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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Luisa Miller al Verdi di Trieste. Pubblico tiepido per un successo a metà

Luisa Miller al Verdi di Trieste. Un successo a metà

Trieste – Pubblico tiepidino per la prima di Luisa Miller, quinto appuntamento della stagione lirica triestina. Un po’ perché quest’opera gode più del favore della critica che di quello delle platee. Un po’ perché il cast non ha saputo mettere in moto la macchina del pathos, rimanendo distante dal fermento passionale,  e distaccato dallo scavo psicologico che Giuseppe Verdi intese delineare con grande sensibilità in questa sua "conversione" dal grandioso all'intimista.

Il tutto e accaduto nonostante il direttore Myron  Michailidis, da Creta, si sia adoperato per scaldare l’atmosfera con professionalità e passione, e abbia saputo dare unità e coesione a una partitura in certi momenti frammentaria, imprimendo la giusta propulsione all’esplosione tragica del finale. (Che Michailidis sappia destreggiarsi tra eros e thanatos è provato dalla sua ottima direzione di Carmen a Taormina).

Un’opera, quindi, non facile: chi dice che è un segmento di transizione verso la maturità verdiana tra Macbeth e la Trilogia popolare. Chi la degrada a repertorio di banali ovvietà articolate sull’unica  autentica ispirazione di “Quando le sere al placido”. Chi, invece, la considera uno tra i sei punti che disegnano la psicologia femminile che approda al dolore o alla morte attraverso la trasgressione sessuale.

Nemmeno i pettegolezzi sono stati risparmiati, da parte di chi ha visto in Luisa Miller l’eco della passione inquieta e contrastata che Verdi nutriva per la Strepponi. Ma non si può tralasciare l’ipotesi che Verdi, appassionato adoratore di Alessandro Manzoni e detrattore della drammaturgia italiana, sia stato trasportato verso il dramma schilleriano "Kabale und Liebe" dalla lettura dei Promessi Sposi. Né abbia resistito alla suggestione dei temi dell'opera manzoniana degli umili contro i potenti, dei giovani contro gli adulti, della giustizia contro l’ingiustizia, del matrimonio osteggiato, delle trame del signore del delitto, dell’intimità della giovane donna.

In questa cornice, il cast femminile è stato nettamente superiore alla controparte maschile.

Saioa Hernandez (già apprezzata nel ruolo di Norma e definita da Monserrat Caballé “la diva del nostro secolo”) è una Luisa convincente dal punto di vista vocale. La voce è corposa, il timbro pastoso dal colore mezzosopranile, l’emissione potente ed estesa anche se non freschissima e duttilissima. La recitazione non sempre è versatile come richiederebbe la ripida climax che attraversa i tre atti e proietta Luisa dall’innocenza ingenua, all’intensità, alla tragicità.

Olesya Petrova, mezzosoprano di San Pietroburgo, è una Federica ben caratterizzata, dalla voce calda e omogenea, dalla recitazione intelligente e controllata. Emissione corretta, musicalità e senso del palcoscenico ne fanno una prima donna di tutto rispetto. Anche Yumeji Matsufuji nel ruolo di Laura ha eseguito la parte più che decorosamente.

Tra gli uomini, la rivelazione è In-Sung Sim nella parte del perfido Wurm. Pur entro uno spazio vocale limitato, il basso sud coreano non tradisce le attese che vogliono i suoi connazionali particolarmente versati in questo registro. Voce morbida, calda e presente in tutti registri. Buona e disinvolta la recitazione, solida la tecnica e sciolta la dizione, tanto nel canto che nel declamato.

Per quanto riguarda il resto del cast, vale quanto detto prima: il basso Andrea Comelli è un Conte di Walter rigido e contratto sia nell’espressione corporea che vocale. Il baritono Filippo Polinelli (chiamato a sostituire Ilya Silchukov) tratteggia un Miller monolitico e senza sfumature, con un’emissione corretta ma non dotata nei registri estremi. Viene a mancare, quindi, l'approfondimento drammatico e la caratterizzazione psicologica relativa alle figure paterne.

Il tenore argentino Gustavo Porta è un Rodolfo - il figlio del Conte di Walter -  dalla voce generosa di lirico spinto, un po’ affaticata e opaca e con qualche difficoltà nel passaggio di registro e nel portamento degli acuti che risultano forzati, incolore e piccoli quanto più salgono, talora a detrimento dell'intonazione. L'impressione è quella di una voce consumata (in entrambe i sensi) e, forse, in declino. Tuttavia, l'esperienza gli ha consentito di produrre una gradevole interpretazione di “Quando le sere al placido”, forse l’unico momento in cui Porta ha espresso appieno il carattere fragile e malinconico di Rodolfo. Ma il pubblico non si è commosso. Decoroso il contadino di Motoharu Takei.

Denis Krief ha curato regia, scene, costumi e luci per l’edizione elegante allestita dal Regio di Parma in coproduzione con il Regio di Torino. Di grande effetto il riflettore rosso che tinge di sangue le mani di Wurm e del Conte di Walter.

Buona, sia dal punto di vista vocale che interpretativo, la prova del coro preparato dal M° Fulvio Fogliazza.

Teatro non esaurito. Evidentemente, non abbastanza apprezzata la virata verdiana verso l'indagine interiore iniziata nel Macbeth. Sono mancati gli applausi nei momenti topici sebbene, tra questi, non sia riuscito male il quartetto a cappella del secondo atto (Walter, Wurm, Luisa, Francesca). Luisa Miller mancava sul palcoscenico triestino dal 1990.

[Roberto Calogiuri]

(In apertura: foto di scena gentilmente concessa dalla Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste)

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