"Ponte di parole - Quindici anni di scrittura dal carcere di Udine": racconti, testimonianze, riflessioni
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- Categoria: Uomini e diritti
- Pubblicato Lunedì, 09 Febbraio 2015 18:46
- Scritto da Corinna Opara
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Udine - Chiudiamo gli occhi. Pensiamo alla parola "ponte". Quanti significati ci vengono in mente? Passaggio, collegamento, unione, una mano tesa. In questo caso si tratta di un corridoio rubato dall'intelletto per invitare a connettersi con un mondo oggi molto stereotipato ma ai più sconosciuto: quello del carcere.
Ecco allora fuoriuscire dalle inferriate un "Ponte di parole", che è il titolo del volume pubblicato a dicembre 2014 da Narrativa "Kappa vu" e curato dall'associazione "Icaro".
"Quindici anni di scrittura dal carcere di Udine" l'esplicativo sottotitolo che spalanca completamente le porte a questa realtà raccontata da chi l'ha vissuta giorno per giorno, in una situazione di sovraffollamento che però è pure di isolamento, dove il tempo si ferma e la lentezza regna sovrana, dove spesso si sconta una pena che invece di rieducare infantilizza.
Le voci e le mani che hanno realizzato queste storie hanno tastato la loro esperienza nella Casa circondariale di via Spalato a Udine. Gli elaborati sono stati pubblicati inizialmente sul periodico "Vite sospese", nato nel 1998 e curato, allora, solo dalla sezione femminile; successivamente su "La voce nel silenzio", avviato nel 2000 e coinvolgendo anche la sezione maschile.
Dal 2007 gli scritti si sono trasferiti sull'inserto del settimanale udinese "Il Nuovo" e, infine, dal 2012, su una rubrica mensile del quotidiano locale, ora sospesa. "Da ogni esperienza si può trarre un insegnamento, ogni esperienza aiuta a maturare e a migliorare", si legge tra le righe dell'introduzione. "Le nostre esperienze potrebbero anche essere di insegnamento ad altri perché non commettano i nostri stessi errori".
Ma nel libro non ci sono solo testimonianze: ci sono anche racconti, poesie, disegni, esercizi "di stile" dove scrivere diventa un'attività per ingannare il tempo, oppure riflessioni sul "mal di vivere" che attanaglia gli uomini da che mondo è mondo.
Un'interessante chiave di lettura per questo libro la offre, nella sua prefazione, Ornella Favero, direttrice di "Ristretti Orizzonti", la rivista realizzata nella Casa di reclusione di Padova: "Le narrazioni sono anche un modo significativo per (...) ridurre quella distanza tra il carcere e la società, che la 'grande' informazione contribuisce a creare, schiacciando la cronaca nera sul racconto dei reati e trasformando spesso gli autori di quei reati in 'mostri'.
Un modo rassicurante di far credere alla gente che esistono i 'totalmente buoni e gli assolutamente cattivi', e di far sentire noi, che viviamo nel mondo libero, tranquilli perché non saremo mai tra i cattivi".
Corinna Opara