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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Politica

Omicidio Regeni: il “Guardian” svela i retroscena della presunta banda trucidata dalla polizia

Omicidio Regeni: il “Guardian” svela i retroscena della presunta banda trucidata dalla polizia

Roma - Sul quotidiano inglese “The Guardian” esce il 24 settembre un lungo articolo sull’omicidio di Guido Regeni, dedicato in particolare all’uccisione delle cinque persone che - secondo le autorità egiziane - sarebbero state responsabili del rapimento e della morte del giovane ricercatore di Fiumicello.

Si tratta di Ibrahim Farouk, 21 anni, studente; Tarek Saad Abdel Fattah, 52 anni; il figlio Saad Tarek Saad, 26 anni; suo genero Salah Ali Sayed, 40 anni; Mostafa Bakr, 60 anni.

Dopo l’ultima riunione congiunta tra le Procure di Italia ed Egitto a Roma, l’ipotesi del rapimento da parte di una banda, che non aveva mai convinto gli investigatori italiani, è stata considerata “debole” anche dagli inquirenti egiziani.

Si aggrava quindi il bilancio di sangue a carico dell’Egitto nella vicenda Regeni.

Il “Guardian” racconta nel dettaglio la disperazione in cui sono cadute le famiglie dei cinque uomini uccisi, dopo aver raccolto le testimonianze dei loro congiunti.

“Sei mesi fa - si legge nel quotidiano - Ibrahim Farouk, studente universitario che faceva servizio taxi con un minibus per guadagnare qualche soldo, ha iniziato la sua giornata trasportando sul posto di lavoro un gruppo di imbianchini”.

Si trattava di tre membri di una sola famiglia e di un loro amico. Non erano incensurati: due erano stati in carcere per aver rubato un portafoglio nel 2001 e uno era un ex tossicodipendente.

I parenti hanno raccontato che gli uomini si stavano recando sul posto di lavoro, un’abitazione che stavano ridipingendo, nel sobborgo di al-Tagammu Khamis, ma non arrivarono mai ​​a destinazione: la polizia uccise tutto il gruppo, compreso l’autista del minibus.

“Poche ore dopo la loro morte - scrive il Guardian - le autorità egiziane li accusarono di far parte di una banda di ladri dedita al rapimento di stranieri e di aver perpetrato un atto atroce: la tortura e l'uccisione di un ricercatore italiano di nome Giulio Regeni. Il corpo martoriato e sfigurato dello studente di dottorato a Cambridge, che stava lavorando ad una delicata ricerca in Egitto, era stato trovato in un fosso lungo la strada tra il Cairo e Alessandria sette settimane prima”.

I media filogovernativi egiziani avevano subito pubblicato le immagini dei cinque egiziani morti. Alla stampa il ministro degli interni egiziano riferiva che c’era stata una sparatoria con la polizia, ma nelle immagini non c’era traccia di armi nel pulmino.

Poco dopo, il ministero aveva detto che alcuni effetti personali di Regeni - tra cui il passaporto e un portafoglio - erano stati trovati nella casa di uno degli accusati, che peraltro da morto non era più in grado di difendersi.

I funzionari egiziani speravano che l'identificazione dei presunti assassini di Regeni avrebbe messo il caso a tacere. Gli investigatori italiani tuttavia avevano dichiarato subito che l’impalcatura delle accuse contro la presunta banda non stava in piedi.

Le famiglie hanno raccontato al giornalista del Guardian che molti dei beni descritti come appartenenti a Giulio Regeni nelle foto scattate dalla polizia dopo il raid nella loro casa in realtà appartenevano a loro stessi.

Non è chiaro - scrive il Guardian - soprattutto perché i funzionari egiziani ora dicono che i cinque probabilmente non sono collegati alla morte di Regeni, come il passaporto, la carta di credito ed altri documenti del ricercatore italiano siano arrivati ​​nell'appartamento di Tarek. Non ci sono stati prelievi dal conto bancario di Regeni e i funzionari italiani hanno detto che il suo telefono cellulare non è mai stato trovato”.

"Non so perché ci hanno trascinato in questa situazione” hanno dichiarato le famiglie. Alcuni dei componenti sono tuttora in carcere con l'accusa di favoreggiamento.

Saeed Youssef, l’avvocato della difesa che rappresenta Mabrouka, la sorella di Tarek e gli altri due membri della famiglia ancora detenuti in custodia cautelare, ha descritto le ultime dichiarazioni della procura egiziana come un insulto.

La morte di cinque persone, probabilmente innocenti, è diventata “una mera nota in calce alla tragedia” scrive il giornale britannico.

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