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Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

“Birdman” vince gli Oscar, ma non convince tutti

“Birdman” vince gli Oscar, ma non convince tutti

Trieste - È stato molto divertente vedere le facce degli spettatori alla fine del film Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza), alcuni convinti, altri tacitamente perplessi. Nonostante abbia vinto l'Oscar come migliore film - oltre a quello per la regia, la sceneggiatura originale, la fotografia - non ha convinto tutti.

Forse perchè l’opera ultima di Iñarritu (Amores Perros, 21 grammi, Babel) non è un film facile per la mancanza di una storia, anzitutto, e di un finale definito e comprensibile, elementi imprescindibili per la digestione da parte del grande pubblico. Ma se riusciamo a non considerare tali aspetti, potremo certamente apprezzare un’opera che è, oggettivamente, sincera, evocativa, ispirata e che, soprattutto, fa riflettere su molti punti.

Il film si ispira alle opere del grande scrittore contemporaneo Raymond Carver (in particolare a “Whatwe talk whenwe talk about love”, ovvero “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, che compare spesso sia pronunciato che nelle inquadrature) ed è, esso stesso, un racconto girato con la cinepresa. Si potrebbe dire che è un racconto omaggio al grande scrittore americano che ispirò un maestro del calibro di Robert Altman, a sua volta ispiratore del giovane e bravo regista messicano. 

Riggan è Birdman (un bravissimo Michael Keaton), il vecchio eroe con la maschera d’uccello ormai in pensione ma che, all’epoca, aveva ottenuto un grande successo. Oggi è un uomo anziano, in difficoltà economiche, in crisi mistica d’identità e con quel che resta della sua famiglia, indeciso tra l’amore e l’ego.

Ho detto che non c’è una storia, in compenso ce ne sono varie all’interno di un film che però si sofferma, con grande compassione e originalità, su due grandi temi:il primo, e principale, è l’Amore (con la a maiuscola N.d.r.), con i suoi rapporti, i quali raccontano in maniera intima i vari personaggi.La telecamera li segue da vicino in una lunga serie di piani sequenza, dando vita ad un “racconto filmico” fluido e allo stesso tempo sincopato, come lo è il ritmo dato unicamente dal suono della batteria.

L’altro tema, non pregnante come il primo ma molto importante perché ispira la seconda parte del titolo (l’imprevedibile virtù dell’ignoranza), è racchiuso in un contenitore che potremmo chiamare Caso, o Fortuna, o l’Imprevedibile. Ognuno lochiami come vuole. Ed è il caso che determina, alla fine ed in un colpo solo (letteralmente!), sfiorando il tragico e sfidando la morte, il tanto agognato successo di Riggansia nel privato che nella sua carriera di attore professionista. È la mano invisibile dell’imprevedibile, la virtù dell’ignoranza appunto, che si posa, benevola, sul capo di un uomo audace quanto incosciente, miserabile per i suoi fallimenti, e finalmente lo premia.

Riggan, dal palco, si chiede e ci chiede, con le parole di Carver, di cosa stiamo parlando quando parliamo d’amore? E Iñarritu va oltre, invitandoci a riflettere e a guardare, con sguardo lucido e critico, noi stessi dentro la nostra realtà contemporanea con i nostri rapporti (è questa la sua impronta caratteristica, in quasi tutti i suoi film), confusi e virtuali, dominata ormai solo dalla tecnologia e dove la nostra autostima dipende dai mi piace/non mi piace su Facebook o dal numero difollowers su Twitter.

In fondo, siamo attori anche noi, di vite che, probabilmente, avremmo voluto vivere in maniera diversa, più sincera, più piena, con persone che ci hanno amato veramente. “E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Sì. E cos’è che volevi? Sentirmi chiamare amato, sentirmi amato sulla terra”.

Con questa epigrafe carveriana, impietosa e laconica, si apre quest’opera complessa, sperimentale, labirintica, sociale, e gli ultimi cinque minuti chiudono il cerchio lasciando però un piccolo spiraglio all’immaginazione e, perché no, alla follia. Perché l’amore è, anche, soprattutto, follia.

 

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