Norma in stile Luigi XVI con Marina Rebeka a Trieste. Ed è successo
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- Categoria: Musica
- Pubblicato Sabato, 30 Gennaio 2016 15:39
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste - Caloroso apprezzamento per la prima di Norma di Vincenzo Bellini ieri sera al Verdi di Trieste, riproposta dopo sei anni di assenza.
Spettacolo pienamente riuscito - per l’opera simbolo del bel canto italiano, molto stimata da Verdi e da Wagner - in cui il vero collante sono stati la sapiente direzione di Fabrizio Maria Carminati e la regia di Federico Tiezzi (ripresa da Oscar Cecchi) per le scene di Pier Paolo Bisleri che si è ispirato al pittore Mario Schifano.
Carminati, vicino alla tradizione ottocentesca, allarga leggermente i tempi concedendo respiro drammatico alla melodia e conferendo evidenza plastica all’orchestra e alle tinte elegiache quanto a quelle eroiche, senza togliere incisività alla strumentazione e con la giusta corrispondenza con le voci in palcoscenico.
La fluidità equilibrata della direzione e la sua attenta sottolineatura di atmosfere e passioni contrastanti si sono conciliate intelligentemente con la regia e le scene, con la distribuzione delle masse, i movimenti dei cantanti, i colori del rosso e del blu e la distribuzione delle luci.
Perfettamente armonizzati i bellissimi costumi dovuti alla fantasia di Giovanna Buzzi, artista di talento formatasi con Ronconi e Pizzi ma anche figlia d’arte (per la precisione di Gae Aulenti). L'uniforme di Pollione suggerisce la presenza dei romani come esercito di occupazione. Viceversa, le treccine afro conferiscono ai galli un tocco di civettuolo esotismo.
Da ricordare che questo fortunato allestimento ha una genesi e una storia particolare: debuttò al Petruzzelli di Bari nel ’91 e fu l’ultima opera prima dell’incendio del teatro che distrusse ogni cosa. Fu Bisleri - per l'edizione di Bologna del 2008 - a ricostruire le scene che possiamo vedere oggi, grazie ai bozzetti di Schifano (scomparso nel ’98) con il quale collaborò per merito dei buoni uffici del regista Federico Tiezzi. Quest’ultimo aggiunge alla lettura dell’opera, tra le suggestioni scespiriane e leopardiane, anche l’idea del conflitto tra Natura (Norma) e Storia (Pollione) che porta fatalmente alla dissoluzione finale.
Nella elegante geometria neoclassica delle scene, i cantanti godono di una distribuzione quasi naturale nelle cornici e negli spazi scanditi da quadrilateri che forniscono un sostegno significativo alla recitazione. Originale, a esempio, la scena in cui Norma e Adalgisa all’inizio del II atto, invece di giustapporsi fieramente, discutono di cose di donne confidenzialmente, simmetricamente sedute a un tavolo Luigi XVI con i bimbi che giocano lì vicino. Oppure la piramide di guerrieri nel coro “Guerra, guerra” che ricorda alcuni noti gruppi statuari della classicità.
Protagonista della serata – e non solo perché nel ruolo del titolo - è stata la soprano lettone Marina Rebeka per la prima volta sulla scena triestina e per la prima volta nei panni di Norma. Dopo aver confessato in un’intervista di sentirsi intimidita dall’esordio nella parte che fu della Callas, si è misurata in “Casta diva” con grande concentrazione e raccoglimento, quasi con soggezione. Il che non le ha impedito, forte anche di una rilevante presenza scenica e di una naturale bellezza, di sfoderare volume e sicurezza acquisite nella specializzazione rossiniana: forza, messa di voce, colorature sgranate con disinvoltura e legati eseguiti con sicurezza. Molto apprezzata nella tensione attorale e drammatica del secondo faticosissimo atto in cui Norma deve passare tra lamentazione, tensione amorosa, collera, malinconia e rassegnato dolore.
Tuttavia, in taluni acuti, la voce sfugge a un pieno controllo del sostegno e, di conseguenza, alcune note alte risultano talora gridate.
Nel ruolo di Pollione il tenore Sergio Escobar, cantante dalla voce intensa, grande e generosa, dal timbro pastoso e brunito che ben si intona col carattere del guerriero romano. Nonostante la rotondità timbrica, il registro acuto è qualche volta troppo spinto e ingolato, mentre la morbidezza e la mezza voce sono risolte con una sorta di declamato alla maniera verista, come se Escobar avesse difficoltà a imbrigliare tutto quel volume e a distribuire i fiati. La potenza a scapito dell’interpretazione.
Anna Goryachova, mezzosoprano da San Pietroburgo nel ruolo di Adalgisa, è nota in Italia – come Rebeka – grazie al Rossini Opera Festival e prossimamente sarà Adalgisa a Napoli. Unisce una voce morbida ed estesa a una buona presenza scenica e, anch’ella, a indiscutibile bellezza. La coloratura è rapida e fluida ma difetta di energia. Il timbro risulta nel complesso sfocato, poco chiaroscurato, complice una dizione non scandita.
A completare il cast la buona interpretazione di Oroveso del basso Andrea Comelli, già apprezzato del ruolo del Commendatore in “Don Giovanni”, che disegna un anziano sacerdote vacillante e ieratico.Buona e più che decorosa anche la prova del tenore giapponese Motoharu Takei (Flavio) la cui esibizione dà avvio alla collaborazione tra il Teatro Verdi e la fondazione musicale Sawakami Opera di Tokyo a vantaggio dei giovani artisti nipponici.
Indisposta all’ultimo momentoHanna Yevtiekhova (Clotilde) che è stata sostituita con sufficiente presenza da Namiko Kishi.
Buona, tutto sommato, la prova del coro diretto dal M° Fulvio Fogliazza. Da abbuonare la sbavatura in un attacco per il bel colore vocale e l’efficacia drammatica negli insiemi.
Date dei prossimi spettacoli e interpreti a questo collegamento.
(In apertura una scena del secondo atto. Sotto: la soprano Marina Rebeka. Per gentile concessione della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste)
[Roberto Calogiuri]