Intervista a Matteo Boniciolli, un allenatore nostrano di basket tra i cosacchi
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- Categoria: Sport
- Pubblicato Mercoledì, 07 Novembre 2012 19:46
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste - Matteo Boniciolli - triestino, nato nel 1962, sposato, con due figli maschi - dopo una brillante carriera europea, esporta la sua esperienza di allenatore di pallacanestro a 5.000 chilometri da casa. Neanche due anni per guadagnare un titolo nazionale e due coppe con gli Astana Tigers, la squadra della capitale del Kazakistan, uno stato grande quanto l'Europa, autonomo da vent'anni, ricco di uranio, diamanti, petrolio e gas. Una nazione emergente che si affaccia con determinazione sulla scena mondiale e usa lo sport come biglietto da visita. L'allenatore ci ha gentilmente concesso un'intervista di ritorno da una trasferta sul Mar Caspio.
Lei si considera un cervello in fuga? Se nello sport il cervello serve, direi di sì. E credo serva…
In Italia ha dato prova di averlo… Quali sono le tappe della sua carriera a cui è più affezionato? La promozione in A1 a Udine, la finale scudetto con Fortitudo Bologna, la salvezza di Teramo, la Coppa Italia e la qualificazione all'Eurolega ad Avellino, l'Eurochallenge vinto con la Virtus Bologna. Il titolo e la coppa nazionale vinti qui in Kazakhistan. Debbo dire però che i tre anni a Trieste, dove abbiamo ricostruito il basket cittadino arrivando dalla quarta serie alla serie A2 con un gruppo di giovani sono stati forse la soddisfazione più grande.
Eppure adesso è in Kazakistan. Com’è accaduto? Dopo l'esperienza alla Virtus Roma ho chiesto al mio agente di verificare la possibilità di lavoro nei tre "mercati" ora in grande crescita economica e sportiva: Turchia, Cina e paesi dell'ex Unione Sovietica. E'arrivata la proposta di Astana e un incontro con i dirigenti kazaki a Ginevra mi ha convinto che questa fosse la scelta migliore.
Non si trovava bene in Italia? Fare sport in Italia professionalmente è sempre più complicato per due ordini di motivi: l'impossibilità di programmare un qualsiasi tipo di crescita, vista l'impazienza di società, stampa e, spesso, tifosi. E poi l'inaridirsi delle risorse economiche per costruire realtà stabili. Si procede spesso dall'oggi al domani in un settore, lo sport, dove solo i "maghi" possono promettere successi immediati e dove, invece, dovrebbe essere il lavoro quotidiano e continuato a garantire risultati.
Che cosa cambierebbe in questo sistema? Il cambiamento dovrebbe riguardare il nostro modo di vivere, di pensare, di metterci in relazione con gli altri. Lo sport non è altro che lo specchio delle virtù e dei vizi di un paese. Lo sport italiano, con scandali, scommesse, doping, moviole e polemiche rispecchia assolutamente il nostro vivere quotidiano.
E cosa rimpiange? Rimpiango di aver dovuto lasciare il mio paese per cercare di lavorare seriamente, con tutti i miei limiti ovviamente.Dal Mediterraneo alle steppe dell’Asia continentale è un grande salto. Cosa le manca di più? Onestamente debbo dire che mi manca molto il rapporto quotidiano con mia moglie e i miei figli. La tecnologia ci aiuta, con Skype, Facebook. Con mio figlio Francesco, il più piccolo, facciamo sistematicamente i compiti di inglese assieme, incontrandoci online su Skype...
Cos’ha trovato di assolutamente inatteso? Di inatteso ho trovato una grandissima capacità nell'amministrare realtà sportive estremamente professionalizzate, che onestamente non ha nulla da invidiare al meglio che c'è in Europa.
Ha dovuto affrontare disagi? Com’è stata l’accoglienza? L'accoglienza è stata eccellente, così come la loro grande disponibilità ad aiutarmi quando mi sono ammalato di polmonite. Ho ricevuto un'assistenza straordinaria, nel miglior ospedale della capitale.
Polmonite… Quindi fa molto freddo… Qual è la temperatura minima sopportata? Lo scorso inverno qui ad Astana è stata di meno 51.Veramente difficile. Appena fuori di casa il vapore che usciva dalla sciarpa si è congelato sulle lenti degli occhiali... Anche se devo dire che il problema maggiore non è il freddo in sé, ma la continua alternanza di caldo e freddo. Portone, strada, macchina riscaldata, strada. Questa è la cosa più difficile per il corpo. Ed è per questo probabilmente che mi sono ammalato.
