A Trieste s'inaugura la stagione lirica con un "Corsaro" che rievoca scontri tra civiltà
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- Categoria: Musica
- Pubblicato Sabato, 12 Gennaio 2013 18:02
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste – 11 gennaio 2013. Serata di gala e pubblico sfavillante delle grandi occasioni (scarse in tempi di austerità) al Teatro lirico di Trieste che inaugura la stagione dell’anno verdiano con un’opera di Giuseppe Verdi prodotta assieme all’Opera di Montecarlo.
Con la scelta del “Corsaro” la direzione artistica triestina coglie tre vantaggi: evita le dispute di etichetta cartellonistica che hanno infiammato melomani e patrioti alla prima scaligera del Lohengrin di Wagner (quindi inno di Mameli all’inizio e non alla fine come alla Scala); riprende un’opera considerata tra le minori del repertorio verdiano e perciò poco rappresentata; rinnova il ricordo della prima assoluta dell’opera avvenuta proprio a Trieste il 25 ottobre 1848 dove incontrò un pubblico ostile, nonostante un cast di prim’ordine, e fu dimenticata per centoquindici anni.
Applausi a scena aperta e un’ovazione finale con diluvio di fiori sul palcoscenico hanno consacrato il successo di quest’allestimento che è anche una dichiarazione di intenti del M° Claudio Orazi, nominato sovrintendente e direttore artistico dopo un anno da commissario: cartellone prezioso, realizzazioni brillanti, cast equilibrati e, soprattutto, molti volti giovani in platea, probabilmente attratti dalla tendenza, sempre più diffusa, di attualizzare le opere liriche.
Un “Corsaro”, infatti, che nelle intenzioni del M° Gianluigi Gelmetti, che ha curato la regia oltre che la direzione e il progetto luci, si articola sul conflitto insanabile tra Oriente e Occidente, due culture e due religioni che non smettono di contrapporsi anche in modo cruento e rappresentano un nodo ancora insoluto e uno dei massimi ostacoli al raggiungimento della pace nel mondo. L’opera lirica del 1848, quindi, che obbliga a meditare sulle rivoluzioni e le violenze che accadono ora e, se non qui, a poca distanza da casa nostra.
Il progetto registico è ben assecondato dalle scene di Pier Paolo Bisleri, i costumi di Giuseppe Palella e gli enormi pannelli di Franco Fortunato, grandi volti muti e inespressivi che si fronteggiano senza considerarsi. Tra un blu algido e un rosso pastoso e sensuale si muovono i personaggi vestiti alla maniera interstellare e futuribile di Matrix e Star Trek più che di Star Wars, in un’atmosfera che ammonisce sul rinnovarsi infinito e senza soluzione di questo confronto/scontro.
Tutto l’impianto scenico evoca, senza mezzi termini, gli orrori che si stanno consumando in un Oriente sempre più vicino: simboli religiosi, controscene di pestaggi, lapidazioni, sgozzamenti e torture richiamano la durezza della sharia applicata dagli ayatollah e i tristi fatti di Siria.
La battaglia tra i corsari di Corrado e i turchi di Seid pascià è sostituita da autentici filmati di guerra e disperazione. Lo stesso pascià porta dreadlocks alla Bob Marley e artigli adunchi da Nosferatu (che sia un messaggio subliminale?).
Qualche dubbio su un’opera che, secondo la tradizione, Verdi non amò particolarmente - tanto da non intervenire alla prima assoluta di Trieste - si respirava prima della prima. Il ’48 fu l’anno degli statuti e delle rivoluzioni, in cui Marx ed Hengels pubblicano il Manifesto del partito comunista: è probabile che Verdi, distratto da traguardi più politicamente impegnati, sentisse ormai meno urgente rappresentare un’opera tratta dall’omonima novella in versi di Byron, che racconta non di spiriti nazionali e popoli uniti e vittoriosi, ma esalta un eroe individuale e misterioso, reietto e bello di sventura, e celebra l’ineluttabile convergenza dell’amore nella morte.
Tuttavia, le antiche polemiche e le incertrezze su un’architettura narrativa non equilibrata sono stati polverizzati dalla concertazione plastica del maestro Gelmetti, scrupolosa nel conferire unità alla partitura, anche operando qualche taglio, e attenta tanto agli slanci eroici che agli afflati lirici.
L’orchestra ha risposto con esattezza e pulizia. I cantanti hanno fatto il resto: il tenore Luciano Ganci (Corrado) è molto espressivo, ha una voce dal bel colore eroico, eccellente nella tessitura medio alta e sicura nel passaggio di registro.
La soprano rumena Mihaela Marcu (Medora) dalla voce melodiosa, educata e timida, all’inizio sembra poco tagliata per la parte belcantistica e per la romanza (“Non so le tetre immagini”) che forse è la pagina più celebre dell’opera, ma piglia coraggio nel terzetto finale.
Più marcatamente drammatica è la parte dell’altro soprano, Paoletta Marrocu (Gulnara) che fonde, con classe e disinvoltura, talento vocale e presenza scenica, conferendo spessore e personalità al suo personaggio.
Il baritono Alberto Gazale (Seid pascià) possiede tutte le note che servono alla sua parte, particolarmente quelle alte e, con le sue doti recitative, conferma la meritata fama di baritono verdiano.
Completano il cast Michail Ryssov (Giovanni), Romina Boscolo (l’eunuco) e Alessandro De Angelis (uno schiavo). Bella la tridimensionalità conferita dalle Luci di Iuraj Saleri.
Preciso, intonato e attento nei movimenti scenici – come sempre – il coro preparato dal maestro Paolo Vero. Un plauso anche ai figuranti, efficaci tanto nelle scene di forza che nel groviglio dei corpi nell’harem del pascià.
Prossimi spettacoli: 12 gennaio (h. 20.30), 13 (h. 15.30), 15 (h. 20.30), 17 (h. 20.30), 19 (h. 15.30). Nella replica del 12 gennaio variano i ruoli di Corrado (Sergio Escobar), Medora (Natalia Roman), Gulnara (Alisa Zinovjeva), Seid (Igor Golovatenko).
Prossimo appuntamento in cartellone: martedì 5 febbraio 2013, ore 20.30, con Carmen di Georges Bizet.
(Foto di Fabio Parenzan)
[Roberto Calogiuri]