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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Vincenzo Manzini, un friulano alla base del Codice Penale

Vincenzo Manzini, un friulano alla base del Codice Penale

San Daniele del Friuli (Ud) - L'universo che si nasconde dietro a cose che riteniamo oggi banali è spesso variegato, quasi sempre inedito per chi non approfondisce la conoscenza di nomi e date. Così generazioni intere entrano ed escono da scuole, associazioni, edifici intitolati intitolati a personaggi che, tranne il caso dei soliti noti, rimangono solo una lettera puntata e un cognome avvolti da banchi di disinteresse.

Certo, quando gli istituti sono dedicati ai vari Dante Alighieri, Petrarca, Manzoni e Foscolo, sapere di chi si parla è facile. Ma quando il soggetto in questione è un certo Vincenzo Manzini, chi alza la mano per dire chi fu? Una domanda che dev'essere venuta in mente a parecchi dei centinaia e centinaia di studenti che si sono susseguiti nell'omonino ISIS di San Daniele del Friuli, un luogo non casuale per questa intitolazione.

Perchè proprio nel Friuli collinare, nell'agosto del 1872, nacque quest'uomo destinato a lasciare una traccia profonda nell'Italia, non con imprese eroiche ma con uno “strumento” che ancora oggi è a nostra disposizione: il Codice Penale, insieme al Codice di Procedura Penale, attualmente però riformato dopo le modifiche della riforma del 1988.

Ad affidargli l'incarico di redigerlo fu l'allora Ministro della Giustizia, Alfredo Rocco, tra il 1928 e il 1930 insieme ad altri illustri colleghi e allo stesso guardasigilli, quando quindi al potere era ormai consolidato il potere fascista. E proprio al Partito di Mussolini il giurista friulano si iscrisse nel 1925, nel pieno del terremoto che stava colpendo il fascismo dopo l'orrore del delitto Matteotti. Lo stesso anno in cui il Duce instaurò la dittatura.

Il panorma giuridico dell'epoca era abbastanza complesso, poiché varie scuole di pensiero (quella positivistica e quella classica, risalenti ancora all'Ottocento) si contrapponevano per riformare il sistema legislativo dell'epoca. Manzini, a suo modo, si distaccava da entrambi, entrando anche in contrasto con uno dei massimi filosofi del regime fascista, nonché Ministro dell'Istruzione, Giovanni Gentile: il giurista, infatti, rifiutava ogn forma di riflessione metafisica attorno al diritto, tanto da indicare la filosofia come “danno al diritto penale”, mentre l'intellettuale idealista pretendeva “di contestare con distacco, qualsivoglia tratto di scientificità in capo allo studio del diritto”, come riporta Alberto Berardi nel “Dizionario Biografico degli Italiani Treccani” (Volume 69, 2007).

Insieme al passato fascista, altri particolari “macchiano” la storia di quest'uomo di legge: ad esempio, il cambiamento “di pensiero attorno al tema della pena di morte, fieramente avversata in gioventù e poi invece sostenuta con decisione, in nome della legge positiva e delle necessità pratiche (...), nonché a quello della presunzione d'innocenza dell'imputato fino a condanna definitiva, anch'essa originariamente difesa, e successivamente (...) attaccata e derisa con atteggiamento ai limiti del demolitorio”, continua Berardi.

A suo favore, riconosce sempre l'autore del “Dizionario”, c'è invece la forte difesa degli ebrei, le cui persecuzioni Manzini le ricollega agli omicidi rituali nella storia del diritto penale. E a farlo non fu in un periodo a caso, bensì negli anni della campagna antisemita, fondata proprio sulle cosiddette accuse "di sangue" che lui stesso smentì, polemizzando con il pensiero razionalista, fino ad allora rimasto in silenzio.

Ma com'è possibile che il Codice Penale, scritto da giuristi legati in qualche modo al fascismo, rimanesse in vigore anche con la democrazia? La soluzione si trova nel codice di procedura penale, di cui il friulano fu "unico" artefice intellettuale, che raccoglieva “importanti connotazioni liberali, sì da risultare per lunghi anni compatibile con la successiva Carta costituzionale repubblicana” (Alberto Berardi).

Oltre a tutto ciò, il sandanielese fu anche professore presso diverse Università (Ferrara, Sassari, Sien, Torino, Pavia, Padova e Roma), dove ottenne importanti cattedre e prestigiosi riconoscimenti nazionali, come il premio reale dell'Accademia nazionale dei Lincei per le scienze giuridiche e politiche nel 1904, grazie al “Trattato del furto e delle varie sue specie”.

Morì a Venezia nel 1957, lasciando ai postumi importanti libri di diritto come “Sulla delinquenza in Friuli” (1897) e il “Trattato di diritto penale italiano “ (1909),con l'esperienza fascista ormai conclusa e tra i propri allievi Giandomenico Pisapia, futuro presidente del comitato che tra il 1987e il 1988organizzerà il vigente codice di procedura penale, nonché Giacomo Delitalia, fondatore della “Scuola milanese” e maestro dell'ex Presidente della Repubblica Scalfaro.

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