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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

Solstizio d'estate con "Attila" a Trieste. Inatteso appuntamento con la lirica.

Solstizio d'estate con

Trieste - Sembrava che il cartellone lirico del capoluogo fosse concluso. Invece la Fondazione triestina ha trovato energia, fantasia (e i fondi necessari) per offrire al pubblico un prolungamento inatteso della stagione operistica: la scia delle celebrazioni dell’anno verdiano - iniziate con il ”Corsaro” e proseguite con Macbeth - si allunga fino a intersecare la festa della musica che, com’è noto, ricorre nel giorno del solstizio d’estate.

Coordinate non solo musicali - ma anche astronomiche - hanno condotto i cultori della lirica a questo appuntamento del 21 giugno con l’”Attila” di Verdi che sarà replicata domenica 23 giugno alle ore 18.00 e martedì 25 giugno alle ore 20.30.

Che sia un’”operona” o un’”operaccia” (Verdi stesso inasprì il giudizio al riguardo) poco importa di fronte al volume di considerazioni che la vicenda propone: guerra, stragi, invasioni barbariche e aggressioni. Ma anche politica subdola e trame ipocrite, doppio gioco e tradimenti, gelosia e amor di patria. E ancora il mistero del trascendente soprannaturale.

Soprattutto la violenza sulle donne e una in particolare, che si vendica uccidendo nel sangue - alla maniera maschile - uno tra i più noti e feroci condottieri della storia. Per di più la vicenda si svolge tra le quinte del territorio regionale di Aquileia.

Alla prima assoluta del 1846, i veneziani videro in Odabella, oltre che il simbolo del valore femminile italico, la personificazione della repubblica soffocata dagli austriaci. In Ezio applaudirono freneticamente un salvatore della patria quando invece è un detestabile intrigante. A considerare anche la protervia di Attila e il suo odio per Roma, c’è di che interpretare la scena politica nostrale e internazionale di oggi, anche senza i riferimenti patriottici tracciati dal Maestro.

Con tali presupposti, il Verdi di Trieste affida la regia di questa auto produzione – un allestimento nuovo e originale - a Enrico Stinchelli noto ai melomani per essere autore e conduttore del programma radiofonico la “Barcaccia” e che da più di vent’anni unisce l’attività registica a quella di divulgatore musicale brioso e accattivante.

Stinchelli propone un’atmosfera buia, una penombra alla Rembrandt inumidita e brumosa. Un Attila che entra terribile su un trono di lucido acciaio e un costante e dichiarato riferimento alla violenza e alla sopraffazione. Funzionale alla partitura densa e macchinosa, il movimento delle masse e dei solisti si è disteso con metodo fluido e naturale raccontando in modo chiaro gli avvenimenti. Perciò Stinchelli ha voluto un solo intervallo alla fine del primo atto.

Combinati al racconto registico in maniera raffinata e organica, le scene eleganti e i costumi di Pier Paolo Bisleri raccontano l’ambiente con precisione attraverso un’attenta ricerca materica e coloristica. Nel complesso disegnano l’atmosfera in modo essenziale senza perdere – anzi guadagnando - efficacia evocativa.

Distribuite in modo sapiente le luci di Gérald Agius Ordway e intonate le proiezioni dinamiche di Alex Magri che hanno conferito un suggestivo tocco cinematografico.

La direzione e stata affidata alla bacchetta nota e sempre competente del M° Donato Renzetti che ha saputo amministrare in modo sorvegliato una partitura impegnativa, con poche linee vocali isolate, pochi sprazzi melodici e molti concertati nei quali ha saputo riportare all’ordine le voci e amalgamare l’orchestra.

Nel cast internazionale va segnalata la presenza dei due fratelli bulgari Anastassov, figli d’arte per parte di entrambe i genitori: Orlin, basso, nel ruolo di Attila e Venteslav, baritono, che interpreta Ezio e che si firma senza la doppia “s” per distinguersi da Orlin.

Orlin ha un’indubbia presenza scenica, soddisfacente dal punto di vista attorale, una voce dal colore brunito e caldo anche se non sempre omogeneo, ma il suo registro grave manca di sostegno e gli acuti non sempre sono a fuoco. Al contrario del fratello, si muove sul palcoscenico con la disinvoltura di chi è abituato a ruoli drammatici.

Venteslav ha un buon volume e una buona disposizione naturale. La parte di Ezio mette in risalto la caratteristica più affascinante della voce di baritono, ossia il registro medio alto, proprio dove difetta la copertura dell’emissione, con l’effetto di un timbro sbiancato, un colore altalenante e una dizione non sempre chiara.

La soprano russa Anna Markarova,(Odabella), deve sostenere un’entrata energica e di forza. È colei che ruba ad Attila la scena e la soddisfazione della cavatina iniziale: appena entrata, e nel giro di otto battute, deve centrare un do sopra il rigo e piombare al si di due ottave più sotto. Quando scalda la voce, il personaggio acquista spessore e si apprezzano momenti di bel canto ma, nel complesso, si avvicina soltanto a quanto Verdi intendeva per “prima donna” e alla coincidenza tra virtuosismo vocale ed eroismo del personaggio.

Delineata con delicatezzala figura di Foresto dal tenore cinese Like Xing. Il volume non è ampio e più adatto al versante di flebile innamorato che di tonante patriota, ma la linea vocale è omogenea e corretta. Emissione e intonazione sono compatte in ogni registro. Garbata la recitazione.

Completano il cast il tenore Antonello Ceron (Uldino), e il basso Gabriele Sagona (Leone) declassato da pontefice a “vecchio romano” affinché  la censura non impedisse di rappresentare papa Leone Magno, come Verdi avrebbe voluto pensando alle Stanze vaticane di Raffaello.

Il coro preparato dal M° Paolo Vero ha fornito la consueta prova onorevole, anche se qualche attacco della sezione maschile non era tra i più puliti.

Ampiamente meritato il caloroso successo tributato da un pubblico più che soddisfatto.

[Roberto Calogiuri]

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Capo redattore: Tiziana Melloni
Redazione di Trieste: Serenella Dorigo
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