Mostra promossa dalla Lega Italiana per la Lotta ai Tumori testimonial d’eccezione: Paolo Cervi Kervischer
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- Pubblicato Domenica, 29 Settembre 2013 13:20
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Trieste - Si concluderà con il finisagge del 19 ottobre alle ore 18, la mostra “Per tutto l’oro del mondo”, di cui il pittore Paolo Cervi Kervischer è testimonial.La mostra rientra nell’ambito dell’iniziativa benefica "Ottobre in rosa", promossa della LILT - Lega Italiana per la Lotta ai Tumori. La mostra sarà visitabile dalle 17 alle 20 tutti i giorni, il sabato dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20, il mercoledì e domenica giornate di chiusura, presso la Lux Art Galleryin via Rittmeyer 7/A Trieste.
Abbiamo avvicinato nel suo studio per parlare con il testimonial l’artista Paolo Cervi Kervischer.
Quello di Paolo Cervi Kervischer è un percorso artistico lungo e ancora in fieri. Ha esposto le sue opere da Pechino a New York al Messico, non solo opere pittoriche ma anche performance artistiche. Nel suo lavoro prosegue in una ricerca cromatica e di significato, che va dai volti femminili ai nudi, dalle sagome scure impresse su tele e tappeti al Torso del Belvedere, alla combinazione di colori e di versi. Artista instancabile, sassofonista sempre più attivo, maestro di disegno, pittura e storia dell'arte, Paolo Cervi Kervischer è ormai riconosciuto come una delle figure più importanti e rappresentative sia in ambito locale che internazionale.
Perché questa mostra?
Questa mostra rientra nelle iniziative della Lilt, (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) avevo deciso di offrire all’ente delle mie opere per una raccolta benefica finalizzata all’acquisto di un macchinario per le donne in cura post-operatoria, e in occasione di un incontro è venuta fuori l'idea di una mia esposizione presso la Lux Art Gallery di Giorgio Parovel.
Quindi è dedicata a un progetto specifico di beneficenza?
Sì, è dedicata a questo progetto. Poi risente chiaramente della mia pittura e del desiderio di esporre le cose che io sento. Come dire, non è una mostra in cui io espongo temi specifici sviluppati ad hoc per l’occasione. Lavoro e dipingo con le mie tematiche.
Dipingere per te è un’urgenza?
Per quanto mi riguarda, ormai si potrebbe dire. che è la mia forma espressiva e contemporaneamente la possibilità che ho di rapportarmi al mondo, rapportarmi a ciò che mi circonda e allo stesso tempo avere queste “auto-percezioni”.
Auto-percezioni?
Sì, la self-perception, una specie di sesto senso, o settimo, o ottavo… comunque quello più importante: il percepirsi nel fare le cose.
E le tue donne gocciolanti, sono donne sofferenti?
In realtà le gocce derivano dalla mia tecnica, la forma viene fuori da un togliere il colore, togliendo il colore con l’acqua è automatico che ci siano delle colature, che poi chiaramente sono anche un dato espressivo. Per me l’acqua dev’essere sempre visibile, perché è l’elemento che ci costituisce, è l’elemento che ci pulisce, che, come dire, ci fa vivere, da tutti i punti di vista... però non è solo acqua. A volte le gocce possono far pensare all’acqua, altre volte possono far pensare a questi fili che ci collegano con l’universo. Non è sofferenza, al contrario: è un esserci. È chiaro che più che le gocce quello che dà senso ai miei ritratti è questo sguardo un po’ vuoto, quest’ incapacità di essere determinanti nella scelta. Si tratta di una condizione umana, parlo spesso di questa condizione, in cui siamo oggi, di sospensione. Siamo in una fase di passaggio, sta per cambiare tutto a livello sottile, a livello profondo, questo mi viene rivelato proprio dall’inconsistenza e dalla sospensione che trovo in questi sguardi, come la mia serie, “spersi nella mente”.
