L'Ulisse di Manfredi tra leggenda e umanità, in viaggio attraverso il tempo
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Venerdì, 27 Novembre 2015 00:20
- Scritto da Timothy Dissegna
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Gorizia – Dall'antica Grecia fino a oggi, il mito di Ulisse non ha mai smesso di affascinare: che si esaltasse il suo genio o lo si condannasse, come Dante, questa figura leggendaria ha da sempre riempito le fantasie di storici e scrittori. Tra questi, c'è anche il grande Valerio Massimo Manfredi, al quale dedicò due libri.
Proprio da questi è ispirato “Il mio nome è Nessuno. L'Ulisse”, l'opera teatrale portata in scena ieri sera al Teatro Verdi per la regia di Alessio Pizzech: sul palco, nei panni del re di Itaca costretto a rimanere lontano dalla propria patria per 20 anni, uno straordinario Sebastiano Lo Monaco. Assieme a lui Maria Rosaria Carli, Turi Moricca, Carlo Calderone e l'orchestra “Sax in progress”.
Come nell'Odissea, quella che appare come la fine è solo l'inizio: Ulisse, sfinito dal lungo pellegrinare, scopre di essere finalmente ritornato a casa. Ma il viaggio lo attende dietro l'angolo, nel tempo questa volta: a Sparta, la bellissima Elena deve prendere marito e i principi elleni stanno per scatenarsi l'uno contro l'altro. Lui sa che lei lo vuole, ma il suo cuore appartiene a Penelope, e trova il modo di scongiurare il conflitto.
Infuriata, la giovane sceglie allora Menelao, ma promette vendetta: arriverà ben presto, con lo scoppiare della guerra di Troia. Paradossalmente,gli sforzi del protagonista per non far incrinare la pace hanno portato a un tributo ancora più grande: alla spedizione si unisce anche Anchille, e oltre 50mila uomini partono per salvare l'onore del sovrano spartano. Il re itaco parte anch'esso, con la morte nel cuore nel lasciare il suo amore e suo figlio.
Le vicende legate a quei dieci anni sanguinosi sono noti a tutti: l'assedio senza fine alla città, i duelli tra i guerrieri più valorosi, l'orrore che si consumò senza sosta. Lo Monaco le racconta con la potenza dei testi di Manfredi, adattati da Francesco Niccolini, e i suoi ricordi diventano immagini di disperazione e follia, come la strage di greggi da parte di Ajace quando non riceve le armi del defunto Achille; ma anche di immensa gioia, impressa negli occhi della sua Penelope quando ritornerà da lei.
Per portare in scena la vita di un personaggio come Ulisse si sarebbe potuto optare per una scenografia imponente: invece è bastato un telo bianco per riempire lo spazio, con la voce dei personaggi che diventantavano veri tuoni nel mezzo dell'anima e squarciavano ogni pensiero. Le note, poi, hanno fatto il resto, descrivendo perfettamente lo stato d'animo dei personaggi, scegliendo sinfonie gitane come fu rammingo Nessuno.
L'interpretazione eccezionale di tutto il cast, e in particolare di un Lo Monaco da cui era impossibile distogliere sguardo e udito, ha poi trovato seguito anche in un emozionante “dopo”: finito lo spettacolo, infatti, tutto il pubblico si è alzato in piedi per unirsi alle feste del felice matrimonio tra Ulisse e Penelope. E il protagonista ha ringraziato il pubblico gremito per la calorosa accoglienza, non risparmiandosi in battute e regalando il Canto V dell'Inferno (quello di Paolo e Francesca) da pelle d'oca.