Valentina Ferri dialoga con noi del suo ultimo libro
- Dettagli
- Categoria: Libri
- Pubblicato Giovedì, 05 Marzo 2015 22:02
- Visite: 719
Trieste – Valentina Ferri, nata a Milano, vive a Pavia,scrive su diverse testate femminili, periodici musicali e pagine di cultura, coniugando l’attività di scrittura con quella di interprete teatrale e di musicista. Ha presentato sabato scorso il suo libro alla Minerva “Quando il leone di ciberà di paglia” oltre ad avere al suo attivo tante pubblicazioni fra romanzi e saggi fra cui "La ineluttabile modalità dell’udibile. Allusioni e strategie musicali nell’Ulisse di James Joyce", il romanzo "Il mare immobile", e insieme a Donatella Cei "Avevo otto anni e c’era la guerra. Storia a quattro mani con cucina". In uscita il suo testo teatrale "Urge la musica in ogni sillaba", dedicato a Gabriele D’Annunzio.
Abbiamo scambiato qualche battuta sul suo ultimo libro.
Questo tuo nuovo libro, “Quando il leone si ciberà di paglia” cosa ha di diverso dagli altri tuoi romanzi?
Forse il punto di vista, la voce. E' narrato attraverso un personaggio maschile: un ragazzino di tredici anni che cresce nei dintorni di Napoli e percepisce il mondo attraverso il suo corpo che cambia e lo disorienta. Uno sguardo diverso e una scrittura differente, creata apposta per lui potrei dire alcune parole sono inventate, rubate a una sorta di dialetto del sud.
Perché l’hai voluto?
Perché arriva un momento in cui bisogna fare i conti con il leone che ruggisce dentro di noi e il bue che, mite, reclama la sua paglia. C'erano da affrontare il male e il bene, e narrarli.
Antonio, Mimmo, Don Paolo tratteggiali con degli aggettivi
Antonio: confuso, Mimmo: ribelle Don Paolo: perfiriuso, perfido.
Che il leone si cibi di paglia, come dice Isaia, che il mondo in sogno si capovolga, in una profetica rivoluzione, e si possa infilare la mano nella buca di un aspide senza essere più morsi… cosa speri possa suscitare… ti va di raccontarci?
Non è una domanda semplice! Questa di Isaia è una grande visione, un'utopia, un delirio? C'è chi dice “non accadrà mai!”. Io credo che in ogni gesto in cui siamo in sintonia con ciò che è “sacro” in noi il male non esista più. Perché noi siamo l'aspide che morde e anche la mano che cerca nella profondità della buca. Ma possiamo sperare come dice Antonì, che alla fine il mondo “sia tutto accordato giusto, come quando si canta a messa e la tua voce è uguale alla prima nota che suona l'organista per darti sicurezza”.
Punti di forza del tuo libro?
I punti di forza sono il linguaggio diretto, schietto e semplice, con il suo ritmo vicino al parlato a restituire il senso di fisicità della vita, prima di ogni altra cosa. E poi la tragicità dei personaggi, estremi tanto da divenire archetipici. La stessa storia di Antonio è un rito di iniziazione, un passaggio attraverso prove durissime, tra il male e il bene per giungere attraverso la parola a conciliare gli opposti. E' un romanzo apparentemente facile, ma che ha vari livelli di lettura
A che potenziale lettore lo dedichi, oltre ai tuoi genitori?
A colui che cerca, a chi crede nella parola.