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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Pasolini secondo Abel Ferrara. Un film a metà?

Pasolini secondo Abel Ferrara. Un film a meta?

TRIESTE – Pier Paolo Pasolini e Willem Dafoe hanno un tratto in comune: un volto che sembra scolpito nella pietra. Già questo è un buon inizio. E la bravura attorale di Dafoe e la regia di Abel Ferrara hanno fatto il resto, in questo film che si presenta come una biografia ma che, in realtà, è un omaggio appassionato a PPP.

Infatti, Pasolini è una figura troppo complessa, densa e stratificata da poter essere definita nello spazio di un film. Tanto ricca di spunti intellettuali e così simbolica da poterne trarre un racconto che ne tratteggi soltanto alcune caratteristiche, vale a dire quelle che più sono piaciute al regista/soggettista.

Ne esce un Pasolini secondo Ferrara, forse non molto commovente ma abbastanza stimolante. A cominciare dal taglio “pasoliniano”, tra neorealista e sperimentalista, com’è stata tutta l’opera dell’intellettuale italiano. Il che permette alla regia una serie di licenze narrative che intrecciano le elucubrazioni intellettuali e i sogni poetici all’ultimo tragico giorno della vita di Pasolini.

Qui si concentra l’attenzione di Ferrara che così evita che lo sguardo rimanga generico e superficiale. Ai crudi fatti che portarono alla morte di Pasolini, fanno da contrappunto alcuni suoi pensieri, frammenti di romanzi e la sceneggiatura di Porno-Teo-Kolossal mai relizzata dall’autore – ma abbozzata in questo film – che racchiude una dolorosa morale dell’esistenza umana.

In sostanza nel film non accade nulla che già non si sappia. Del resto già Sergio Citti nel ’96 diede la sua lettura di Porno-Teo-Kolossal nel film “I Magi randagi”, ma la maniera in cui i fatti sono narrati punta il dito su alcuni temi come, per esempio, la morale ipocrita dell’alta borghesia o la promiscuità della politica italiana, la manipolazione del consenso ma, soprattutto, l’omossessualità di Pasolini.

Qui è il punto debole del film, ma - del resto - anche di qualsiasi film su Pasolini che, romanzando sulla sua vita, rischi di farne uscire un personaggio falsato.

Perché quanto appare chiaro alla critica estetica in termini di conflitto psichico, viscerale bisogno di razionalizzazione o di lotta contro i tabù sociali e i sensi di colpa derivanti dalla trasgressione, nel film l'omosessualità è il crudo e crudele meccanismo accidentale che portò alla morte di Pier Paolo Pasolini.

Non c’è traccia di lotta tra passione e ragione. Se i “ragazzi di vita” erano quella parte di sé che lo scrittore non aveva ancora voluto analizzare, non lo fa nemmeno Ferrara. E forse è meglio così.

Per il resto il cast è all’altezza del compito: Adriana Asti è la madre, Valerio Mastrandrea è il cugino Nico Naldini, Maria de Medeiros è Laura Betti, Giada Colagrande è la cugina Graziella Chiarcossi, Riccardo Scamarcio interpreta Ninetto Davoli, Ninetto Davoli interpreta il ruolo che avrebbe dovuto essere di Eduardo De Filippo.

Bella la fotografia delle cruente scene finali, altro omaggio alla poetica pasoliniana nella ricerca di un’atmosfera e di un ambiente adeguati a quella violenza che l’intellettuale aveva sempre cercato di dominare con la cultura.

Non adatto a chi ama Pascoli.

[Roberto Calogiuri]

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