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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Prosegue a Trieste il Festival Mille Occhi con “L’ombra. Il cinema italiano da Zurlini a Zurlini”

Prosegue a Trieste il Festival Mille Occhi con “L’ombra. Il cinema italiano da Zurlini a Zurlini”

Trieste - Gli affezionati del festival sapranno che ai Mille Occhi piace parlare non di sezioni ma di “percorsi”. Così come sapranno che gli autori di ieri vengono qui presentati come cineasti di oggi, la cui opera si ricontestualizza nella lettura del pubblico odierno.

Sono intenti riassunti perfettamente in questa seconda giornata al Teatro Miela, con il percorso “L’ombra. Il cinema italiano da Zurlini a Zurlini”, che vuole proseguire la strada intrapresa lo scorso anno con l’omaggio al regista e sceneggiatore bolognese attraverso la scoperta o la riproposta dei registi a lui più vicini.

Esemplificativa di questo approccio al cinema è stata in particolar modo la proiezione, alla presenza del regista Gianni Da Campo, de “La ragazza di passaggio”, pellicola del 1970, all’epoca non capita e sottovalutata – quando non detestata – da gran parte della critica. Marina, la ragazza di passaggio, oggi ai Mille Occhi diventa personaggio presente e vivo e può forse, a più di quarant’anni di distanza, trovare finalmente spazio, comprensione, stima.

È lo stesso Da Campo a presentare il film, raccontando della nascita del soggetto – ispirato a una donna reale incontrata per caso – e di come sia stato realizzato in anni durante i quali il femminismo era nell’aria ma non ancora conclamato.

Che ne fu, nel 1970, di questo personaggio straordinario? La ragazza del titolo è “di passaggio” non solo nella trama ma è, sul piano metaforico, figura esattamente incuneata fra due momenti storici e sociali della femminilità.

Marina oggi appare come donna libera, fragile, schietta, fu intesa allora come una figura maschile celata dietro un personaggio femminile. Si trattava invece di una donna reale, fotografata nella sua urgenza di affermarsi come individuo, come essere umano. Un personaggio che lo spettatore scopre attraverso gli occhi del sedicenne Stefano, unico personaggio maschile nella trama, che osserva le figure femminili presenti intorno a lui e si sforza di comprenderle.

Lo sguardo di Da Campo sulla femminilità rivela non solo un grande rispetto per la donna e una gran voglia di raccontarla in tutta la sua verità, non solo un grande amore per la città di Venezia, ma anche uno spirito d’osservazione e una sensibilità estrema, tanto da farci domandare come sia possibile che a restare inosservata così a lungo sia stata una simile sceneggiatura, forse tra le più vere, crude, malinconiche, commoventi della nostra cinematografia.

Mariangela Miceli

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