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Gio11212024

Last updateLun, 27 Feb 2017 8pm

La straordinaria siccità fa emergere i resti dei piloni del ponte romano sull'Isonzo

ponte romano sull'Isonzo

Savogna d'Isonzo (Go) - Saranno visibili eccezionalmente solo fino alla prossima piena del fiume i grandi blocchi lapidei del basamento di uno dei piloni del ponte romano sull’Isonzo, all’altezza della chiesetta della Mainizza, portati alla luce tra agosto e settembre grazie alle indagini archeologiche svolte dalle ditte ArcheoTest e Petra, con il coordinamento dell’archeologa Tiziana Cividini e sotto la direzione scientifica di Angelina De Laurenzi, funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Fvg.

L’intervento, nell’alveo isontino, sul versante di Savogna, che è stato reso possibile grazie all’eccezionale siccità estiva e al contributo di Autovie venete S.p.a., ha consentito di recuperare allo studio uno dei basamenti dei piloni del ponte, che si presenta a pianta rettangolare, parzialmente conservato in alzato. La scoperta, di grande interesse scientifico ed ingegneristico, permette, principalmente, di definire le imponenti dimensioni della base: 9 metri di lunghezza per 4,5 metri di larghezza.

I blocchi squadrati, dilavati dalla lunga permanenza in acqua, erano coperti da uno strato consistente di ghiaia. Una serie di pali di legno, infissi verticalmente e utilizzati, verosimilmente, per bloccare le pietre o per armarle in corso di costruzione, è distribuita lungo il perimetro della struttura messa in luce.

Gli archeologi ipotizzano, verso est, l’individuazione dello strato originale di crollo e, in base alla disposizione delle pietre, verso nord, lungo il lato più esposto alla forte corrente del fiume, l’esistenza di una sorta di rostro o frangiflutti.    

Stando alle ipotesi ricostruttive formulate sulla base dei ritrovamenti di resti compiuti a più riprese tra il 1963 e il 2003, il ponte, su cui passava la via Aquileia-Emona (attuale Ljubljana) individuata nel luglio del 2011 sempre durante i lavori per il raccordo Villesse-Gorizia, doveva avere una lunghezza di oltre 200 metri. Qualora le arcate fossero state a distanze regolari, si dovrebbe pensare ad almeno 11 piloni.

La prosecuzione delle indagini dovrebbe consentire di stabilire se la base poggia direttamente sul conglomerato naturale o piuttosto su un dado di fondazione, solitamente ottenuto mediante una gettata di calcestruzzo entro casseforme stagne.

Con questa ultima scoperta, che si aggiunge a quella relativa ad alcuni manufatti lapidei lavorati, recuperati nella primavera di quest’anno, viene confermata l’importanza del luogo. Come è noto, infatti, sul lato destro del Pons Sonti  sorgevano una stazione di posta (mansio) e un abitato di notevole rilievo, solo parzialmente indagati.

Sempre nella zona si sviluppavano le necropoli e un’area cultuale di cui è testimonianza la famosa aretta votiva scoperta nel 1923, conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, recante una dedica al dio del fiume, l’Aesontius, e datata tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C.

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