"Zio Vanja" di Anton Cechov al Teatro Stabile sloveno di Trieste in un'insolita veste postmoderna
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- Categoria: Teatro
- Pubblicato Domenica, 16 Marzo 2014 21:17
- Scritto da Marzio Serbo
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Trieste - Affrontare un classico, di quelli che necessitano di essere osservati con cura e sguardo introspettivo. Smontarlo, frammentandone sequenze e testo. Ripiegarlo su se stesso, mentenere una certa temperatura con le emozioni più nude. Costringerlo a forzata lievitazione, curando di non farlo collassare.
Presentarlo asciutto, freddo, al centro del palcoscenico, con una spruzzatina di musiche irriverenti e qualche scaglia di luce, intervallata ad estenuanti nere microinterruzioni di buio. Granella di pubblico intorno e “Lo Zio Vanja” è servito.
La "prima" è andata in scena venerdì 14 marzo. Lo spettacolo si replica fino a domenica 23 marzo (sovratitoli in italiano).
Con una ricetta apparentemente fin troppo scontata, ha vinto la scommessa il Teatro Stabile Sloveno di Trieste con la sua nuova produzione tratta da Čechov, adattata magistralmente da Nejc Gazvoda e diretta da Ivica Buljan. Un testo magicamente ritradotto in un linguaggio che non entra in collisione con lo scarto culturale e linguistico prodotto dal confrontarsi con il noto titolo. Fuori dallo schema letterario dell’opera, eppure nel rispetto della sua natura più intima.
Coerente con l’anima del grande russo e al contempo capace di dialogare con la stessa lingua parlata dall’uomo postmoderno. È banale ricordare che un classico risulta tale nella storia delle opere d’arte quando esprime in sé una valenza tipologica, paradigmatica, ma non lo è altrettanto riuscire da parte di un drammaturgo e di un regista a recuperarne lo spirito in verità, senza modificare il baricentro dell’impianto dell’opera stessa.
Questo è il prodotto ottenuto: breve, fruibile in un’ora e mezza senza intervallo, carico della tragicità di una cultura frammentata e incapace di riconoscere l’interezza della verità delle relazioni fra persone e di queste con i luoghi della propria identità emotiva.
“Lo Zio Vanja” è lo specchio di una società contadina in cui difficilmente l’uomo e la donna di una nostra città d’oggi può ritrovarsi, eppure la natura e la crisi dei rapporti incardinate in tante esistenze, tutte rinchiuse dentro un luogo, si ricompongono in un senso concluso.
Così l’attenzione dello spettatore distratto dagli odori pungenti e acri di una cucina rustica e dalle note metal che s’infrangono su melodie cantabili, si rinnova nell’intensità e nella concentrazione. Allora le pareti della tenuta in mezzo ai boschi della Russia, diventano semplici spazi aperti, i muri sono alberi e gli alberi, persone.
Generosi nell’emozionare sono gli attori della compagnia stabile, carichi di energia e forti il cuoco e la Sonja di Luka Cimprič e Nikla Petruška Panizon, trasparenti nelle intenzioni e abili nel rivoltare i loro personaggi la Jelena e il dottor Astrov interpretati da Lara Komar e Primož Forte, duri e aggressivi la Marjia e Teljegin di Maja Blagovič e Romeo Grebenšek, coscienza collettiva di tutti il vecchio Serebrjakov ben affidato a Vladimir Jurc. Robert Waltl nel ruolo del protagonista, è attore ospite, pronto a donarsi al pubblico e in buona sintonia con gli altri.
Ma qui Vanja, alla fine, è solo un comprimario. Protagonisti sono tutti i personaggi, messi in serie, come una lunga fila di persone che intrecciano vilmente la propria esistenza apatica in una simbiosi patologica, in questo quadro d’autore del 1899, in cui è fotografata, con uno sguardo affatto miope, l’immagine stessa della nostra epoca.
Di seguito il videotrailer dello spettacolo: