"Corpi del reato" sparsi sulle nostre colline, delitti ambientali commessi senza pudore. Le foto
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- Categoria: Fotogallery
- Pubblicato Giovedì, 31 Gennaio 2013 23:16
- Scritto da Roberto Calogiuri
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Trieste - Passeggiando per le vie di Berlino, capita di imbattersi nei cestini per le immondizie. Nulla di strano: avviene in tutti i consorzi civili. Ma a Berlino accade che sopra ci siano stampate quattro parole in bianco su un fondo rosso acceso, il colore del pericolo e del divieto. E queste parole costituiscono un richiamo per i passanti, un monito che suona particolarmente minaccioso alle loro coscienze. Perché al pattume si mescolano la solennità del latino e la severità della giurisprudenza occidentale.
"Corpus für alle Delicti" avverte la scritta. Corpo del reato si dice da noi, che è quell’oggetto mediante la quale il delitto è commesso. L’associazione mentale stimolata dalla Nettezza Urbana berlinese è di una limpidezza lapalissiana: chi getta qualcosa a terra, chi sporca le strade commette un autentico delitto.
O, più precisamente, un “ecoreato”, un crimine contro l’ambiente con le tristi conseguenze che conosciamo e con i tempi di smaltimento che per certuni materiali raggiungono estensioni bibliche: fino a cinquecento anni per il tessuto sintetico e i sacchetti di plastica, mille anni per carte telefoniche e accendini di plastica, oltre il millennio per il polistirolo. Il vetro poi, si sa, è eterno.
Un discorso a parte meriterebbero quelli che gettano dalle automobili i mozziconi di sigaretta (biodegradabilità: più di un anno). Al riguardo vale la pena ricordare che in Inghilterra i comuni hanno formato pattuglie di polizia netturbana, a dir così, ingaggiando ex soldati rigorosissimi che sanzionano i contravventori con multe salatissime. Fatturato dell’anno scorso: un milione e mezzo di sterline.
Niente di tutto questo a casa nostra. E si vede.
A dissolvere uno qualunque di questi oggetti, per banali che siano, non basterà una vita umana. Non è confortante sapere che la spazzatura ci sopravvivrà. Eppure quando vediamo per terra una lattina, non ci sovviene l’infinito e l’eternità. Poesia a parte, ci monta un po’ di sconforto, talvolta un po’ di rabbia nel constatare che l’ambiente e la natura non siano rispettati da tutti e che non tutti comprendano l’importanza di vivere in un territorio pulito e sano.
È quello che si prova passeggiando per il Carso triestino che, in certi punti, secondo il criterio berlinese è una vera scena del crimine, una discarica a cielo aperto. Si trova di tutto. Ogni specie di corpus delicti: fotocopiatrici, reti da materasso, cumuli di macerie, divani, “spargher” eccetera eccetera. Per rendersene conto è sufficiente guardare le nostre foto oppure fare quattro passi su qualche sentiero neanche troppo defilato.
E allora, invece di rimuginare sull’infinito e sull’eternità, viene da chiedersi un più pedestre perché. Perché, una volta che si sia caricata la roba su un mezzo di trasporto privato, costi tanta fatica percorrere un chilometro in più e portarlo in una discarica comunale invece che lasciarlo in una dolina in mezzo agli alberi? E certamente con il favore delle tenebre, come vuole la migliore tradizione criminale, visto che di giorno non si coglie mai nessuno mentre semina masserizie varie per prati e sentieri nascosti.
Che sia l’irresistibile, oscura e atavica attrazione per il delitto? (E non si può nemmeno incolpare il maggiordomo!).
Fotografie di Roberto Calogiuri, Vanja Skoko, Leonardo Distefano.
[Roberto Calogiuri]