Sulle orme di Penelope: la mostra "Fili inestricabili" dell'artista triestina Magda Starec Tavčar
- Dettagli
- Categoria: Arte
- Pubblicato Sabato, 30 Marzo 2013 12:46
- Scritto da Serenella Dorigo
- Visite: 1204
Trieste - Presso l’affascinante sede dell’Impresa Sociale Ad Formandum - in via Ginnastica 72 - continua la mostra “Fili Inestricabili” dell’artista Magda Starec Tavčar, che sarà visitabile fino al 30 maggio, da lunedì a giovedì, dalle ore 17 alle 20.
La mostra firmata da Elisabetta Bacci si compone di venti opere di grandi e piccole dimensioni che rimescolano, per mezzo di un impianto decorativo di impostazione kusheriana, la discesa fino dentro all’umido e fragile fondamento delle nostre anime.
La prima chiave di lettura che ci permette di identificare l’asse ideologico di questo lavoro lo si rintraccia nella sfera del medium artistico, - come ricorda Bacci - prima che nella narrazione che ne consegue.
Magda Starec Tavčar si occupa d’arte nelle sue svariate applicazioni da quando ha memoria. Nata a Trieste in una famiglia di lingua e cultura slovena, ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte di Trieste, ha lavorato come grafica pubblicitaria ed insegnante di educazione artistica.
Ha fatto contemporraneamente l’illustratrice di testi per l’infanzia e la mamma, non necessariamente nello stesso ordine. Di tessitura ha iniziato ad interessarsi più tardi ed è stata una conquista ed una scelta verso un mezzo espressivo autonomo.
Con lei ci siamo intrattenuti dialogando su come considera la sua arte e su quello che ha voluto raccontarci.
Ho sempre avuto molta difficoltà a parlare di me, anche a presentare ed argomentare i miei lavori. Per questo ho approfittato di tecniche “filtro” per avere la distanza da quello che volevo dire.
“Il dialogo interiore tra un contenuto, che oscilla tra l’osservazione dell’esterno da sé, quindi gli accadimenti, alla natura, alla dinamica urbana, si tramuta all’interno di sé in qualcosa che viene a noi restituito del tutto trasformato”, così dice di lei il curatore della mostra Elisabetta Bacci. Ci si ritrova?
Si, è vero. Parto sempre dalla considerazione che gli oggetti, anche i più umili o piccoli sono passati per tante mani, hanno ricevuto attenzione, sono stati construiti, usati e poi rifiutati ma rimangono. Io non faccio delle riproposizioni alternative ma li rimastico, li rimpasto e li restituisco in un'altra forma.
Ci sono cose che attraggono la mia attenzione e che raccolgo e metto da parte. Tutto questo dura un tempo lunghissimo, prima o poi tutto trova un suo posto, molte volte non è neanche quello definitivo. Mi succede spesso di rimettere mano e di disfare come Penelope cose che un tempo mi erano sembrate concluse, con un eterno fare e disfare.
Cosa vuole che resti a chi guarda le sue opere?
Con il mio lavoro vorrei attrarre l’attenzione di chi guarda sulle cose cosidette marginali, di sottofondo che di solito ci sfuggono, ma che noi registriamo ad un livello non consapevole. Vorrei evocare ricordi, immagini di ambienti e di esperienze conosciute.
Da dov’è partita e dove vorrebbe arrivare, in una parola le sue evoluzioni artistiche. Ci racconta?
Io disegno molto da sempre e lo considero la base di tutti gli sviluppi successivi. La partenza è sempre uno schizzo o un bozzetto. Mi piace molto la grafica, le incisioni e tento sempre di includere e mescolare i linguaggi.
In tessitura come tecnica tradizionale - telaio ad alto liccio - ho realizzato anche arazzi per altri artisti. Adesso cerco di elaborare tutte queste esperinze in una qualche sintesi. Tutto questo può essere messo nella categoria della Fiber Art, definizione di una tendenza artistica che “intreccia” gli elementi più svariati.
Un ultima domanda: perché questa mostra?
La mostra a Ad Formandum è stata un’occasione per mettere assieme cose fatte in momenti diversi ma con un comune filo conduttore: la luce e la trasparenza, l’aria nelle sue varie interpretazioni.
Serenella Dorigo