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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Di Natale e quel calcio che non c'è più

Di Natale e quel calcio che non c'è più

Udine - Ci sono calciatori che vengono amati e rispettati da tutti, aldilà di chi si tifa. Le loro gesta rimarranno nelle menti e nei cuori di chi li ha visti giocare. Certi giocatori sono un qualcosa che va ben oltre i colori. Antonio Di Natale è, senza alcun dubbio, uno di questi.

Il suo saluto all'Udinese, avvenuto nell'ultima giornata del campionato che si è appena concluso, ha emozionato tutti gli amanti e gli appassionati del pallone. Una storia d'amore lunga ben 14 anni e condita da 300 gol.

Un legame indissolubile con la città di Udine, che l'ha portato a rifiutare offerte di squadre più importanti e blasonate. La sua casa, il suo mondo era in Friuli. In molti stentano a definirlo campione, proprio perché non ha mai giocato in una squadra top.

Ma i record e i numeri di Antonio Di Natale tendono a smentire tutti, anche i più scettici e i più maligni. Per ben due volte e stato capocannoniere e una volta, nel 2010, è stato proclamato miglior giocatore italiano. C'è forse quella pecca di non esser mai stato davvero decisivo in Nazionale.

Anche se agli Europei del 2014, dove l'Italia arrivò seconda, lui c'era. Ed è lì che ha segnato, parole sue, il gol più importante della carriera, ossia quello alla Spagna nella partita inaugurale della competizione.

Poi ci si ricorda quel rigore sbagliato proprio contro gli iberici ad Euro 2008 e i disastrosi Mondiali sudafricani del 2010. C'è questa lacuna, qualcuno potrebbe dire ed insinuare. Ma la carriera di Totò è stata immensa lo stesso. Anche per la sua semplicità, umanità, sincerità ed umiltà. Sono proprio questa caratteristiche che hanno portato a rispettarlo e stimarlo.

Non si sa se appenderà gli scarpini al chiodo o continuerà a giocare. Si è preso un po' di tempo per riposarsi e riflettere. L'unica cosa certa è che il suo saluto è coinciso con quello di tanti altri: Abbiati, Bellini, Toni e Klose, che ha lasciato la Lazio con qualche polemica. Si parla tanto di bandiere ammainate e di un calcio che non c'è più.

Sicuramente questi giocatori erano e sono un po' gli ultimi baluardi di un mondo diverso. Ormai è tutto maledettamente social. Si vive di tweet, hastag e tag anche nel dorato sistema dei campioni, diventato sempre più business e giro d'affari.

Si può tranquillamente dire che Di Natale e company rappresentavano un qualcosa di più umano, vero e genuino. Il giocatore che pensa sempre e solo al campo, a migliorarsi e a provare a vincere qualcosa. I tre attaccanti hanno salutato a loro modo, ossia con un gol. L'ha fatto anche Bellini, che di certo non ha mai avuto un grande feeling con il gonfiare la rete.

Per tutti ci sono state lacrime, applausi e ringraziamenti. Perché è un po' come un tipo di calcio che se ne va per non tornare più. E chi l'ha conosciuto non può che essere un po' nostalgico. Con la speranza che certi non finiscano mai. Ma facciano solo alcuni giri per poi ritornare a casa.

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Direttore: Maurizio Pertegato
Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
Redazione di Udine: Fabiana Dallavalle

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