi Gelmetti che ha saputo controllare il torrente melodico e ha impresso, fin dalle prime note, un ritmo teso e serrato, interpretando con intelligente misura una musica che contiene in sé la propria ragione dinamica e drammatica.
(D’altro canto il M° Gelmetti aveva appena dimostrato sull’Inno di Mameli, fraseggiato ed evidenziato con sottolineature plastiche, l’autorità della propria bacchetta)
Infatti, a proposito di dramma, né lo spettatore né i cantanti hanno un attimo di respiro: un amore tragico e disperato che termina nella morte e incorniciato da intrighi politici, cospirazioni, tradimenti, vaticini e profezie. Senza tralasciare una vena umoristica e sarcastica che percorre come un brivido tutta la vicenda.
Impossibile non assecondare questo ritmo incalzante che in certuni momenti ha messo alla prova il fiato e la dizione di alcuni interpreti in una tessitura vocale che riduce melismi e ornamenti ed esige cantanti duttili, espressivi e di buona capacita recitativa.
Solida la prova del tenore Gianluca Terranova (Riccardo): generoso e sicuro nell’emissione, buono nella tenuta vocale senza cedimenti, ma non preciso ed elastico negli abbellimenti e nelle variazioni espressive che caratterizzano la psicologia del personaggio. Ottimo tuttavia l’esordio nell’antro della maga.
Il baritono Aris Argiris (Renato), convocato per un’indisposizione del titolare, inizia in sordina un ruolo difficilissimo: caso unico tra i baritoni verdiani, deve passare dall’amore e dall’amicizia al più truce odio e livida gelosia. La seconda parte gli è più congeniale e, durante e dopo la metamorfosi verso un ruolo più impegnativo e impervio, sfodera voce, un bel colore, tecnica e recitazione.
Sebbene precisa e composta, nel vestire i panni del soprano drammatico di forza Rachele Stanisci (Amelia) difetta di un volume sufficiente a sostenere una parte che richiede centri sicuri e robusti , sia capace di spiccare nel registro alto e cimentarsi negli affondi da mezzosoprano.
Mariana Pentcheva(Ulrica) è un contralto dal buon registro medio, debole in quello basso e traballante in quello acuto. La soprano Sandra Pastrana interpreta Oscar, unico caso di cantante en travesti nel teatro verdiano, ma la sua lettura rende opaco il suo personaggio, più per la recitazione legnosa e la dizione spesso incomprensibile che per la tecnica.
Completano degnamente il cast: Dario Giorgelè (Silvano), Giampiero Ruggeri (Samuel), Dax Velenich (un giudice), Roberto Miani (un servo di Amelia).
Tutti si muovono tra le scene suggestive, sontuose e dal gusto spiccatamente pittorico di Pierluigi Samaritani – autore anche degli spettacolari costumi – che ha saputo conferire alla vicenda un’adeguata atmosfera tra il gotico e il romantico: non è un caso che il bozzetto del secondo atto sia il “Cimitero nella neve” di Caspar Friederich. Il fascino dell’ambientazione è perfezionato dalle luci di Andrea Borelli.
La regia di Massimo Gasparon non presenta rilevanti impennate di interpretazione. Semmai denota qualche incoerenza nel movimento dei cantanti, sebbene si rivelino di un certo effetto la presenza degli strumenti sulla scena e il balletto (coreografato da Roberto Maria Pizzuto) nella scena finale. Buona e precisa come sempre la prova del Coro diretto da Paolo Vero.
Folto il pubblico delle grandi occasioni che, nel capoluogo giuliano, ha il suo tradizionale appuntamento con la visibilità nell’apertura della stagione lirica. Quest’oggi ancor più importante come testimonianza di affetto peril teatro a causa delle traversie – non solo economiche – sostenute nell’anno appena trascorso.
Ma veramente significativa è la presenza - oltre che delle autorità e di vari personaggi illustri della cultura, politica, economia e della buona società - degli alunni delle scuole, di quegli adolescenti cui è rivolta l’attenzione della Sovrintendenza nella speranza di guadagnare le nuove generazioni alla causa della cultura.
Se gli applausi degli abbonati sono stati tiepidi e i commenti degli spettatori tradizionali poco entusiasti, è proprio uno studente che si è espresso nella maniera più aderente alla qualità dello spettacolo e della musica. Icastico, semplice, giovanile e spontaneo, alla chiusura dell’ultimo sipario, con un gesto di apprezzamento, ha emesso il suo verdetto ponderato: “figo!”
La Sovrintendenza ha collocato con assennatezza le sue aspettative.
Repliche: 11/1 ore 16.00 (altro cast) S, 12/1 ore 16.00 D, 14/1 ore 20.30 B, 16 /1ore 20.30 C , 18/1 ore 20.30 E.
Prossimo appuntamento: 11 febbraio 2014 con “L’occasione fa il ladro” di Giachino Rossini.
(In apertura: Scena del II° atto. Sotto: I° atto, scena seconda. Foto Parenzan)
[Roberto Calogiuri]
[Roberto Calogiuri]