Hai parlato, relativamente a quella serie, di sguardi in cui è visibile un’assenza.
È assenza, non è sofferenza, se fosse sofferenza sarebbe già una condizione identificabile, e invece è una sospensione. Come dicevo, siamo in una fase di passaggio, di imminenti e incredibili cambiamenti.
Cosa vuol dire fare arte oggi?
Dipende come la si fa. Qualche giorno guardavo il catalogo di un altro artista e mi domandavo cosa mi caratterizza rispetto agli altri? Ho scoperto che l’arte che faccio è molto diversa da come viene concepita oggi. Fare arte vuol dire, per me, intraprendere un percorso che sia in qualche modo di coscienza e di conoscenza, è un percorso che viene fatto al limite di ciò che si conosce per trovare una dimensione ancora sconosciuta. Mi domandavo se questo riguarda tanti artisti, e ho constatato che invece molti lavorano su ciò che è conosciuto e visibile, lavorano più che altro sullo stile. In qualche modo hanno già completato il loro percorso. Io trovo più differenze fra me e un altro pittore che fra me e un poeta, fra me e un musicista, fra me e uno scrittore….
Questo sul piano personale, ma per quanto riguarda il piano sociale? Quanto di quello che fai secondo te viene percepito, capito?
Diciamo che se tu sei sincero, sei vero, hai una tua verità, questa cosa viene percepita come tale, quindi è fondamentale la verità. Il mio scopo non è creare immagini che colpiscano per un fatto estetico, è chiaro che poi ci si trovi la bellezza, ma la si trova perché è passata da una mia verità. Il vero è bello. Lo dicevano anche i filosofi del passato. Poi se la cosa colpisce o piace è un risultato che è quasi scontato se ci si confronta in modo vero. La tecnica naturalmente è fondamentale, ma una volta acquisita e padroneggiata va sublimata. L’arte è tecnica sublimata.
La si padroneggia per poter poi andare oltre?
Devi diventare automa per essere artista. L’automa è l’artista.
Un’ultima cosa. Non si resta mai uguali a se stessi. Dove sei “Nel cammin di tua vita…nella selva oscura o nella dritta via”?
Dunque, io sono sempre un principiante, mi considero tale, il che non vuol dire uno che fa le cose “più o meno”, ma uno che si trova sempre all’inizio di un percorso. Ogni quadro, ogni immagine, ogni lavoro nuovo inizia in una sorte di “nube della non conoscenza”. Ed è questa che ti permette di trovare il cammino. Certo, dovendo dire se sono all’infermo o nel purgatorio o nel paradiso io direi che sono entrato finalmente nella fase che mi porta verso il paradiso, nel senso che la difficoltà iniziale, gli anni di lotta, sono passati. Ormai la vela risente del vento, c’è il vento che mi aiuta, ho fiducia in me stesso, senza essere esageratamente superbo, ma, per essere onesto, sono consapevole del mio lavoro e della mia capacità, tuttavia, allo stesso tempo, quando sono nel mezzo di un lavoro, lì sono nella “nube della non conoscenza”.
…E non sai cosa verrà fuori.
Esatto. Come ho spiegato a Maria Campitelli, presidente del Gruppo78, che ha presentato la mia mostra, mi piace molto per spiegare il mio lavoro la metafora del pilota d’aereo. Il pilota di linea è presente al decollo, mette tutto a posto, controlla ogni dettaglio, poi parte e se ne dimentica, mette il pilota automatico e dorme, specie in un volo di molte ore. Pochi ci pensano, ma in aereo tutti dormono, anche il pilota, non solo i passeggeri. Certo, se i passeggeri lo sapessero forse non dormirebbero loro. Ad ogni modo, quand’è che il pilota riprende in mano la situazione? In prossimità dell’atterraggio. Ecco, allo stesso modo l’artista riprende in mano la situazione solo alla fine del percorso, per sistemare alcune cose. È fondamentale secondo me, lasciarsi andare prima di riprendere il controllo. Questo è il mio viaggio.