Allenare, quindi, è una passione più che una missione o un mestiere? Allenare è una passione che è diventata mestiere, ed è per questo che mi sento una persona privilegiata.
Com’è la giornata tipica di Matteo Boniciolli? Sveglia alle 9, allenamento dalle 10 alle 12, pranzo leggero in un ristorante italiano, riposo, allenamento dalle 18.00 alle 20.00, cena e internet o letture sino alle 3, 4 del mattino. Le cinque ore di fuso orario mi costringono ad aspettare l'una di notte per vedere un telegiornale o parlare con i miei amici in Italia.
Cosa sta imparando e cosa sta insegnando in Kazakistan? Sto imparando a conoscere un paese in grande espansione, con un capitalismo molto aggressivo ma accompagnato da grandi progetti, di cui la capitale in cui vivo, Astana, è l'esempio più evidente. Sto cercando di trasferire ai miei collaboratori e ai giocatori Kazaki la capacità del "read and react" come dicono gli americani, di leggere e reagire anziché di decidere un programma e di non deflettere nemmeno di fronte ad un muro insormontabile.
Quali sono gli sport più diffusi in una nazione di Cosacchi? E che posto occupa la pallacanestro? Essendo un popolo di origini nomadi, tutti gli sport sono di forza e combattimento, come il sollevamento pesi, la lotta, la boxe. Sta prendendo molto piede l'hockey su ghiaccio mentre ha molto seguito uno "sport"che farebbe inorridire gli animalisti europei. Due squadre di cavalieri che si ammazzano di botte per portare il corpo di una pecora o di una capra morta in una fossa di cemento. Dirette televisive in Prime Time. Il basket non ha grandi tradizioni e il mio club sta lavorando per allargare la base dei nostri tifosi.
E i giovani rispondono a questo nuovo corso? E il pubblico delle partite com’è? Abbiamo recentemente fatto un accordo con la più importante università di Astana per avvicinare al nostro sport il maggior numero di ragazzi possibile. Alle gare, il pubblico segue con grande attenzione e con una compostezza inconsueta per noi italiani, tifando calorosamente e senza offendere gli avversari nelle partite agonisticamente più accese.
Come si vive in un paese musulmano di questi tempi? Ha avuto difficoltà nell’ambientarsi? Il Kazakistan è a maggioranza musulmana. Sotto casa mia c'è una grande moschea, ma il governo ha delimitato nettamente la sfera politica dalla pratica religiosa, concedendo a tutte le fedi religiose uguale dignità. Questa scelta ha provocato la reazione di qualche gruppo integralista musulmano che di tanto in tanto si fa sentire con qualche attentato. Ma grazie a questo atteggiamento non ci sono stati problemi di ambientamento.
Qual è l’immagine dell’Italia, non solo sportiva? L'Italia e i suoi prodotti godono qui, come in ogni altra parte del mondo, di grandissima considerazione. L'immagine che del nostro paese hanno dato gli ultimi governi ha rischiato di mandarmi in galera: un giorno, all'aeroporto Sheremitevo di Mosca, non ho reagito benissimo quando, al controllo passaporti, il poliziotto mi ha sorriso dicendomi: "Italia-Berlusconi-Bunga Bunga". L'intervento del mio Team Manager ha evitato che la situazione degenerasse...
Ci sono altri italiani nel suo team? Sono l'unico italiano. Nello staff ci sono: un cileno, preparatore atletico, due russi ed un ucraino,assistenti allenatori e Valery Tikhonenko, campione olimpico della vecchia Unione Sovietica, general manager. Medico e fisioterapista sono lituani…
Quali sono i progetti per il futuro? Fino a quando è prevista la sua permanenza in Kazakistan? Debbo dire che nel mio mestiere fare progetti sul proprio futuro è piuttosto complicato,visto che dipendiamo sempre molto dai risultati. Comunque, restare sempre a questo livello e magari migliorarlo, in qualsiasi parte del mondo.
In questo periodo si celebra il centenario del suo liceo classico, il "Petrarca" di Trieste. Com'è stato il suo rapporto con la scuola e con la cultura umanistica? Onestamente il mio rapporto con la scuola è stato piuttosto contrastato. Con tutta la scuola, non con il Petrarca. Al liceo ho incontrato alcuni indimenticabili maestri. Chiamarli "professori"sarebbe riduttivo per la grande influenza che hanno avuto sulla mia crescita. A loro debbo sicuramente molto di quello che sono adesso, in termini di apertura al nuovo e di comprensione di ciò che mi circonda. Con un grande rimpianto: di averlo capito tardi.
[Roberto Calogiuri]