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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Scuola, i sindacati revocano lo sciopero di sabato 24 novembre. La nostra intervista ad un'insegnante

Scuola, i sindacati revocano lo sciopero di sabato 24 novembre. La nostra intervista ad un'insegnant

Trieste - I sindacati della scuola, fatta eccezione per la Flc-Cgil, hanno deciso di sospendere lo sciopero della scuola indetto per sabato, 24 novembre. La decisione è stata presa dopo l'incontro avuto giovedì 22 novembre con il Governo per sciogliere il nodo del pagamento degli scatti stipendiali per il personale del settore.

La questione era il principale motivo all'origine dello sciopero e della manifestazione. Per il governo presenti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Catricalà e i ministri Grilli, Patroni Griffi e Profumo.

L’emendamento approvato dalla Commissione Bilancio ha, per il momento, fermato l’obiettivo del ministro Profumo di portare l’orario di cattedra a 24 ore, fra la soddisfazione degli insegnanti e un più tiepido riscontro nell’opinione pubblica, che spesso vede in questa categoria una classe di privilegiati per il modesto impegno sul posto di lavoro (e una considerevole quota di tempo libero soprattutto nelle vacanze estive).

Ma è difficile che l’orario degli insegnanti non torni a essere, in futuro, materia di contrattazione o addirittura di intervento finanziario: ed è per questo che, nonostante il dietrofront del Governo, in molte scuole – soprattutto secondarie superiori – i collegi docenti hanno votato il blocco delle attività “accessorie” originariamente previste dai Piani dell’Offerta Formativa con il conseguente taglio delle attività di sostegno, recupero, progetti disciplinari e viaggi d’istruzione.

A Trieste, fra le altre scuole, si sono mosse in questa direzione i licei Oberdan, Petrarca, Dante e Carducci; analoghe iniziative sono state intraprese in altre moltissime scuole della regione. Per parlare del disagio che accomuna gli insegnanti dei più disparati settori disciplinari abbiamo rivolto alcune domande alla professoressa Evi Batagelj, docente di lettere presso il Liceo classico “F. Petrarca” di Trieste.

Ma gli insegnanti lavorano così poco come si dice fuori dalla scuola?
Forse qualcuno lavora poco, ma la maggior parte direi di no. Alcuni lavorano moltissimo: ne abbiamo tante evidenze. È vero che l'"orario" degli insegnanti (18 ore per medie e superiori) è quello di presenza in aula con gli allievi. Ma spesso si confondono le 18 ore con l'impegno effettivo. 

Pochi sanno che "dietro" alle 18 ore settimanali di lezione ci  sono i rapporti con le famiglie, con gli studenti fuori dell'aula, con i colleghi, i consigli di classe, i collegi dei docenti, le riunioni dei dipartimenti, le programmazioni per classe e individualizzate per gli studenti stranieri, per i ragazzi con disturbi dell'apprendimento... E poi la correzione delle prove scritte, giudizi, scrutini, esami, corsi di recupero...  

E “sotto” alle 18 ore?
"Sotto" alle 18 ore c'è poi lo studio, la preparazione di lezioni, prove, l'aggiornamento per le materie di insegnamento, per la didattica, le nuove normative, le nuove tecnologie. C'è chi fa sperimentazione, ricerca, documentazione, chi scrive, chi partecipa a progetti innovativi tra classi o scuole, chi organizza scambi, gemellaggi, soggiorni di studio all'estero...  Non dimentichiamo l'attenzione dovuta a quelle delicate persone che sono gli studenti adolescenti e, naturalmente, ai loro genitori.

Ci sarebbero le strutture per prolungare l’orario di lavoro?
Proprio per questo non si è ancora riusciti a definire un orario per gli insegnanti. Se si decidesse per l’obbligo di presenza a scuola, a esempio, di 36 ore settimanali, bisognerebbe trovare dei luoghi dove gli insegnanti possano studiare, correggere, scrivere. Fornire una scrivania, degli armadi, un PC a ciascuno. Viste le condizioni degli edifici scolastici, si capisce subito perché questa via non sia stata ancora perseguita: bisognerebbe investire un bel po' di risorse per realizzarla.

L’aumento dell’orario avrebbe realmente migliorato la qualità dell’insegnamento?
Portare le cattedre da 18 a 24 ore avrebbe gravemente danneggiato la qualità media dell’apprendimento. È intuitivo: un insegnante di scienze con 2 ore settimanali per classe, ad esempio, si ritroverebbe ad avere 12 classi. Con una media di 25 allievi per classe, dovrebbe seguire contemporaneamente la formazione di 300 ragazzi? Non riuscirebbe nemmeno a conoscerne i nomi. Non è così che si sviluppano le competenze, come vorrebbe la normativa per la scuola dell'obbligo.

Un altro esempio: un insegnante di italiano al triennio avrebbe 6 classi con 4 ore ciascuna; cioè 150 prove scritte ogni mese e mezzo; minimo 20 minuti per leggere un testo, correggerlo, dare consigli, scrivere un giudizio, valutare, registrare. Fanno un minimo di 50 ore a tornata. Per sopravvivere bisognerebbe limitarsi a leggere e a dare un voto. Non è così che si aiuta un giovane a imparare a scrivere. Oggi, con l'orario attuale, chi lavora pensando ai risultati dei ragazzi lo fa a tempo pieno. E lavora anche d'estate, per esempio nelle commissioni di maturità.

Come hanno reagito insegnanti e studenti alle misure prospettate dal governo?
La risposta si è vista: insegnanti e studenti, ma anche genitori, hanno capito che togliere ancora risorse alla scuola, già penalizzata negli ultimi anni, è molto pericoloso per il futuro del paese. La protesta ha fatto rientrare, almeno per il momento, la proposta delle 24 ore. Ma la spesa pubblica, scuola compresa, va ancora razionalizzata. Con modalità però più articolate e più sagge, costruendo il risparmio con l'eliminazione di sprechi reali, non espellendo dalla scuola quei precari che vi lavoravano da anni. Il problema è ancora aperto.

Cosa devono aspettarsi studenti, famiglie e insegnanti della scuola pubblica per il futuro?
Vorremmo poterci aspettare una considerazione diversa della scuola pubblica, più vicina allo spirito della Costituzione, alle parole di Piero Calamandrei del 1950: vorremmo che il nostro paese investisse sulla scuola pubblica in modo da farne la migliore possibile, non in modo da risparmiare grazie ad essa. Non è facile, in questo momento di crisi economica generale. Per poterlo ottenere bisogna ripensare a cosa la scuola pubblica significhi. E ci vuole la determinazione di tutti noi, insegnanti, studenti, famiglie e governanti.

Monica Visintin

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Capo redattore: Tiziana Melloni
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