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A 53 anni dal Vajont il ricordo delle vittime. Su ertoecasso.net intervista a Mauro Corona
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- Categoria: Politica e società
- Pubblicato Lunedì, 10 Ottobre 2016 16:25
- Scritto da Redazione Ilfriuliveneziagiulia
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Erto e Casso (Pn) - Nel giorno del 53° anniversario del disastro del Vajont, che causò 1910 vittime e la distruzione di alcuni paesi, il sindaco di Longarone, Roberto Padrin, nella cerimonia commemorativa svoltasi il 9 ottobre ha ricordato il terremoto in centro Italia ed ha fatto un richiamo alla scuola di Amatrice semidistrutta, per rimarcare quanto poco della tragedia sia stato raccolto in materia di prevenzione e sicurezza ambientale.
Padrin, che si è recato nel cimitero delle vittime del Vajont, ha ricordato la visita svolta ad Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto, Accumoli.
"Negli sguardi delle persone sopravissute ho colto la dignità che anche le nostre comunità hanno sempre, rigorosamente, mantenuto. Persone che non potranno tornare nelle loro case e che dobbiamo tentare di aiutare, come altri per noi si mossero nel 1963. E proprio la solidarietà che hanno animato quanti accorsero qui all'indomani del disastro del Vajont, a prestare soccorso e a contribuire alla nostra rinascita, l'ho potuta ancora una volta vedere in quelle terre”.
“Il ricordo di quella notte del 9 ottobre 1963 è ancora vivo in tutti noi – ha detto il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia Franco Iacop – e fa ancora più male se andiamo con la memoria a quarant’anni fa, al sisma del Friuli, che spezzò con la sua forza distruttrice altre mille vite”.
“Due tragedie a distanza di pochi anni che hanno segnato profondamente la nostra regione, due tragedie che hanno in comune un grandissimo numero di vittime, ma così differenti tra loro: il terremoto è un’imprevedibile calamità naturale, il Vajont è stato un disastro naturale annunciato, dovuto alla superficialità umana. Perché il nome dato al monte da cui si staccò l’enorme frana è “Toc”, che in friulano è l’abbreviazione di “patoc”, che significa “marcio”, “fradicio”. Da solo questo nome spiega perché quella diga non andava costruita lì”.
“Oggi però siamo qui a ricordare con grande commozione e immutato dolore le vittime del Vajont – ha aggiunto Iacop – perché ricordarle significa non solo portare loro quel rispetto che è dovuto, significa soprattutto non consegnarle all’oblio, mantenere viva la memoria per dare forza e speranza a una comunità che è stata annientata e che ha avuto il coraggio di rimboccarsi le maniche e andare avanti. Quello stesso coraggio – ha concluso Iacop – che ha permesso tredici anni dopo di superare anche il terremoto, coraggio che è il segno distintivo della nostra gente, senza il quale due tragedie di queste dimensioni non sarebbe stato possibile affrontare e vincere”.
Nell’occasione, lo scrittore Mauro Corona ha rilasciato un’intervista sul sito ertoecasso.it:
“Il dramma del Vajont - afferma Corona - ha lasciato una memoria di nostalgie, di una patria perduta. Ha cancellato usi, costumi, tradizioni, la cultura del tempo, l'artigianato, il taglio del fieno, la fienagione, i boscaioli. Tutto scomparso. La comunità fu smembrata e disseminata per la pianura come chicchi di granturco”.
“Uno dei drammi più gravi del Vajont, oltre ai duemila morti che non si devono mai dimenticare e ai quali si devono eterno rispetto e memoria è stato anche il dopo. Un’intera civiltà è stata annientata in un secondo”.
“Chi è nato appena dopo il Vajont ora ha più di cinquant’anni, la memoria assurdamente ha già iniziato a sbiadire da allora. Essi non hanno vissuto il Vajont, non ne portano le cicatrici.Tutto si sta acquietando nell’oblio e del Vajont rimarrà qualche notizia sui libri di storia ma in chi c’era, finché vive, rimarrà il dolore”.