“Dove gli dei si parlano” di e con Monika Bulaj al Miela
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Mercoledì, 09 Novembre 2016 11:35
- Scritto da “Mastica e sputa” reading musicale di Pupkin Kabarett in scena al Sartorio
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Trieste - Dopo la prima internazionale in Polonia e la prima italiana al Festival di Fotografia a Bergamo, S\paesati eventi sul tema delle migrazioni, presentano al Teatro Miela Monika Bulaj, fotogiornalista, scrittrice di viaggio, documentarista, in “Dove gli dei si parlano”, domani seragiovedì 10 novembre alle ore 21, con un performing reportage.
Vedremo le ultime oasi d’incontro tra fedi, zone franche assediate dai fanatismi armati, patrie perdute dei fuggiaschi di oggi. Luoghi dove gli dei parlano spesso la stessa lingua franca, e dove, dietro ai monoteismi, appaiono segni, presenze, gesti, danze, sguardi. In una parola: l’uomo, la sua bellezza, la sua sacralità inviolabile, ostinatamente cercata anche nei luoghi più infelici del Pianeta, seguendo il sole, la luna, le stagioni, i culti e i pellegrinaggi, in una “mappa celeste” che ignora gli steccati eretti dai predicatori dello scontro globale.
Un mondo parallelo e poco raccontato che va dall’Asia centrale all’America Latina, dalle Russi e al Medio Oriente, e ti riconsegna la bellezza nella contaminazione: i riti dionisiaci dei musulmani del Magreb, il pianto dei morti nei Balcani, i pellegrinaggi nel fango degli Urali, l’evocazione degli dei in esilio oltremare, sulla rotta degli “scafisti” di un tempo, a Haiti e Cuba, dove la forza spirituale della terra madre diventa rito vudù, santeria, rap mistico, samba, epitalamio e mistero. E ancora il cammino dei nomadi dell’Asia, che si portano dietro le loro divinità, come gabbiani dietro a una barca da pesca nel deserto.
“Sono molto cambiata nel corso del mio lavoro, all’inizio partivo cercando immagini per documentare qualcosa, poi, ad un certo punto, le mie immagini hanno cominciato a parlare da sole, a cercare me.
Ora quello che faccio è una cosa semplice, quasi infantile: raccolgo schegge di un grande specchio rotto, miliardi di schegge, frammenti incoerenti, pezzi, atomi, forse mattoni della torre di Babele… Forse questo può fare il fotografo, raccogliere tessere di un mosaico che non sarà mai completo, metterle nell’ordine che gli sembra giusto, o forse solo possibile, sognando, senza raggiungerla mai, quell’immagine intera del mondo che magari da qualche parte c’è, o forse c’era e s’è perduta, come la lingua di Adamo”.
Un libro dal titolo Sacred Borders in pubblicazione presso Contrasto www.contrastobook.com
In collaborazione con Bonawentura
Foto: "© MONIKA BULAJ”.