Intervista al regista Stephen Fingleton del film The Survivalist
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- Categoria: Cultura
- Pubblicato Domenica, 08 Novembre 2015 14:04
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Trieste - La quarta giornata del Trieste Science Fiction Festival, che si svolge a Trieste dal 3 al 8 novembre, aveva in programma il debutto di un regista irlandese di cui sentiremo sicuramente ancora parlare, Stephen Fingleton, col suo primo lungometraggio intitolato “The Survivalist”, in concorso per i premi Asteroide e Melies d’Argent di questa edizione.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e rivolgergli qualche domanda.
Da dove viene l’idea del film?
Da un documentario americano intitolato Collapse, che racconta di una società troppo legata alla produzione e al consumo di combustibili fossili e petrolio e che, una volta esaurite totalmente, la mette seriamente in crisi portandola al declino fino alla sua graduale scomparsa. Mi sono immaginato nella mia testa le possibili conseguenze e le reazioni delle persone.
E così ha deciso di trasferire le risposte ai suoi quesiti sui tre personaggi.
Tre personaggi molto diversi tra loro che creano una serie di reazioni molto variabili, a seconda della difficoltà da affrontare. Mi sono chiesto quali sarebbero state le possibili reazioni in determinate situazioni di pericolo, anche mortali. Capire fino a che punto si può spingere l’essere umano pur di sopravvivere.
Tre personaggi per tre attori sconosciuti ma straordinari. Immagino li abbia scelti lei.
Ho fatto leggere e poi rileggere lo script a vari attori davanti ad una platea prima di scegliere. Martin McCann, Olwen Foueré e Mia Goth si sono rivelati tre attori eccezionali e molto collaborativi. Devo anche aggiungere che mi piace interagire con gli attori, chiedendo loro cosa ne pensano e magari chiedendo suggerimenti su eventuali modifiche allo script secondo il loro modo di sentire ed esprimersi.
Un film che, a mio avviso, ha i suoi punti di forza nella psicologia dei rapporti umani e nel fatto di non essere descrittivo ma di lasciare aperto il racconto e quindi di trattenere lo spettatore in un crescendo di suspance e profondo turbamento.
Sì, i personaggi ed i rapporti umani che si instaurano tra loro e tra loro e l’ambiente esterno rappresentano il fulcro del film. È attraverso i loro comportamenti, sempre mutevoli e adattabili a seconda della situazione, che intuiamo fin dove è capace di spingersi l’essere umano in caso di vita o di morte. Per quanto riguarda la suspance e l’incertezza dell’intera storia, metà dell’opera è senz’altro dovuta al sonoro. Pensi che tutti i suoni che ha sentito durante il film sono stati registrati e montati dopo aver girato le scene. È stato molto strano, soprattutto all’inizio, girare le scene e non sentire altro che silenzio, un silenzio profondo e naturale cui non siamo abituati. Aver ricreato dei suoni tanto reali, a volte spaventosi, beh, io credo che questo difficile lavoro di post-produzione abbia aumentato molto il valore e la drammaticità del film stesso.
Dopo il successo di critica e pubblico al Festival di Tribeca, ha già in mente il suo prossimo film?
Sinceramente non ne ho idea. Magari mi farò ispirare di nuovo da un altro documentario, (sorride n.d.r.)