Nel giorno del centenario di Giordano Cottur, il ricordo del campione Michele Pittacolo
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- Categoria: Sport
- Pubblicato Domenica, 25 Maggio 2014 15:41
- Scritto da Ilaria Bagaccin
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Trieste - Si può a buon diritto considerare l’atleta più titolato ad aver vestito la maglia della Società Ciclistica Cottur, seppur in quella che lui stesso definisce la sua seconda carriera, quella da atleta paralimpico. È Michele Pittacolo, 2 volte campione del mondo (2009 e 2011) e medaglia di bronzo alle Paralimpiadi di Londra, che a metà degli anni ’90 ha vestito per 4 stagioni la maglia della società ciclistica fondata da Giordano Cottur, correndo in mountainbike.
Era stato proprio Giordano, scopritore di talenti, a volerlo in squadra, andandolo a cercare in Friuli, proprio quando Michele, che non riusciva a fare il salto dai dilettanti ai professionisti, voleva abbandonare il ciclismo. Oggi che Giordano Cottur avrebbe compiuto 100 anni Pittacolo lo ricorda con parole di affetto e di stima.
Che ricordo hai di Giordano?
Per la mia maturazione di atleta lui è stato importantissimo: anche se venivo da qualche stagione come dilettante è stato con lui che ho davvero scoperto cosa vuol dire il sacrificio e vivere per lo sport che si ama. Lui mi ha fatto capire che anche se si nasce con delle grandi doti poi, per diventare campioni, bisogna impegnarsi ed allenarsi duramente tutti i giorni per costruire “la casa dal basso”. Proprio come aveva fatto lui.
Che rapporto aveva con i suoi corridori?
Era sempre presente alle gare, quando correvamo noi era come se corresse anche lui: ci metteva la stessa grinta. Ci incitava, ci incoraggiava a fare bene. Ma se la gara andava male, era il primo a fare un sorriso e a dirti che la volta dopo sarebbe andata meglio. Non è retorica: lui amava così tanto questo sport che l’importante era esserci.
In molti lo ricordano come una persona di spirito.
Sicuramente. Aveva un carattere fantastico, sempre con la battuta pronta e poi sapeva stare in mezzo alla gente, anche per questo era ed è molto amato. Era una persona di cuore. Nonostante si potesse considerare una personalità del ciclismo, continuava ad essere umile, anche nel rapporto con noi atleti. A tutti noi ha insegnato moltissimo sia come corridore che come persona.
Potresti dire che i grandi risultati che stai ottenendo ora da paralimpico, in qualche modo li devi anche a Giordano?
Sicuramente sì, ogni volta che vinco penso a lui e al suo motto preferito che era “mai mollare”. Non ha mollato lui quando la sua carriera è stata interrotta dalla Guerra, riuscendo a tornare a correre. E allo stesso modo non ho mollato io dopo il mio grave incidente, che mi ha lasciato un’invalidità permanente. Avrei potuto smettere del tutto e stare a piangere su me stesso e invece sono risalito in sella e sto ottenendo risultati inimmaginabili anche per me.
Domenica 25 maggio è in programma una pedalata per ricordarlo e per festeggiare i suoi 100 anni. Sarai dei nostri?
Avrei voluto onorarlo portando a Trieste la maglia di campione del mondo ma purtroppo ho degli impegni agonistici. Quello che posso fare è invitare tutti ad andare a pedalare per onorare un campione che ha fatto la storia del ciclismo e del Giro d’Italia: lui è stato un grande, lui il suo sport lo ha fatto con passione e con amore. E proprio per questo merita l’affetto della gente. Per me lui è stato non solo un maestro di ciclismo ma anche un maestro di vita.